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La distruzione dei beni comuni

La distruzione dei beni comuni,

ovvero come la Magna Carta è divenuta una Minor Carta

di Noam Chomsky

Questo articolo è un adattamento da una comunicazione indirizzata da Noam Chomsky il 19 giugno 2012 all’Università di St. Andrews, nel Fife, Scozia, in occasione delle celebrazioni del 600° anniversario dalla sua fondazione.

Attraverso il corso di solo poche generazioni, si arriverà all’anniversario dei mille anni della Magna Carta, uno dei grandi eventi nell’affermazione dei diritti civili e umani. [La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) è un documento, scritto in latino, che il re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai feudatari del Regno, il 15 giugno 1215].

Se la Magna Carta sarà celebrata, rimpianta, o semplicemente ignorata, non è del tutto chiaro.

Questo dovrebbe costituire materia di seria ed immediata preoccupazione. Quello che noi ora facciamo, o manchiamo di fare, determinerà quale tipo di mondo saluterà questo evento. Non si prospetta nulla di attraente se persistono le attuali tendenze – per certo!, perché la Magna Carta viene stracciata di continuo davanti ai nostri occhi.

La prima edizione scientifica della Magna Carta è stata pubblicata da un eminente giurista, William Blackstone (1759). Non è stato un compito facile. Non esisteva un buon testo disponibile. Come egli ha scritto, “purtroppo, il corpo originale della Carta era stato rosicchiato dai topi” – un commento che trasporta con sé all’oggi un fosco e triste simbolismo, visto che noi stiamo riprendendo il lavoro lasciato incompiuto da quei topi.

[Immagine: Un facsimile della Carta della Foresta]

L’edizione di Blackstone comprende in realtà due Carte, la Magna Carta e la Carta della Foresta.

La prima, la Carta delle Libertà, è generalmente riconosciuta come il fondamento dei diritti essenziali dei popoli di lingua inglese – o come Winston Churchill giudicò in senso lato, “il contratto sociale di ogni uomo che si rispetti, in qualsiasi momento, in ogni posto della terra.” Churchill si riferiva specificamente alla riaffermazione della Carta da parte del Parlamento nella Petizione dei Diritti, in cui veniva rivolta la supplica al re Carlo a riconoscere che è la legge ad essere sovrana, non il re. Alla breve, Carlo convenne, ma ben presto violava il suo impegno, ponendo le basi per una Guerra Civile omicida.

[Immagine: Il processo a Sir Henry Vane (il giovane), decapitato per lesa maestà il 14 giugno 1662]

Dopo un aspro conflitto tra il re e il Parlamento, veniva restaurato il potere della regalità nella persona di Carlo II.

Nella sconfitta, la Magna Carta non veniva dimenticata. Uno dei leader del Parlamento, Henry Vane, veniva decapitato. Sul patibolo, egli tentava di leggere un discorso che denunciava la sentenza come una violazione della Magna Carta, ma veniva soffocato dal frastuono assordante di trombe, per assicurare che tali sue parole scandalose non fossero ascoltate dalla folla plaudente.

Il suo maggior crimine era stato quello di redigere una Petizione, che indicava il popolo come “la fonte originale del potere legittimo” nella società civile – non il re, neppure Dio.

Questa è stata la posizione fortemente sostenuta da Roger Williams, fondatore della prima società libera in quello che è oggi lo Stato di Rhode Island. Le sue opinioni eretiche hanno influenzato Milton e Locke, anche se Williams era andato molto più in là, fondando la moderna dottrina della separazione tra Chiesa e Stato, ancora molto controversa perfino nelle democrazie liberali.

Tuttavia, come spesso accade, quella che appariva come una sconfitta ha generato un avanzamento nella lotta per la libertà e i diritti .

Poco dopo l’esecuzione di Vane, il re Carlo concedeva una Carta Reale alle piantagioni della Rhode Island, dichiarando che “la forma di governo è democratica,” e inoltre che il governo poteva affermare la libertà di coscienza per i papisti, gli atei, gli Ebrei, i Turchi – anche per i Quaccheri, una delle più temute e brutalizzate fra le molte sette che comparivano in quei giorni turbolenti. Tutto questo era sorprendente nel clima dei tempi.

Pochi anni dopo, la Carta delle Libertà veniva arricchita dall’Habeas Corpus Act del 1679, formalmente intitolato “una Legge per meglio garantire la libertà soggettiva, e per la prevenzione di un imprigionamento al di là dei mari.”

La Costituzione degli Stati Uniti, improntata sul diritto consuetudinario inglese, afferma che “il diritto di habeas corpus non può essere sospeso”, salvo in caso di ribellione o di invasione.

Con decisione unanime, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato che i diritti garantiti da questo Atto sono stati “considerati dai Padri Fondatori della Repubblica [usamericana] come la più elevata salvaguardia della libertà.”.

Tutte queste parole dovrebbero risuonare alte, ancora oggi!

La Seconda Carta e i Beni Comuni

Il significato della Carta abbinata alla Carta delle Libertà, la Carta della Foresta, non è oggi meno profondo e forse ancora più pertinente – come analizzato appieno da Peter Linebaugh nella sua storia della Magna Carta e dei suoi più recenti orientamenti, riccamente documentata e decisamente stimolante.

La Carta della Foresta impone la protezione dei “beni comuni”, a salvaguardia da influenze e poteri esterni.

