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Le “Pussy Riot” e Amnesty International. Il declino della protesta politica

La sua azione veniva caratterizzata da due principi che contribuivano al suo successo: la neutralità e la prudente discrezione.
Nel contesto della Guerra Fredda, in origine AI si era fatta dovere di bilanciare le sue campagne in favore dei detenuti politici fra ognuna delle tre regioni ideologiche: l’Occidente capitalista, l’Oriente comunista e il Sud in via di sviluppo.
Le campagne erano caratterizzate dalla cautela e dalla riservatezza, evitando polemiche ideologiche e concentrandosi sulle condizioni giuridiche e fisiche dei prigionieri. Il loro scopo non era quello di utilizzare i prigionieri come scusa per inveire contro un governo “nemico”, ma di persuadere i governi a cessare la persecuzione dei dissidenti non violenti.
Si adoperava con successo per esercitare un’influenza civilizzatrice universale.
Con la fine della Guerra Fredda, il lavoro di Amnesty International è diventato più complicato e più difficile.
Con riferimento ai tempi iniziali, la maggior parte dei “detenuti politici” era trattenuta sia nel blocco sovietico che nei regimi dittatoriali dell’America Latina satelliti degli Stati Uniti, la qual cosa facilitava la simmetria senza offendere indebitamente la superpotenza usamericana.
Ma soprattutto in seguito alle reazioni dell’amministrazione Bush agli attacchi dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti si sono progressivamente trasformati nel carceriere più famoso del mondo.
Questo ha sottoposto un’organizzazione, la AI, il cui nucleo è anglo-usamericano, a pressioni contraddittorie.
Anche se AI ha protestato contro abusi talmente flagranti, come Guantanamo, e contro l’oltraggiosa incarcerazione di Bradley Manning (il soldato accusato di avere passato informazioni riservate al sito WikiLeaks di Julian Assange), per “bilanciare” tali critiche puntuali Amnesty sembra subire pressioni, col denunciare in modo generalizzato quei governi presi di mira da parte degli Stati Uniti per un cambio di regime.
Nel caso delle “rivoluzioni colorate”, supportate nel retroscena dagli Stati Uniti, organizzazioni per i diritti umani, come AI e Human Rights Watch, si sono arruolate non per difendere particolari e specifici prigionieri politici, ma piuttosto per denunciare abusi non specifici, a volte con scarsa possibilità di una seria documentazione.
Gli Stati Uniti sono riusciti progressivamente ad assumere il controllo di Amnesty International nel corso delle loro campagne di politica estera.
Una pietra miliare in questa presa di controllo è stata posta lo scorso gennaio, quando Suzanne Nossel, molto quotata al Dipartimento di Stato, è stata nominata direttore esecutivo di Amnesty International USA.
Come Vice Assistente del Segretario di Stato per le Organizzazioni Internazionali, la sig.ra Nossel ha giocato un ruolo decisivo nella stesura della risoluzione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani sulla Libia. Tale risoluzione, sulla base di rapporti esageratamente allarmistici, è servita a giustificare la risoluzione delle Nazioni Unite che ha condotto alla campagna di bombardamenti della NATO, che ha rovesciato il regime di Gheddafi.
Accreditata per aver coniato l’espressione “smart power” (potenza intelligente), ripresa da Hillary Clinton come slogan politico, la sig.ra Nossel ha conquistato il riconoscimento internazionale per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, posizionando così gli Stati Uniti come avanguardia dei diritti umani in confronto a molte società tradizionaliste del mondo, specialmente quelle i cui regimi lo “smart power” (1) degli Stati Uniti vuole mettere in imbarazzo, isolare, o addirittura rovesciare.
In questa nuova fase, AI, come Human Rights Watch e altre organizzazioni occidentali “umanitarie”, hanno cessato di fare qualsiasi distinzione tra l’autentica repressione di pensatori dissidenti e il tipo di repressione che viene scatenata da deliberate provocazioni, le cui azioni hanno l’unico scopo di precisamente provocare la repressione, al fine di accusare un regime preso di mira di essere repressivo.
Il gruppo serbo “Otpor” è stato pioniere in questo tipo di azioni, seguendo gli insegnamenti di Gene Sharp (2).
Queste azioni, che in qualsiasi parte del mondo sarebbero state considerate comportamenti atti a scatenare disordini, sono elevate al livello di Victor Hugo (3) che senza mezzi termini sfida Napoleone III.
Né la qualità della dissidenza né il suo contesto sembrano avere importanza. E nessuno si ferma a riflettere seriamente come trattare con i provocatori che deliberatamente infrangono la legge, al fine di essere arrestati. Dovrebbe la legge venire sospesa appositamente per loro? O che cosa? Arrestarli, si cade in una trappola, ma non arrestarli susciterebbe proteste da parte dei cittadini indignati che non amano tali manifestazioni esibizionistiche. Si tratta di un vero dilemma.
Amnesty International ha dedicato una straordinaria attenzione al caso delle “Pussy Riot”, mentre ha ignorato totalmente, per esempio, la minaccia degli Stati Uniti rivolta a Julian Assange di metterlo in stato di accusa, che ha indotto Assange a chiedere asilo politico.
La cosa più notevole di questa attenzione, e dell’attenzione dei media occidentali, in generale, è il suo tono. Il tono non è affatto un appello diplomatico inteso a persuadere le autorità a liberare le giovani in questione. Piuttosto, è un tono di provocazione.
Ad esempio, dai testi originali, che ho ricevuto da parte della citata organizzazione:
“Masha, Nadia e Maria, che sono state imprigionate per la loro esecuzione nonviolenta di una canzone di protesta in una cattedrale, potrebbero sicuramente venire deportate in un campo di lavoro in Siberia, dove saranno a rischio di stupri e altri abusi.”
“Il crimine delle “Pussy Riot”? L’avere cantato una canzone di protesta in una chiesa.”
“Amnesty International sta organizzando una forte risposta globale per aiutare a mantenere il caso delle “Pussy Riot” sempre al centro dell’attenzione. Aiutateci a mandare un camion di passamontagna colorate al Presidente Putin in segno di protesta.”
“Il verdetto di oggi è emblematico dei tentativi crescenti del Presidente Putin e della sua cricca di soffocare la libertà di parola in Russia. Ecco perché stiamo inviando al Presidente Putin tante maschere colorate, i passamontagna, quante possiamo. Donate 20 dollari o più per inviare una maschera a Putin. … È chiaro che le autorità russe stanno cercando di mettere il bavaglio a queste donne e di instillare paura negli altri attivisti.
Non permettere che questo abbia successo!”
Si tratta di un tono che non può che rendere politicamente più, non meno, difficile per il Presidente Putin ribaltare la sentenza della Corte e concedere l’amnistia e la liberazione anticipata alle giovani donne.
Amnesty International, come i media occidentali, hanno costantemente semplificato il caso in termini destinati a suggerire che la Russia sta tornando al governo stalinista degli anni ‘30.
Il tabloid francese Libération occupava tutta la sua prima pagina con la foto delle tre donne:
“Verso il GULAG per una canzone!”

