Short Strand è un lembo di asfalto di una manciata di chilometri quadrati che si staglia nell’East Belfast appena passato l’Albert Bridge. Grigia, monotona e polverosa, come ogni area deprivata della capitale della parte Nord dell’Irlanda, in Short Strand si respira ancora follemente la vacuità e l’ipocrisia della presunta pacificazione. East Belfast è la zona più omogeneamente lealista della città e Short Strand vive come un pugile all’angolo la propria identità repubblicana. La sensibile ghettizzazione della popolazione cattolico-irlandese nell’East Belfast è resa insopportabile in queste abbastanza calde – anche se sempre umide – giornate estive.
Il mese di Luglio è senz’altro un mese rovente per chi crede che la pacificazione dell’area Nord dell’isola d’Irlanda sia già realizzata in tutta la sua pregnanza sociale. Il giorno nero è senza ombra di dubbio il 12, quando le logge orangiste si apprestano a commemorare con differenti parate e marce la vittoria di Guglielmo III nella storica battaglia di Boyne.
L’Ordine d’Orange, nato nel 1795 per contrastare il movimento degli United Irishmen che chiedevano l’indipendenza dell’isola e propugnavano l’idea di un’Irlanda unita nel rispetto delle diverse confessioni, rimane oggi il movimento massonico-lobbista che funge da fulcro e collante al settarismo protestante nell’Irlanda del Nord. Fin dai suoi esordi a difesa della supremazia protestante e garante della lealtà alla Corona britannica, l’Ordine si è storicamente reso protagonista di trame oscure, collaborazioni e indottrinamento dei vari gruppi paramilitari lealisti che hanno insanguinato la storia recente di questa isola.
Ormai da oltre due secoli la vittoria di Guglielmo III d’Orange sul re cattolico Giacomo II, vittoria che ha di fatto sugellato per anni la supremazia politica protestante e il dominio britannico sull’isola, viene festeggiata dai protestanti orangisti con centinaia e centinaia di parate. Quest’anno, secondo dati emersi dalla lista web della Parades Commission, le “camminate” del cosiddetto The Twelfth dovrebbero superare di qualche decina quota 450 nel piccolo stato del Nord, contandone circa 50 solo nella città di Belfast.
Sebbene – effettivamente – i pogrom nei quartieri cattolici siano ormai ricordi della storia, le commemorazioni del The Twelfth ancora oggi, dopo quattordici anni dall’accordo del Venerdì Santo, continuano ad incendiare il clima apparentemente acquietato della città.
Bombetta in testa, tamburo, flauto, sash o collare arancione con stemmi regali, canti di lealtà, onore, ordine e un nutrito totem di bandiere, dalla Union Jack alla bandiera del Nord Irlanda, dai vessilli più marcatamente lealisti a un’orgia di Mano Rossa dell’Ulster, è questo il pantheon simbolico del perfetto orangista che marcia.
Se fosse solamente per il cattivo gusto, l’anacronismo e la pateticità di una manifestazione siffatta, non ci sarebbe alcun problema nell’archiviare tutto ciò nella cartella del folklore onanistico di una massa felicemente suddita. Ma, si sa, una becera scintilla – come questa – calata nella polveriera storico-religiosa e sociale dell’Irlanda del Nord può dare luogo ad esplosioni estemporanee di dolori collettivi che abitano il rimosso di un popolo storicamente dominato e che emergono in una violenza incubata dalla frustrazione di una vita di indigenza.
Come ogni 12 Luglio, anche quest’anno a Short Strand non si esce. Delimitato ad Ovest dal Lagan River e ad Est dalla Peaceline (muro che divide fisicamente le due comunità) di Bryson Street, questo avamposto cattolico si vedrà a Sud, in Albertbridge Road, e a Nord, in Newtownards Road, sbarrare la strada dai blindati della PSNI che difendono il passaggio della parata orangista.
Short Strand non è solo polveroso, ma è una polveriera. Disoccupazione, unlitteracy, droga, alcol, anomia, abbandono scolastico, ghettizzazione, infanzia devastata da una genitorialità segnata dalla stagione dei Troubles. Questa è la quotidianità di un ragazzo medio di Short Strand. Ed è in questo contesto di chiusura e povertà materiale e culturale che si elaborano i sentimenti e le reazioni umane – troppo umane – di un post adolescente irlandese nell’East Belfast.
Le bandiere britanniche sventoleranno anche questo 12 luglio al di là della chiesa di Saint Matthews, i canti orangisti parleranno di onore e fedeltà alla regina, mentre la polizia – di schiacciante maggioranza protestante – e il servizio d’ordine lealista chiuderanno fisicamente nel loro ghetto gli abitanti di Short Strand. Patrick1 scenderà ancora una volta le scale della sua abitazione, insieme ai suoi compagni coetanei, e lancerà di nuovo la sua dozzina tra molotov e bombe carta a blindati ed orangisti, consegnando i suoi diciotto anni all’inevitabile spirale di odio e marginalizzazione. Quando a ottobre tornerò a trovarlo – se lo troverò – in un centro socio-culturale di quell’area marginalizzata, mi rifarà vedere soddisfatto la sua faccia su you-tube. Io gli domanderò – come lo scorso febbraio – se crede che sia giusto fare così. E lui mi risponderà nuovamente. It’s my life.
Mi immagino già il cielo plumbeo della città, immersa nel silenzio rotto dai tonfi vuoti delle bombe carta e dal rullare sordo dei tamburi orangisti. In sottofondo, quasi come musica da camera, il rumore degli autoblindo che caricano e gli idranti che liberano il passo. Belfast si svuota il 12 luglio. Chi può se ne va. Rimangono un campo di battaglia e le ferite ancora fresche di decenni di odio.
A Short Strand, come ad Ardoyne, in Springfield Road come a New Lodge e in Lower Ormeu nei giorni di Luglio resta ancora tangibile il confine netto tra oppresso ed oppressore. Mentre ai piani alti della City Hall sventola beffarda la Union Jack, dall’altra parte del Lagan gli occhi gonfi e arrossati di Patrick testimoniano l’innocenza di un odio che non è suo.
1 Il nome è fittizio. Ho utilizzato Patrick perché segno incontrovertibile della provenienza culturale.
* Senza Soste 4 luglio 2012
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