I beni comuni erano la fonte di sostentamento per la popolazione in generale: il combustibile, il cibo, i materiali da costruzione, tutto ciò che era essenziale per la vita della gente. La foresta non era una landa selvaggia, allo stato naturale primitivo. Era stata valorizzata con attenzione nel corso delle generazioni, mantenuta in comune, le sue ricchezze a disposizione di tutti, e quindi conservata per le generazioni future – pratiche riscontrate oggi soprattutto nelle società che vogliono conservare le loro tradizioni, e che oggi sono sotto minaccia in tutto il mondo.

La Carta della Foresta imponeva limiti alle privatizzazioni.

Il mito di Robin Hood cattura l’essenza delle sollecitudini della Carta (e non è troppo sorprendente che la popolare serie televisiva degli anni ‘50, “Le avventure di Robin Hood,” sia stata scritta in forma anonima da sceneggiatori di Hollywood presenti nella lista nera (maccartista) per le loro convinzioni di sinistra).

Comunque, con il XVII secolo, la Carta era già caduta vittima del sorgere di un’economia mercantile, e delle pratiche e della morale del capitalismo.

[Immagine: xilografia del 1508, “Robin Hood”]

Con la perdita della tutela dei beni comuni, fonte di sussistenza per tutti, gestiti cooperativamente ed utilizzati dalla comunità nel suo insieme, i diritti dei normali individui venivano limitati a ciò che non poteva essere privatizzato, una categoria che continua a contrarsi, di fatto a rendersi invisibile. In Bolivia, il tentativo di privatizzare l’acqua è stato, alla fine, sconfitto da una rivolta che ha portato la maggioranza indigena al potere per la prima volta nella storia.

La Banca Mondiale ha appena stabilito che la multinazionale mineraria Pacific Rim può intentare causa contro El Salvador, che cerca di preservare le sue terre e le comunità dall’attività mineraria per l’estrazione dell’oro, altamente distruttiva per l’ambiente. Vincoli ambientali minacciano di privare la compagnia mineraria degli utili futuri, un “crimine” che può essere punito in base alle norme del regime del “diritto degli investitori”, spacciato ipocritamente per “libero mercato.”

E questo è solo un campione minimo delle lotte in corso in gran parte del mondo, alcune di violenza estrema, come in Congo orientale, dove milioni di persone sono stati uccisi negli ultimi anni per garantire un ampio rifornimento di minerali per i telefoni cellulari e per altri usi, e, naturalmente, per realizzare mastodontici profitti.

Lo sviluppo delle procedure e dei principi etici del capitalismo ha portato con sé una revisione radicale del modo in cui vengono trattati i beni comuni, e anche del modo in cui sono concepiti. Oggi, l’opinione prevalente è ben condensata nell’argomentare incisivo di Garrett Hardin, che “la libertà esercitata su un bene comune porta la rovina a noi tutti ”, la famosa “tragedia dei beni comuni”: ciò che non è proprietà di qualcuno verrà distrutto dall’avidità individuale.

A livello internazionale veniva concepito il paradigma di “terra nullius”, utilizzato per giustificare l’espulsione delle popolazioni indigene dalle società coloniali di nuovi insediamenti dell’Anglosfera, o il loro “sterminio”, come i Padri fondatori della Repubblica usamericana hanno descritto ciò che stavano facendo, a volte con rimorso, …dopo averlo messo in atto.

Secondo questa dottrina utilitarista, gli Amerindi non avevano diritti di proprietà, dal momento che erano solo nomadi in una natura selvaggia. E i bravi coloni avvezzi al duro lavoro potevano creare valore là dove non c’era nessuno che convertiva quelle lande sperdute ad uso commerciale.

In realtà, i coloni conoscevano meglio la realtà, e venivano elaborate procedure di acquisto di territori, ratificate da Corona e Parlamento, poi annullate con la forza quando le… creature malefiche resistevano allo sterminio.

La dottrina della “terra nullius” è spesso attribuita a John Locke, ma questo è incerto. In qualità di amministratore coloniale, indubbiamente egli aveva capito quello che stava succedendo, ma non vi è alcun fondamento per questa attribuzione riscontrabile nei suoi scritti, come ricerche contemporanee hanno dimostrato in modo convincente, in particolare il lavoro dello studioso australiano Paul Corcoran. (Di fatto, è stato proprio in Australia che questa dottrina è stata applicata più brutalmente.)

Le previsioni cupe della tragedia dei beni comuni non sono prive di sfida.

La defunta Elinor Olstrom ha vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2009 grazie ai suoi lavori che dimostrano la superiorità della gestione diretta dagli utenti di riserve ittiche, pascoli, boschi, laghi e bacini di acque sotterranee.

Ma la dottrina convenzionale conserva la sua forza, se si accetta la premessa sottesa che gli esseri umani sono ciecamente guidati da ciò che i lavoratori usamericani, agli albori della rivoluzione industriale, amaramente definivano come “Nuovo Spirito dell’Epoca”: il “guadagnare ricchezze, non guardare in faccia niente e nessuno, salvo Se stessi!”

Come i contadini e gli operai in Inghilterra prima di loro, i lavoratori usamericani denunciavano questo Nuovo Spirito, che veniva loro imposto, considerandolo come umiliante e distruttivo, un’aggressione alla natura stessa di uomini e donne liberi.