C’è un prezzo da pagare!
“Avaaz”, un’organizzazione che promuove la protesta on-line, si è spinta più lontano:
“La Russia sta scivolando senza tregua nella morsa di una nuova autocrazia … Ora, si presenta in Europa la nostra migliore occasione per dimostrare a Putin che vi è un prezzo da pagare per questa repressione.
Il Parlamento europeo è in procinto di esigere il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per gli appartenenti alla potente cerchia di Putin, accusati di reati multipli. … Se saremo in grado di spingere gli Europei ad agire, non solo colpiremo duramente la cerchia di Putin, con depositi bancari e proprietà immobiliari in Europa, ma anche daremo un colpo al suo sistema di propaganda anti-occidentale, mostrandogli che il mondo intero ha la volontà di mettersi al fianco di un Russia libera.”
Il mondo intero? Ma è veramente questa la maggior preoccupazione del mondo intero?

Avaaz continua:
“Quello che avviene in Russia è importante per tutti noi. La Russia ha bloccato il coordinamento internazionale sugli avvenimenti della Siria e su altre questioni urgenti globali, e una autocrazia russa minaccia il mondo che tutti noi vogliamo, ovunque ci troviamo.”
Il mondo che tutti noi vogliamo? O il mondo che vuole la Hillary Clinton?
All’incontro dei cosiddetti “Amici della Siria” (cioè i sostenitori dei ribelli siriani), riunitisi a Ginevra lo scorso 6 luglio, Hillary Clinton si è scagliata contro la Russia e la Cina, che a suo dire nell’ambito delle Nazioni Unite bloccano le iniziative per un cambiamento di regime in Siria, tanto sponsorizzato dagli Stati Uniti.
La Clinton ha avvertito: “Non credo che la Russia e la Cina siano disposte a pagare un qualsiasi prezzo – e tutto ciò per niente – per tenere in piedi il regime di Assad. Se tutte le nazioni qui rappresentate, direttamente e con urgenza, renderanno chiaro alla Russia e alla Cina che ci sarà un prezzo da pagare, allora questo sarà l’unico modo che farà cambiare loro posizione.”
Questo è ciò che vuole la Hillary, e questo è ciò che la Hillary ottiene – almeno nel ristretto mondo della “comunità internazionale”, composta da Stati Uniti, dai loro satelliti della NATO, dalle ONG e dai loro mezzi di comunicazione totalmente al loro servizio.

