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Vengono venduti alle opinioni pubbliche come enti umanitari, ma sono una delle armi preferite dagli Usa nelle ingerenze interne ai paesi terzi. Travestiti da aiuti allo sviluppo, mascherati da sostegno alle ONG, tramite questi enti milioni e milioni di dollari provenienti dalle casse delle istituzioni statunitensi vengono destinati alle opposizioni nei paesi i cui governi risultano ostili a Washington.
Che poi ostili lo siano effetivamente (vedi Paraguay) è sempre dato da relativizzare, giacché per gli Usa il concetto di ostilità risulta decisamente esteso, abbracciando tutto ciò che non è la cieca obbedienza ai voleri della Casa Bianca. Non c’entra niente la democrazia, anzi: i migliori amici di Washington in tutto il pianeta, sono i governi autoritari e privi di legittimazione democratica. E non c’entrano niente nemmeno i diritti umani, dal momento che chi più li viola appare decisamente schierato tra quei stessi regimi, fidi sostenitori del Washington consensus.
A ridurre il peso specifico sullo scacchiere internazionali dei cosiddetti paesi ostili vengono destinate risorse d’ogni tipo: dalle guerre ai blocchi economici, dal terrorismo alla fornitura di armi agli oppositori, dall’isolamento diplomatico alla negazione dei prestiti internazionali.
Ma dove per qualsivoglia ragione questi elementi non risultassero applicabili o, comunque, non sufficienti a determinare il risultato sperato, da diversi anni il governo degli Stati Uniti ha scoperto l’utilità e la percorribilità della sovversione interna ai paesi ostili tramite azioni di diversa natura e utilizzando strumenti, tecniche e risorse destinate alla bisogna. Il cyberspazio e i programmi cosiddetti di “aiuto” sono due elementi decisivi di queste strategie.
E se per quanto riguarda l’utilizzo della Rete le attività sono principalmente svolte dall’interno del territorio statunitense, per quanto attiene al sostegno delle opposizioni interne gli strumenti utilizzati sono ormai di consuetudine l’invio di denaro e di funzionari travestiti da ONG con lo scopo di alzare il livello della conflittualità interna ai paesi che si vogliono attaccare.
Dall’Europa dell’Est all’America latina, dai paesi del Maghreb all’Asia, la destabilizzazione socio-politica dei regimi ostili vede il dispiegarsi di miriadi di fondazioni, Ong, associazioni tutte formalmente all’opera per allargare la democrazia, ma tutte sostanzialmente fondate, finanziate e dirette da Washington.
Le ambasciate statunitensi sono infatti il collante operativo e la copertura diplomatica per la maggior parte di queste organizzazioni é il mantello che le copre. Le loro attività – sulle quali amano romanzare gli adepti nelle redazioni dei giornali amici – sono spacciate in chiave umanitaria dalla potenza di fuoco mediatica statunitense, che si adopera per venderle come indipendenti, disinteressate e al servizio delle istanze democratiche.
Nessuna di queste, ovviamente, opera in forma visibile nei paesi amici di Washington; sono tutte allocate nei cosiddetti paesi ostili, dal momento che la scacchiera sulla quale gli Usa muovono le pedine è comunque, sempre, quella avversaria.
Nei bilanci pubblici di molte delle istituzioni pubbliche e delle associazioni private statunitensi impegnate nella sovversione interna ai paesi ostili emergono con chiarezza cifre e flussi di investimenti che dagli Stati Uniti vengono destinati allo scopo e leggendo con attenzione tra i bilanci si possono trovare le tracce della diplomazia parallela della Casa Bianca.
In una intervista al New York Times nel 1991, Allen Weinstein, uno dei fondatori della NED, disse che “quello che fa la NED oggi è quello che un tempo veniva fatto in maniera clandestina da venticinque anni dalla CIA”. E Marc Plattner, un vice-presidente della NED, spiegò a sua volta così il ruolo dell’organizzazione: “Le democrazie liberali favoriscono chiaramente gli accordi economici che fomentano la globalizzazione e l’ordine internazionale che sostiene la globalizzazione si basa nel predominio militare americano”.
Ogni bel gioco, però, dura poco e i primi segnali dell’inversione di tendenza arrivano proprio dall’America Latina, dove i Ministri degli Esteri dei paesi dell’ALBA (Bolivia, Venezuela, Ecuador, Repubblica Dominicana, Nicaragua, Cuba), riuniti in Brasile, hanno proposto ai rispettivi governi l’espulsione dai loro paesi del personale in forza all’Usaid.
Nel comunicato diramato al termine del vertice, i capi della diplomazia del blocco democratico latinoamericano propongono il provvedimento di espulsione: “In ragione dei progetti che destabilizzano i governi, esercitando una indebita interferenza nelle questioni politiche interne” i paesi dell’ALBA “considerano che la loro presenza costituisce un elemento di perturbazione che attenta contro la stabilità e la sovranità dei paesi”.
L’USAID è accusata di finanziare giornali, ONG, partiti e organizzazioni sindacali – spesso inesistenti negli stessi paesi – in una chiara e sfacciata intromissione negli affari interni, con il proposito di cospirare ed elevare il conflitto politico interno. Nessuna opera caritatevole, nessun aiuto disinteressato, nessun beneficiario e men che mai anonimo: denaro copiosamente inviato a organismi anti-governativi che proprio in ragione del dichiararsi tali percepiscono quote significative. E il business gira: tanto più elevata sarà la capacità di questi di dimostrarsi attivi, tanto più alto, percentualmente, saranno le somme che arriveranno dall’USAID.
Quanto alla storiella degli aiuti disinteressati dell’USAID, i ministri degli Esteri latinoamericani affermano di non avere “nessuna necessità di organizzazioni tutelate da potenze straniere che, in pratica, usurpano e debilitano la presenza degli organi dello Stato impedendogli di sviluppare il ruolo che gli corrisponde nello sviluppo economico e sociale delle nostre popolazioni”, conclude il documento.
Nelle stesse ore nei quali il documento veniva diramato, il governo di Washington negava il via libera ai crediti internazionali per il Nicaragua, a dimostrazione di come gli aiuti siano solo la faccia pubblica di politiche cospirative. I prossimi giorni diranno come si evolverà la questione, ma per quanti sforzi di maquillage la Casa Bianca metterà in campo, i suoi funzionari, anche se travestiti da volontari, dovranno fare le valigie.
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