Ed io metto sugli scudi le donne; fra le più attive e schiette nel condannare la distruzione dei diritti e della dignità delle persone libere da parte del sistema capitalista industriale erano presenti le “ragazze di fabbrica”, giovani donne provenienti dalle campagne.

Anche loro, come gli altri, erano state costrette a subire il regime del lavoro salariato, sotto stretta vigilanza e rigido controllo, lavoro che era considerato all’epoca diverso dalla schiavitù solo in quanto temporaneo (la moderna schiavitù salariale, per dirla con Marx).

Questa presa di posizione veniva considerata così naturale che divenne lo slogan ufficiale del Partito Repubblicano, e la bandiera sotto la quale i lavoratori nordisti portarono le armi durante la Guerra civile usamericana (di Secessione).

Imbrigliare il desiderio di democrazia

Questo è avvenuto 150 anni fa – prima, in Inghilterra.

Enormi sforzi sono stati impiegati per inculcare il Nuovo Spirito dell’Epoca.

Imprese importanti si sono dedicate al compito: pubbliche relazioni, pubblicità, marketing a tutto campo, tutto, fino ad aggregare una componente molto importante del Prodotto Interno Lordo.

La loro finalità è consistita in ciò che il grande politico economista Thorstein Veblen ha definito “fabbricare bisogni”.

Secondo le espressioni degli stessi imprenditori, il loro compito è quello di indirizzare gli utenti verso “le cose superficiali” della vita, come “i consumi alla moda.”

In questo modo le persone possono essere atomizzate, separate le une dalle altre, alla ricerca di ottenere solo vantaggi personali, distratte e deviate dai loro eventuali tentativi, assai pericolosi, di un pensare autonomo, in grado di lanciare sfide all’autorità al potere.

Il processo di formazione delle opinioni, degli atteggiamenti e delle percezioni è stato definito come “la fabbrica del consenso” da uno dei fondatori della moderna industria delle pubbliche relazioni, Edward Bernays.

Egli era un rispettato progressista, sulla linea Wilson-Roosevelt-Kennedy, proprio come il suo contemporaneo, il giornalista Walter Lippmann, l’intellettuale pubblico più in vista dell’America del XX secolo, che elogiava “la fabbrica del consenso” come una “nuova arte” nella conduzione della democrazia.

Entrambi sostenevano che il pubblico deve essere “messo al suo posto”, emarginato e controllato – naturalmente, nel suo stesso interesse. Il pubblico è troppo “stupido e ignorante” per potergli consentire di gestire i propri affari. Tale compito deve essere assegnato alla “minoranza intelligente”, che deve essere protetta dal “pesante calpestio e dal ruggito di una mandria inebetita”, dagli “outsiders, ignoranti e impiccioni” – dalla “plebaglia”, per riprendere un termine che aveva riscosso il favore dei predecessori settecenteschi delle moderne élite.

Il ruolo della popolazione in generale doveva essere quello di semplice “spettatrice”, non di “membro attivo”, in una società democratica funzionante con equilibrio. E agli spettatori non deve essere permesso di vedere troppo.

Il presidente Obama ha stabilito nuovi parametri per la salvaguardia di questo principio. Ha, infatti, punito più divulgatori di notizie, che volevano informare l’opinione pubblica, che tutti i presidenti precedenti messi insieme, un vero successo per un’amministrazione che si era insediata sotto l’egida della trasparenza. Wikileaks è solo il caso più famoso, con la cooperazione della Gran Bretagna.

Tra i tanti temi che non devono riguardare le faccende della mandria inebetita troviamo le questioni di politica estera. Chiunque abbia studiato i documenti segreti declassificati avrà scoperto che, in larga misura, la loro classificazione aveva lo scopo di proteggere funzionari pubblici dall’esame critico dell’opinione pubblica.

Sul piano interno, la “plebaglia” non dovrebbe sentire i consigli dati dai tribunali alle grandi imprese: che dovrebbero dedicare con grande ostentazione alcuni dei loro impegni alle “opere buone”, in modo che il “pubblico avvertito” non si accorga dei vantaggi enormi che le imprese succhiano dalle mammelle di uno Stato-balia, per loro assistenziale.

Più in generale, l’opinione pubblica usamericana non dovrebbe rendersi conto che “le politiche statali sono estremamente regressive, che ampliano e rafforzano le disuguaglianze sociali”, anche se progettate in modo tale da indurre “la gente a pensare che il governo aiuta solo le categorie di poveri che non lo meritano, permettendo così ai politici di mobilitare e di sfruttare la retorica e i valori anti-statalisti, anche quando questi politici continuano a condensare ed incanalare prebende verso i loro elettori benestanti” – cito dalla rivista principale dell’establishment, “Foreign Affairs”, non da qualche straccio di giornale radicale.

Nel corso del tempo, quando le società sono diventate più libere e il ricorso alla violenza di Stato più limitato, non ha fatto che crescere il bisogno di elaborare sofisticati metodi di controllo dei comportamenti e delle opinioni.

Risulta naturale che l’immensa struttura industriale delle Pubbliche Relazioni dovesse essere creata all’interno delle più libere delle società, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

La prima moderna agenzia di propaganda è stata il Ministero dell’Informazione britannico, un secolo fa, che in tutta segretezza si assegnava il compito di “dirigere il pensiero della maggior parte del mondo” – in primo luogo quello degli intellettuali americani progressisti, che dovevano essere mobilitati per correre in aiuto della Gran Bretagna durante la Prima Guerra Mondiale.

