Il forum di Bologna del 7 marzo “Il piano inclinato degli imperialismi” ha concluso la campagna della RdC lanciata sei mesi fa a 100 anni dal massacro della grande guerra, contro gli apprendisti stregoni dell’imperialismo e le nuove tendenze alla guerra, aprendo un nuovo ciclo di iniziative e impegno militante.
A più di dieci anni di distanza dal convegno “il piano inclinato del capitale”, occorreva aggiornare l’analisi sulle caratteristiche degli imperialismi, perché la tabella di marcia imposta dalla crisi sistemica del capitalismo ha impresso una spinta formidabile a tutti i processi di cambiamento, in un lasso di tempo che, in termini storici, è ben poca cosa.
In continuità con il metodo che contraddistingue la nostra organizzazione, siamo partiti “dall’alto” dell’analisi teorica dei fenomeni, non certo per un vezzo intellettualistico, ma perché convinti che sia l’unica strada percorribile. Cogliere la natura effettiva dei processi economici, politici e militari in atto, individuare i meccanismi attraverso i quali l’ideologia dominante tenta di mantenere la sua egemonia sulla società, ci dota delle armi con le quali altri rivoluzionari, in epoche passate, sono riusciti a imprimere alla storia prospettive diverse da quelle predeterminate dai nostri avversari di classe. Per questo abbiamo attinto e attingeremo da “l’imperialismo” di Lenin, aggiornando una lezione che nel suo approccio metodologico/analitico riteniamo sia ancora attuale, perché “ci obbliga a guardare la società nel suo complesso”, a mantenere alto il livello di ricerca “sul campo”, indagando le contraddizioni determinate dall’attuale fase di sviluppo del Modo di Produzione Capitalistico.
Le relazioni proposte alla riflessione e al dibattito non si sono mai attardate in un’analisi immediatistica dei fenomeni che ogni giorno osserviamo. Ognuna, da un angolo visuale diverso ma tra esse complementari e sinergiche, ha proposto precise letture degli scenari storico/economici, politici e ideologici entro i quali si sono determinate le condizioni dell’attuale competizione tra poli imperialisti e tra essi e le nuove aree “emergenti” (BRICS – Polo arabo/islamico).
Uno scenario che, nella sua costante e fisiologica mutevolezza, ha confuso tanta intellettualità radical-chic, condizionando e orientando negli anni passati movimenti e partiti.
Le relazioni di Carchedi, Vasapollo e Gattei hanno riportato saldamente con i piedi per terra chi si è fatto abbindolare dalle dissertazioni su improbabili “imperi” e indistinte moltitudini come prodotto ed evoluzione delle contraddizioni del capitalismo. La radice e il costante motore delle crisi cicliche del capitalismo continua a essere quella caduta tendenziale del saggio di profitto individuata da Marx oltre un secolo fa, che ciclicamente determina laceranti contraddizioni tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione. Contraddizioni che agiscono sulla e nella vita di milioni di proletari, percepibili a occhio nudo – per chi ha gli occhiali adatti e li vuole utilizzare – nel quotidiano dispiegarsi della crisi sistemica. Per uscire da questo circolo vizioso del MPC, costato all’umanità due guerre mondiali e immani sofferenze, per i due economisti non sono utili le ricette keynesiane, ma un cambio totale di paradigma e la rottura delle “gabbie” imperialiste, a partire da quelle costruite dall’UE.
Di Unione Europea si è parlato in tutte le relazioni, per la centralità che riveste questo polo imperialista in costruzione nella nostra riflessione e nelle battaglie presenti e future. Un Polo, come ha argomentato Sergio Cararo nella sua relazione, che in questi ultimi anni “si è progressivamente consolidato sotto gli occhi di tutti, sotto la leadership economica e militare di Germania e Francia”.
Da qui l’indicazione e l’obiettivo centrale per la RdC: scagliare tutte le nostre energie contro l’UE, poiché non esiste movimento rivoluzionario che non si ponga l’obiettivo della lotta contro il proprio imperialismo. In questo compito occorrerà concentrare attenzione e impegno, in un momento nel quale ipotesi riformiste (si veda l’attuale vicenda greca) si cimentano nel tentativo fallimentare di cambiare le regole della costruzione europea dal suo interno, che rischia di aprire la strada a movimenti reazionari di massa, foraggiati e sostenuti da una classe dominante disposta a giocare tutte le carte, compresa quella nazi – fascista (come sta avvenendo in Ucraina), per mantenere saldamente in mano le leve del potere.