Avaaz conclude:
“Noi, uniamoci ora per mostrare a Putin che il mondo gli presenterà il conto, ed esercitiamo la nostra pressione per un cambiamento, fino a quando la Russia diventi libera.”
Ora riflettiamo un po’ su questo.
“Noi”, coloro che firmano le petizioni di Avaaz, aspirerebbero a “mostrare a Putin” che, malgrado sia stato legittimamente eletto Presidente della Russia, il mondo esterno starebbe spingendo “per un cambiamento, fino a quando la Russia diventi libera.”
Chi starebbe spingendo per la libertà? Le “Pussy Riot”? Quando hanno vinto, quando potrebbero vincere un’elezione? E poi, in che modo la Russia può “diventare libera”? Attraverso una “no-fly zone”? Mediante i droni degli U.S.A.?
La Russia deve “pagare un prezzo” per il suo ostruzionismo ai disegni statunitensi sulla Siria. Le “Pussy Riot” fanno parte del prezzo?
Il coro dei media occidentali, le star del pop, e altri ben assortiti sedicenti umanitari hanno fatto cassa di risonanza all’idea che le giovani “Pussy Riot” sono state imprigionate “da Putin” a causa di una canzone innocente che avevano cantavano contro di lui in una chiesa.
Ma dove sono le prove che sono state arrestate da Putin?
Sembra che siano state arrestate dalla polizia su una denuncia da parte della Chiesa ortodossa, che non ha apprezzato la loro allegra baldoria sull’altare maggiore.
Le Chiese tendono a ritenere che il loro spazio sia riservato per i propri riti e cerimonie.
La cattedrale cattolica di Colonia ha chiamato la polizia per arrestare i “gatti” che scimmiottavano le “Pussy Riot”. Non era la prima volta che il gruppo “Pussy Riot” aveva invaso una chiesa ortodossa, e questa volta gli ecclesiastici offesi si sono stufati.
Il gruppo aveva dimostrato “contro Putin” più volte in precedenza, senza essere arrestato.
Allora, dove è la prova che queste giovani sono state “messe in galera da Putin”, come un “giro di vite sul dissenso”?
Putin è stato registrato, e in video, quando ha dichiarato di ritenere che le giovani non dovevano essere tanto severamente punite per la loro bravata. Ma ohibò, la Russia ha un sistema giudiziario. La legge è la legge. Una volta che le donne sono state arrestate su una denuncia da parte della chiesa, le ruote si sono messe in moto, un processo si è svolto, sono state giudicate colpevoli e condannate da un giudice sulla base di denunce da parte di Cristiani offesi.
Particolare interessante sta nel fatto che coloro che avevano assistito direttamente alla “esibizione” non sono riusciti a sentire alcuna menzione di Putin – erano semplicemente scandalizzati dalle capriole e dalle parolacce pronunciate dalle esecutrici mascherate.
Sembra che la “canzone”, se la possiamo così definire, e il testo anti-Putin , se è possibile definirlo “testo”, siano stati aggiunti in seguito al video messo on line da parte del gruppo.

Allora, per quale ragione verrebbe individuato tutto questo come “un giro di vite da parte di Putin”? Perché, una volta che l’Occidente etichetta un leader di uno Stato straniero non a lui ossequiente come “dittatore”, questo Stato non ha più un sistema giudiziario suo proprio, libere elezioni, media indipendenti, libertà di espressione, cittadini soddisfatti – no, niente di tutto ciò, perché nel pensiero collettivo dell’Occidente, ogni “dittatore” è una combinazione di Hitler / Stalin, e quello che si fa o avviene nel suo paese non è altro che il risultato della sua volontà malvagia. Alla fine, naturalmente, la sua più grande aspirazione è probabilmente quella di “massacrare il suo stesso popolo”.
Per fortuna che Avaaz, Amnesty International e Libération sono allerta ..!