In analogia, negli Stati Uniti veniva istituita da Woodrow Wilson la Commissione sull’Informazione Pubblica [Commitee on Public Information, chiamata anche Commissione Creel, dal nome del giornalista che la dirigeva, George Creel], per instillare nella popolazione dei pacifisti un odio violento verso tutto ciò che era germanico – con notevole successo.

La pubblicità commerciale statunitense ha impressionato altri in maniera profonda.

Goebbels la ammirava, e l’ha adattata alla propaganda nazista perfino con successo eccessivo (che ha prodotto quei risultati funesti che noi tutti ben conosciamo). Anche i leader bolscevichi l’hanno sperimentata, ma i loro sforzi sono stato maldestri e inefficaci.

[Immagine: “Mantieni la calma e prosegui!” – Nel 1939 il Ministero britannico dell’Informazione stampava 2 milioni di manifesti nella previsione in cui i Tedeschi invadessero l’Isola]

Nella gestione delle questioni interne, un compito di primaria importanza è sempre stato quello di “impedire all’opinione pubblica di prenderci per la gola”, secondo l’espressione del saggista Ralph Waldo Emerson, che così descriveva le preoccupazioni dei leader politici nella metà del XIX secolo, quando la minaccia della democrazia stava diventando più difficile da sopprimere.

Più di recente, anche l’attivismo degli anni ‘60 ha suscitato nelle élite inquietudini per “un eccesso di democrazia”, e perciò venivano invocate misure per imporre “più moderazione” alla democrazia.

Una particolare sollecitudine è stata quella di esercitare maggiori controlli sulle istituzioni “responsabili dell’indottrinamento della gioventù”: le scuole, le università, le chiese, che erano considerate inadempienti a questo compito essenziale.

Sto citando le reazioni provenienti dalla sinistra-liberale, la parte più estrema a sinistra nello scacchiere politico dei dominanti, quegli internazionalisti liberali che in seguito sono andati a costituire il personale dell’amministrazione Carter, e i loro consimili in altre società industriali. L’ala destra era molto più rigida.

Una delle tante manifestazioni di questa urgenza di controllo è stato il forte aumento delle tasse universitarie, non giustificabile per motivi economici, come è facile dimostrare. L’espediente, tuttavia, permette di prendere in trappola e controllare i giovani mediante le panie del debito, spesso per il resto della loro vita, contribuendo in tal modo ad un più efficace indottrinamento.

Esseri umani “ per tre-quinti”

Proseguendo nella disamina di questi importanti argomenti, possiamo notare che la distruzione della Carta della Foresta, e la sua cancellazione dalla memoria, ha attinenza piuttosto stretta con i continui tentativi di restringere la portata della Carta delle Libertà.

Il “Nuovo Spirito dell’Epoca” non può tollerare la concezione pre-capitalista della foresta, secondo cui la foresta costituiva la dotazione condivisa della comunità nel suo complesso, curata dalla comunità per il proprio uso e per le generazioni future, protetta dalla privatizzazione, dal trasferimento nelle mani di potenti privati, a servizio della loro ricchezza, non dei bisogni del popolo.

Inculcare il Nuovo Spirito è un prerequisito essenziale per il raggiungimento di questo scopo, e per impedire che la Carta delle libertà venga assunta come riferimento, non in modo consono ai poteri forti, per consentire ai cittadini liberi di determinare il proprio destino.

Le lotte popolari per determinare una società più libera e più giusta sono state contrastate con la violenza e la repressione, tramite sforzi enormi per controllare opinioni e comportamenti sociali. Nel corso del tempo, però, queste lotte hanno conseguito notevoli successi, anche se resta ancora tanta strada da fare, e spesso assistiamo a regressioni. Come in questo momento, precisamente.

La parte più conosciuta della Carta delle Libertà è l’articolo 39, il quale recita che “nessun uomo libero” deve essere punito in alcun modo, “né si agirà e nemmeno si procederà contro di lui, se non attraverso un giudizio legale dei suoi pari e in conformità alle leggi del paese.”

Grazie a molti anni di lotte, questo principio ha visto estendersi il suo campo di applicazione.

La Costituzione degli Stati Uniti prevede che nessuna “persona può e deve essere privata della vita, della libertà o della proprietà senza un giusto procedimento legale e senza un processo rapido e pubblico” da parte di suoi pari.

Il principio di base è la “presunzione di innocenza” – quello che gli storici del diritto descrivono come “il seme che ha dato vita alla libertà anglo-americana dei nostri tempi”, con riferimento all’articolo 39; e tenendo ben presente il Tribunale di Norimberga, un “paradigma particolarmente usamericano di legalismo: la punizione può essere applicata solo su coloro la cui colpevolezza sia stata comprovata attraverso un giusto processo, regolato da una serie di norme procedurali destinate a proteggere l’accusato”, anche se non esistono dubbi sul fatto che l’accusato abbia commesso crimini da annoverarsi fra i più gravi della storia.

I Padri Fondatori, naturalmente, non intendevano che il termine “persona” dovesse applicarsi a tutte le persone. I nativi Amerindi non erano persone. I loro diritti erano praticamente nulli. Le donne erano a malapena persone. Si presumeva che le mogli esistessero legalmente solo sotto “copertura” dell’identità civile dei loro mariti, più o meno allo stesso modo in cui i bambini erano sottoposti alla tutela dei loro genitori.