Una battaglia politica, quella contro il riformismo, che dovremo combattere in un’arena dominata dall’ “egemonia culturale” dell’avversario, costruita in oltre venti anni di arretramento complessivo del movimento operaio, coadiuvato dal passaggio armi e bagagli sul carro del vincitore del gruppo dirigente dell’ex PCI, della CGIL e di buona parte dell’ex PRC. Gettando nella pattumiera della storia una grande sedimentazione politica, culturale e organizzativa, molti di questi ex leader “di sinistra” si candidano ad essere la rappresentanza istituzionale di quella parte di borghesia che tenta di adeguare la cosiddetta “azienda Italia” alle direttive della troika europea. Il recente via libera della Commissione Europea alla legge di stabilità, gli elogi di Marchionne al Jobs Act, sono il miglior biglietto da visita per far svolgere in pieno questa funzione a Renzi e al suo governo.
L’egemonia borghese di oggi, indebolita dalla distruzione sistematica del sistema di welfare oramai insostenibile per un’UE in competizione diretta con gli altri poli imperialisti, usa l’ideologia come vera e propria arma di distrazione di massa ha sottolineato la relazione di Mauro Casadio. Portata avanti con tutti i mezzi di comunicazione di massa borghesi, l’ideologia dominante riesce, nonostante i colpi durissimi inferti al tenore di vita e ai diritti delle maggioranze, a passivizzare e talvolta a “conquistare” ampi settori del mondo del lavoro.
Altro elemento di “egemonia indotta” è la perdita di ruolo e di conoscenza nei e dei cicli produttivi da parte di milioni di lavoratori, ridotti in lavori “ancillari”, svolti a monte” e a valle di produzioni automatizzate a tal punto da ridurre al minimo l’uso di mano d’opera, come ci ha spiegato Francesco Piccioni nella sua relazione. Emarginati o esclusi completamente dai cicli produttivi, i soggetti che compongono il nostro “blocco sociale di riferimento” sono dispersi in una quantità infinita di figure sociali, che vivono un rapporto con la realtà dello sfruttamento molto differenziato, complicando il compito che ci siamo assegnati di ricomposizione.
Per questo il terreno della battaglia ideologica diviene centrale. Occorrerà lavorare sui nostri strumenti di comunicazione, risalendo la china di linguaggi e metodi che non sono stati in grado in questi anni di “bucare” l’attenzione dei nuovi soggetti sociali emersi dalle profonde mutazioni della società, contrapponendo all’egemonia borghese una visione del mondo non immaginifica ma molto materiale, in grado cioè di rovesciare i paradigmi imposti dall’ideologia borghese, indicando alternative praticabili. In questo senso la proposta politica di rottura dell’UE per la costruzione di un’area euro – mediterranea solidale e internazionalista, il rilancio di parole d’ordine come lo storico “lavorare meno – lavorare tutti” a fronte di una disoccupazione di massa che aumenterà sempre più a causa dello sviluppo dei sistemi di produzione automatizzati, indicano prospettive di lotta molto concrete, in netta controtendenza rispetto alle pratiche di una sinistra “radicale” e “antagonista”, prigioniere o di un suicida tatticismo elettoralista, oppure di un rivendicazionismo para sindacale e movimentista senza alcuna prospettiva.
I fronti di guerra aperti dai poli imperialisti in competizione – sociali all’interno dei paesi del centro, militari contro i paesi “periferici” -, hanno imposto a una forza militante come la nostra passaggi politico/organizzativi in grado di metterci in condizione di intervenire adeguatamente. La quarta assemblea nazionale, svoltasi nel gennaio scorso, si è concentrata esattamente su questa impellenza: a una velocizzazione di tutti i processi economici, politici e militari che investono il nostro paese, occorre rispondere con un forte adeguamento, sul quale siamo impegnati. In questo lavoro, il forum di Bologna ci ha dato molta “legna da ardere”, indicando le priorità intorno alle quali concentrare attenzione e energie.
Da questo forum escono quindi spunti di riflessione e analisi, indicazioni e proposte politiche che, ci auspichiamo, saranno raccolte da aree di comunisti, antimperialisti e militanti contro la guerra che sappiamo essere ancora consistenti nel paese.
L’obiettivo della Rete dei Comunisti è trasformare quel momento di confronto in un percorso di organizzazione del conflitto, sul terreno della lotta contro gli imperialismi, dall’Unione Europea, polo che produce costantemente guerra interna contro le masse popolari, esterna contro i paesi circostanti, alla ricerca spasmodica di mercati, mano d’opera a basso costo, risorse materiali e territori .
Intendiamo mettere “a valore” questo bagaglio di saperi, attraverso una campagna d’iniziative in tutte le città dove siamo presenti e dove saremo chiamati al confronto, con l’obiettivo di ricostruire nel paese un’area antimperialista capace di agire concretamente nella società, contro una tendenza alla guerra che condizionerà sempre più le politiche interne ed estere di un polo imperialista da spezzare, non certo riformabile dal suo interno.
Con quest’obiettivo sollecitiamo tutti i comunisti, agli anticapitalisti, agli antimperialisti e i militanti contro la guerra di promuovere incontri, assemblee, iniziative di mobilitazione in ogni territorio raggiungibile, per la ripresa di un coerente e determinato movimento contro la guerra.
Rete dei Comunisti
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