Naturalmente, sarebbe assurdo immaginare che i cittadini della Russia, o di qualsiasi altro paese, siano tutti soddisfatti dei loro dirigenti, anche se eletti con una maggioranza schiacciante.
Anche i paesi democratici offrono solo una scelta limitata di candidati presidenziali ai loro elettori.
Ma dopo secoli di autocrazia zarista, invasioni di Mongoli, Napoleone e Hitler, la rivoluzione bolscevica, la dittatura comunista del partito unico, poi il crollo economico e sociale degli anni di Eltsin, attualmente la Russia ha comunque in modo largo adottato la versione di democrazia capitalistica dell’Occidente, completa di rispetto per la religione.
E sta qui la stranezza: l’Occidente, che ha usato puntare i suoi missili balistici intercontinentali contro il “comunismo ateo”, non sembra per niente soddisfatto che la Chiesa cristiano-ortodossa sia riemersa come una componente degna di rispetto della società russa.
Il criterio occidentale per una società libera è cambiato. Non interessa più la libertà di praticare una religione, ma la libertà di praticare una forma di sessualità condannata dalla religione. Ora, questo può essere un miglioramento importante, ma dal momento che l’Occidente cristiano ha impiegato duemila anni per arrivare a questo livello di saggezza, dovrebbe portare un po’ più di pazienza con le altre società in ritardo di un decennio o giù di lì.
È una costante manifesta della storia russa che i suoi dirigenti siano combattuti tra l’emulare l’Europa occidentale e il riaffermare le proprie tradizioni – quello che viene definito “slavofilia”. Dopo un periodo di occidentalizzazione, gli Slavofili di solito trionfano perché l’Occidente respinge brutalmente le aperture amichevoli degli Occidentalisti. Questo procura ai leader occidentali più aggressivi la scusa perfetta per usare la forza e la coercizione contro i Russi “arretrati”.
Questo sembra accadere di nuovo, con una particolarmente bizzarra torsione post-moderna.
Molti commentatori informati hanno puntualizzato che le “Pussy Riot” non sono una “banda rock”, composta da cantanti e musiciste. Costoro non compongono alcuna canzone, non fanno registrazioni, non cantano e ballano ai concerti per i loro fan.
Nella migliore delle ipotesi, potrebbero essere descritte come “artiste da performance”, …sulla linea del personaggio “J.J.” della striscia a fumetti “Doonesbury” (4).
La loro arte consiste nell’attirare l’attenzione, tra le altre cose, togliendosi i vestiti e copulando in un museo  http://yellowpress.ws/?public=6218  o masturbandosi con una gallina morta in un supermercato. (Tutto da vedere on line.)
Questo viene definito “arte di protesta”. Si tratta solo di provocazione. Che cosa si provoca? Secondo i praticanti di questo genere di cose, che tendono a pensarsi come individui di gran lunga più intelligenti dei comuni mortali, in questo modo si intende dare la sveglia alle masse addormentate, insegnare loro con l’esempio a liberarsi, a rompere i tabù, a sfidare l’autorità.
“Performance art” intelligente può fornire un punto di vista politico alla gente, che così lo può afferrare. Ma qual è il messaggio che viene diffuso dal fare sesso pubblico con pollame morto?
L’Occidente, o almeno i media occidentali, i politicanti e gli umanitari, sembrano afferrare il messaggio. Essi interpretano quella delle “Pussy Riot” come una protesta politicamente significativa contro Vladimir Putin.
Una piccola percentuale di Russi, soprattutto quelli che visitano regolarmente l’ambasciatore statunitense Michael McFaul nella sua ambasciata di Mosca per ottenere incoraggiamento spirituale e… materiale, possono anche vederla in questo modo.
Ma possiamo con sicurezza scommettere che tanti più Russi vedono le esibizioni delle “Pussy Riot” come espressione di “decadenza occidentale”. Soprattutto quando vedono che l’intero Occidente fa il tifo e persino imita le loro azioni.
E in effetti, nella sua buona disposizione e prontezza ad usare qualsiasi cosa per mettere in difficoltà un governo che ostacola gli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti, l’impostazione di politica estera della Hillary Clinton sta favorendo una reazione diffusa e violenta contro la corruzione e la decadenza occidentale, così come viene percepita.
Qualunque sia la loro intenzione, le “Pussy Riot” sono un dono per gli Slavofili.
E dalla nuova Amnesty International ai suoi sostenitori, invece di prendersi la briga di scrivere riflessivi messaggi in favore di dissidenti perseguitati, viene semplicemente chiesto di contribuire con 20 dollari (o più) per un cencio pieno di buchi. Ridicolo!