Uno dei principi di Blackstone sosteneva che “l’essere stesso della donna, vale a dire la sua esistenza giuridica, viene sospesa durante il matrimonio, o, per lo meno, incorporata e consolidata in quella del marito: sotto la cui ala, protezione e copertura, la donna adempie ad ogni sua azione.”

Le donne sono quindi proprietà dei loro padri o mariti. Tale principio è perdurato fino ad anni molto recenti.

Prima di una decisione della Corte Suprema del 1975, le donne non aveva nemmeno il diritto legale di far parte di giurie popolari. Le donne non venivano considerate come delle “pari”.

Solo due settimane fa, l’opposizione repubblicana ha bloccato il Paycheck Fairness Act, che garantiva alle donne parità di retribuzione a parità di lavoro.

E con gli esempi, si può andare ben oltre!

Gli schiavi, ovviamente, non erano persone. Erano infatti solo per “tre quinti esseri umani” in virtù della Costituzione, al fine di concedere ai loro proprietari una maggiore forza elettorale

[N,d.tr.: La Convenzione di Filadelfia o Convenzione Federale fu una convenzione interstatale che si riunì tra il 25 maggio ed il 17 settembre 1787 nell’Independence Hall di Filadelfia, allo scopo di riformare gli Articoli della Confederazione.

I delegati erano in totale 55 e provenivano da tutti i 13 Stati tranne il Rhode Island, che si era rifiutato di inviarne. Tra di essi c’erano Benjamin Franklin, George Washington, James Madison e Alexander Hamilton; erano assenti Thomas Jefferson, che in quel periodo si trovava in Francia, e John Adams in missione in Gran Bretagna.

A quel tempo, il Congresso non poteva controllare in modo efficace i commerci tra gli Stati (per cui si venne a creare una serie di leggi tributarie e di tariffe in conflitto tra i vari Stati), i quali prendevano il governo centrale con tale leggerezza che i loro rappresentanti erano spesso assenti e la legislatura nazionale veniva di frequente bloccata, anche su questioni marginali, a causa della mancanza di un quorum.

Il Congresso, inoltre, dipendeva totalmente dai finanziamenti degli Stati, in quanto non poteva riscuotere autonomamente le tasse.

Si poneva quindi la necessità di riformare le istituzioni federali e questo spinse ad organizzare una Convenzione interstatale.

Un punto caldo riguardava la schiavitù. I contrasti non riguardavano la sua abolizione, ma come conteggiare gli schiavi, che rappresentavano il 40% della popolazione negli Stati del Sud.

Questi ultimi chiedevano che fossero conteggiati “come popolazione” per stabilire il numero di rappresentanti da mandare alla Camera bassa del Congresso e “come proprietà”, e non come popolazione, nel caso in cui il governo avesse approvato imposte sulla base della popolazione di ciascuno Stato; gli Stati del Nord volevano invece l’esatto contrario.

La questione fu risolta (in modo poco convincente) con la clausola dei 3/5: uno schiavo nero valeva nel conteggio i 3/5 di un uomo bianco.]

Per i Padri Fondatori, la protezione della schiavitù non era questione di scarsa preoccupazione: è stato uno dei fattori che ha portato alla Rivoluzione americana.

Nel 1772, nel caso Somerset, il giudice Lord Mansfield stabiliva che la schiavitù era così “odiosa” da non poter essere tollerata in Inghilterra, cosa che poi non impedì il suo perpetuarsi nei possedimenti britannici per molti anni.

Tuttavia, i proprietari americani di schiavi potevano pensare che il loro destino fosse segnato, se le colonie fossero rimaste sotto il dominio britannico. E va ricordato che gli stati schiavisti, come la Virginia, esercitavano grande potere e massima influenza nelle colonie.

Quindi, possiamo facilmente apprezzare la famosa battuta del dottor Johnson per cui “si sentono innalzare al cielo le più alte grida in favore della libertà, cosa strabiliante, proprio da parte di coloro che fanno la tratta dei negri!”

[Immagine: Non sono forse io un uomo e un fratello?]

Gli emendamenti che seguirono la Guerra Civile estesero il concetto di persona anche agli Afro-americani, ponendo fine alla schiavitù. Almeno, in teoria!

Dopo circa un decennio di relativa libertà, veniva reintrodotta una condizione simile alla schiavitù da una sorta di accordo Nord-Sud, che permetteva una criminalizzazione di fatto della vita dei Neri. Un maschio nero in piedi all’angolo di una strada poteva essere arrestato per vagabondaggio, o per tentato stupro, se accusato di avere guardato una donna bianca in un modo giudicato sconveniente. E una volta imprigionato, aveva ben poche possibilità di sfuggire ad un sistema di “schiavitù sotto altro nome”, termine usato dall’allora capo redattore del Wall Street Journal, Douglas Blackmon, nella sua inchiesta sul sistema di arresto e carcerazione.

Questa nuova versione di “istituzione peculiare” (la schiavitù sotto particolare condizione) contribuiva grandemente nel gettare le basi per la rivoluzione industriale usamericana, procurando una forza lavoro ideale per l’industria siderurgica e mineraria, per non parlare della produzione agricola, con le tristemente famose “squadre alla catena”: squadre di prigionieri incatenati, docili, obbedienti, senza possibilità di entrare in sciopero, e senza l’incombenza da parte dei datori di lavoro di sostentare i propri lavoratori, per i padroni un…sicuro “miglioramento” rispetto al detenere schiavi.

Il sistema è durato in gran parte fino alla Seconda Guerra mondiale, quando per la produzione bellica erano necessari lavoratori liberi.

Lo sviluppo economico post-bellico offrì posti di lavoro in abbondanza. Un Nero poteva ottenere un posto di lavoro in una fabbrica di automobili sindacalizzata, guadagnare un salario decente, comprarsi una casa, e magari mandare i figli al college.

Questo è durato per circa 20 anni, fino agli anni ‘70, quando l’economia è stata radicalmente ripianificata su principi neoliberisti nuovamente imperanti, con l’innesco di una rapida crescita della finanziarizzazione e della delocalizzazione della produzione. Allora, la popolazione nera, in gran parte considerata superflua, è stata ricriminalizzata.

Fino alla presidenza di Ronald Reagan, la dimensione dell’incarcerazione negli Stati Uniti si situava all’interno dello spettro statistico delle società industriali. Attualmente, gli Stati Uniti hanno sorpassato di gran lunga gli altri.

Principalmente vengono colpiti i maschi neri, ma sempre più anche le donne di colore e gli Ispanici, in gran parte colpevoli di “crimini senza vittime” nell’ambito, secondo la designazione fraudolenta, di “guerre di droga”.

Nel frattempo, la ricchezza delle famiglie afro-usamericane è stata praticamente annullata dalla recente crisi finanziaria, in non piccola misura grazie al comportamento criminale delle istituzioni finanziarie, mentre gli autori di questi crimini godono non solo dell’impunità, ma escono da questa crisi più ricchi che mai.

Analizzando la storia degli Afro-usamericani nel suo complesso, dal loro primo arrivo come schiavi quasi 500 anni fa ad oggi, possiamo constatare che hanno goduto lo status di “persone autentiche” solo per pochi decenni. C’è ancora tanta strada da percorrere per realizzare pienamente la promessa della Magna Carta!

Inviolabilità delle persone e processo negato

[Immagine: “Libero!”]

Il Quattordicesimo Emendamento alla Costituzione, adottato dopo la Guerra di Secessione, concedeva i diritti della persona agli ex schiavi, anche se per lo più in via teorica. Allo stesso tempo, creava una nuova categoria di soggetti dotati di diritti: le imprese.

Infatti, quasi tutti i casi sottoposti al giudizio dei tribunali sotto il Quattordicesimo Emendamento riguardavano i diritti delle società, e da quasi un secolo le corti hanno stabilito che queste entità collettive, finzioni legali, istituite e sostenute dal potere statale, devono godere dei pieni diritti delle persone di carne e sangue; di fatto, le imprese hanno goduto di diritti di gran lunga maggiori, grazie alle loro proporzioni, alla loro immoralità, e alle protezioni di cui hanno beneficiato, vista la loro responsabilità limitata.

Ormai, i loro diritti trascendono di gran lunga quelli degli stessi esseri umani.

In virtù degli “accordi di libero scambio”, la società mineraria Pacific Rim può, ad esempio, citare in giudizio El Salvador che tenta di proteggere il proprio ambiente; gli individui non possono fare lo stesso.

La General Motors può reclamare diritti nazionali in Messico. Non c’è bisogno di soffermarsi su cosa potrebbe succedere se un Messicano pretendesse diritti nazionali negli Stati Uniti.

All’interno degli Stati Uniti, le recenti sentenze della Corte Suprema accrescono notevolmente il potere politico già enorme delle imprese e dei super-ricchi, sferrando ulteriori colpi contro le barcollanti vestigia di una democrazia politica, comunque supposta funzionante.

Nel frattempo, la Magna Carta è sottoposta ad attacchi più diretti.

Teniamo ben presente l’Habeas Corpus Act del 1679, che proibiva “l’imprigionamento al di là dei mari,” e constatiamo nel contempo la procedura molto più feroce di imprigionamento “al di là dei mari”, data l’intenzione di sottoporre l’individuo arrestato alla tortura – ciò che ora, in modo più elegante, viene definito “rendition – restituzione, consegna”, come quando Tony Blair ha “restituito” il dissidente libico, Abdel Hakim Belhaj, ora leader della rivolta, alla mercè di Gheddafi; o quando le autorità statunitensi hanno deportato il cittadino canadese Maher Arar nella natia Siria, per essere imprigionato e torturato, solo più tardi ammettendo che non esistevano accuse contro di lui.

E molti altri casi di “rendition” si sono verificati, spesso attraverso l’aeroporto internazionale di Shannon, in Irlanda, suscitando così proteste coraggiose in quel paese.

Il concetto di “giusto processo”, elemento essenziale della Carta delle Libertà, ha subito da parte dell’amministrazione Obama, impegnata nella sua campagna internazionale di omicidi, così tante distorsioni, che da elemento centrale della Carta delle Libertà (e della Costituzione) è stato ridotto ad essere svuotato di sostanza ed inoperante.

Il Ministero della Giustizia ha spiegato che le garanzie costituzionali del giusto processo, che si fanno risalire alla Magna Carta, sono ora soddisfatte da deliberazioni interne nell’ambito del solo potere esecutivo. L’esperto di diritto costituzionale alla Casa Bianca si è dichiarato concorde. Re Giovanni Senza Terra avrebbe potuto annuire con soddisfazione.