(1) [N.d.tr.: Nel corso di una audizione davanti al Senato per la sua nomina, il segretario di Stato Hillary Clinton ha dichiarato che “noi dovremmo utilizzare quello che si chiama ‘smart power’, il ventaglio completo dei mezzi a nostra disposizione – diplomatici, economici, militari, politici, giuridici e culturali – e scegliere lo strumento giusto, o una combinazione di strumenti, adatto ad ogni situazione. Con lo ‘smart power’ la diplomazia diventerà la punta di lancia della nostra politica estera”. Clinton ha in seguito precisato il concetto affermando che “la via più saggia sarà di ricorrere per prima cosa alla persuasione”.]
(2) [N.d.tr.: Gene Sharp, filosofo, politico e intellettuale statunitense, è conosciuto per i suoi studi sulla nonviolenza e sulla disobbedienza civile; per questo, Gene Sharp è stato soprannominato “il Clausewitz della guerra nonviolenta”.
Gene Sharp è stato il fondatore, nel 1983, dell’Albert Einstein Institute per “lo studio e l’utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo”.
Il suo pensiero e i suoi testi sono considerati fonte di ispirazione per i movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto in particolare le Rivoluzioni colorate negli stati indipendenti un tempo parte dell’Unione Sovietica che hanno rovesciato… pacificamente i governi in carica sostituendoli con nuovi governi più filo-occidentali.]
(3) [N.d.tr.: Nel 1848, Victor Hugo entra a far parte come deputato dell’Assemblea Costituente, ma il colpo di stato che nel 1851 porta al potere Napoleone III segna l’inizio del suo declino politico: dapprima Hugo appoggia l’elezione del giovane Luigi-Napoleone Bonaparte alle presidenziali, poi — quando il nuovo presidente, futuro imperatore, inizia a prendere provvedimenti anti-liberali quali l’abrogazione della legge elettorale del 1850, riducendo di un terzo gli aventi diritto al voto — ne prende le distanze; inutile sarà il tentativo del Comitato di resistenza repubblicana, di cui fa parte, per sollevare la popolazione parigina: a Hugo, strenuo difensore di un regime liberale, non resta che attaccare Napoleone III con scritti e discorsi contro la miseria e le repressioni, che diventavano nel frattempo sempre più intolleranti.]
(4) [N.d. tr.: “Doonesbury” è una striscia a fumetti disegnata da Garry Trudeau. Famosa negli Stati Uniti, è pubblicata su quasi 1400 giornali e riviste nel mondo. In Italia è pubblicata dalla rivista “Linus” e dal quotidiano on-line “Il Post”. La striscia ha fatto la sua prima apparizione sullo “Yale Daily News”, il quotidiano studentesco dell’università di Yale, nel settembre 1968.  Doonesbury può essere vista come la prima striscia che rompe la distinzione tra un commento editoriale ed i fumetti intesi come puro svago leggero. Negli anni ‘70 il presidente statunitense Gerald Ford si trovò a dire che “sono tre le maggiori fonti di informazione che ci tengono aggiornati su cosa accade a Washington: i mass-media elettronici, i giornali e Doonesbury – non necessariamente in quest’ordine”. I personaggi di Doonesbury sono numerosi e tantissime sono le comparse; sulle loro vicende nella striscia si riflettono i cambiamenti della società americana; gli intrecci tra loro sono degni di un serial televisivo. I personaggi del nucleo “storico”, (Mike, Mark, Joanie, Zonker, B.D., Boopsie, il reverendo Scott, Nichole) provengono tutti dall’università di Walden dove vivevano in una comune.  Michael Doonesbury, dopo la laurea si sposa con J.J. Caucus, figlia di Joanie Caucus – ex casalinga convertita al femminismo, che ha abbandonato il marito per iscriversi alla facoltà di legge di Walden. J.J. Caucus – figlia di Joanie, si dedica alla “performance art”]

Diane Johnstone è l’autrice di “Fools’ Crusade: Yugoslavia, Nato, and Western Delusions – La Crociata degli Inganni: Yugoslavia, Nato e Allucinazioni Occidentali” pubblicato da Monthly Review Press.

http://www.counterpunch.org/2012/08/28/the-decline-of-political-protest/

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova;
articolo consigliato da <slava1@alice.it>)
28 agosto 2012, Parigi

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