Il problema si è presentato dopo l’ordine impartito dalla presidenza di assassinare-tramite-drone Anwar al-Awlaki, accusato di incitare alla jihad con discorsi, scritti, e azioni non specificate.

Un titolo di testa del New York Times riassumeva bene la reazione generale delle élite, quando al-Awlaki veniva assassinato in un attacco con drone, che causava al solito danni collaterali. Il titolo recitava: “L’Occidente festeggia la morte di un integralista religioso”.

Qualcuno, perplesso, ha aggrottato le sopracciglia, però, perché al-Awlaki era un cittadino usamericano, dettaglio che non ha mancato di sollevare questioni e dubbi a proposito del concetto di “giusto processo” – questioni del tutto irrilevanti quando vengono assassinati “non-cittadini”, al capriccio del capo dell’esecutivo. Ma questioni irrilevanti ormai anche per i cittadini, date le innovazioni giuridiche introdotte dall’amministrazione Obama al “giusto processo”.

Anche alla presunzione di innocenza è stata data una nuova interpretazione opportunistica.

Il New York Times ha riportato: “Il signor Obama ha abbracciato senza batter ciglio un metodo controverso per contare le vittime civili, ed ha fatto poco per incasellarle. In realtà vengono contati come combattenti tutti i maschi in età da servizio militare presenti in una zona di combattimento, secondo diversi funzionari dell’amministrazione, a meno che non vi sia un’esplicita inchiesta di intelligence postuma che dimostri la loro innocenza.”

Ne deriva che la determinazione di innocenza dopo il loro assassinio terrebbe saldo il principio sacro della presunzione di innocenza.

Sarebbe forse sconveniente ricordare le Convenzioni di Ginevra, il fondamento del moderno diritto umanitario, che interdicono “il compiersi di esecuzioni senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che deve offrire tutte le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili.”

Il caso più eclatante di una recente esecuzione extra-giudiziaria, vale a dire di un assassinio, è stato quello di Osama bin Laden, ammazzato, dopo essere stato catturato da 79 membri delle SEAL [(SEa, Air and Land forces), reparti speciali della marina da guerra degli Stati Uniti], indifeso, accompagnato solo dalla moglie, il suo corpo, da quanto viene riferito, scaricato direttamente in mare senza autopsia. Qualunque cosa si pensi di lui, si trattava solo di un sospetto, e niente di più. Anche l’FBI ha concordato su questo.

Le manifestazioni di gioia in questo caso sono state travolgenti, ma venivano sollevate alcune questioni circa l’ostentato disprezzo del principio della presunzione di innocenza, in particolare quando il giudizio era quasi impossibile. Queste perplessità venivano accolte con dure reprimenda. Fra queste, la più interessante è arrivata da un autorevole commentatore politico della sinistra “liberal”, Matthew Yglesias, che spiegava come “una delle funzioni fondamentali dell’ordinamento istituzionale internazionale è precisamente quella di legittimare l’uso della forza militare mortale da parte delle potenze occidentali”, così è “incredibilmente ingenuo” solo suggerire che gli Stati Uniti dovrebbero obbedire alle leggi internazionali o ad altre condizioni, come noi Statunitensi pretendiamo dai paesi più deboli, …con senso di giustizia.

Possono essere sollevate solo obiezioni di ordine tattico quando si evocano aggressioni, assassinii, guerra cibernetica, o altre azioni che vedono impegnato il Santo Stato al servizio del genere umano. Se le vittime tradizionali vedono le cose in qualche modo diverso, questo prova solo la loro arretratezza morale e intellettuale. E il critico occasionale occidentale, che non riesce a comprendere queste verità fondamentali, può essere liquidato come “stupido”, così si esprime Yglesias – per inciso, con particolare riferimento a me, – ed io… serenamente confesso la mia colpa.

[Immagine: Manifesto con 22 foto segnaletiche di presunti pericolosi terroristi]

Liste ufficiali di terroristi

Forse l’attacco più sorprendente alle fondamenta delle libertà tradizionali è un caso poco noto portato davanti alla Corte Suprema dall’amministrazione Obama, “Eric Holder (un procuratore legale) contro Humanitarian Law Project (nell’ambito dell’USA Patriot Act).

[Humanitarian Law Project è un’organizzazione non governativa (ONG) che gode di uno status consultivo presso le Nazioni Unite, con il mandato di chiedere il rispetto delle leggi che regolano i conflitti armati.]

L’ONG Project veniva condannata per aver fornito “assistenza materiale” alla guerriglia dell’organizzazione PKK, che sta lottando per i diritti dei Curdi in Turchia da molti anni, e che è presente nella lista delle formazioni terroristiche redatta dall’esecutivo.

L’“assistenza materiale” consisteva in consulenze di natura legale. Il modo in cui il testo della sentenza è formulato sembra fornire al giudizio un campo di applicazione decisamente ampio, poiché l’“assistenza materiale” include, ad esempio le discussioni, le richieste di indagini, perfino i consigli forniti al PKK per attenersi ad azioni non-violente.

Ancora una volta, non vi sono state che frange marginali a sollevare critiche, ma anche costoro hanno accettato la legittimità della lista dei terroristi dello Stato – frutto di decisioni arbitrarie da parte dell’esecutivo, senza possibilità di ricorso.

La storia della lista dei terroristi è di un certo interesse.

Per esempio, nel 1988 l’amministrazione Reagan dichiarava l’African National Congress, di Nelson Mandela, essere uno dei “gruppi terroristici più tristemente famosi” al mondo, permettendo così a Reagan di poter continuare il suo sostegno al regime dell’apartheid, e i suoi saccheggi omicidi in Sud Africa e nei paesi vicini, come parte della sua “guerra contro il terrore”.

Venti anni dopo Mandela veniva finalmente rimosso dalla lista dei terroristi, ed ora gli è possibile viaggiare negli Stati Uniti senza una deroga speciale.

Un altro caso interessante è quello di Saddam Hussein, rimosso dalla lista dei terroristi nel 1982, in modo che l’amministrazione Reagan potesse fornirgli appoggio durante la sua invasione dell’Iran.

Il sostegno è continuato anche dopo la fine della guerra. Nel 1989, il presidente Bush I ha addirittura invitato negli Stati Uniti ingegneri nucleari iracheni per fornire loro una formazione avanzata nella produzione di armamenti. Un’altra informazione che deve essere tenuta lontana dagli occhi degli “outsiders ignoranti e impiccioni”.

Uno degli esempi più turpi dell’utilizzo della lista dei terroristi ci rinvia al problema delle persone della Somalia torturate.

Immediatamente dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti hanno chiuso la rete somala di soccorso umanitario Al-Barakaat con l’accusa di avere finanziato il terrorismo.

Questa prodezza è stata salutata come uno dei grandi successi della “guerra al terrorismo”. Al contrario, un anno dopo, quando Washington ha ritirato le proprie accuse come prive di fondamento, questo avvenimento è passato quasi inosservato.

Al-Barakaat era responsabile di circa la metà dei 500 milioni di dollari di rimesse verso la Somalia, “più di quanto la Somalia guadagna da qualsiasi altro settore economico e 10 volte l’ammontare degli aiuti esteri che la Somalia riceve”, secondo un’analisi delle Nazioni Unite.

Addirittura, l’istituzione umanitaria gestiva in Somalia importanti aziende, tutto distrutto! L’eminente studioso accademico della “guerra finanziaria al terrorismo” di Bush, Ibrahim Warde, conclude che, a parte la devastazione economica, questo attacco sconsiderato contro una società molto fragile “può aver giocato un ruolo nella crescita … dei fondamentalisti islamici,” un’altra conseguenza a noi ben familiare della “guerra al terrorismo”.

L’idea stessa che lo Stato abbia l’autorità di emettere tali giudizi è una grave violazione contro la Carta delle Libertà, così come resta il fatto di considerare questa autorità non contestabile.

Se la Carta prosegue nella sua caduta in disgrazia alla deriva degli ultimi anni, il futuro dei diritti e delle libertà si annuncia oscuro.

Chi riderà per ultimo?

Qualche parola finale sul destino della Carta della Foresta.

Il suo obiettivo era quello di proteggere la fonte di sostentamento per la popolazione, i beni comuni, dai poteri forti esterni – nei primi tempi dal potere del re, nelle epoche successive, da processi di appropriazione privata delle terre comuni e da altre forme di privatizzazione da parte di imprese predatrici. Le autorità statali che agivano di concerto con le imprese hanno solo accelerato questi processi e sono state adeguatamente ricompensate. Il danno prodotto è veramente marcato.

Se ascoltiamo le voci dal Sud del mondo, oggi possiamo imparare che “la conversione di beni pubblici in proprietà private attraverso la privatizzazione del nostro ambiente naturale, che era il bene comune dei popoli, è un mezzo per le istituzioni neoliberiste di rimuovere i fragili legami che tengono ancora insieme le nazioni africane.”

La politica attuale è stato ridotta ad una impresa lucrativa, dove il principale obiettivo è ottenere un ritorno dall’investimento, piuttosto che da tutto ciò che può contribuire a ricostruire ambienti altamente degradati, comunità, e nazione.

Questo è uno degli…effetti benefici che i programmi di aggiustamento strutturale hanno inflitto al continente: “l’intronizzazione della corruzione”.

Sto citando il poeta e attivista nigeriano Nnimmo Bassey, presidente della federazione internazionale degli “Amici della Terra”, nella sua bruciante esposizione sul saccheggio devastante delle ricchezze dell’Africa (To Cook a Continent – Come cucinare un continente), l’ultima fase della tortura esercitata sull’Africa dall’Occidente.

Tortura che è sempre stata pianificata ai più alti livelli, questo va riconosciuto!

Alla fine della Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno conquistato una posizione di potere globale senza precedenti. Non a caso, erano stati elaborati piani accurati e sofisticati su come organizzare il mondo. Ad ogni regione veniva assegnata una specifica “funzione” dai pianificatori del Dipartimento di Stato, diretto dall’illustre diplomatico George Kennan.

Costui stabiliva che gli Stati Uniti non avevano alcun interesse particolare in Africa, e quindi questo continente poteva essere consegnato all’Europa, per venire “sfruttato” – questo il termine da lui usato – a favore della ricostruzione europea.

Alla luce della storia, sarebbe stato possibile immaginare un diverso rapporto tra l’Europa e l’Africa, ma non esiste alcuna indicazione che sia stato mai preso in considerazione.

Più di recente, gli Stati Uniti hanno convenuto che anch’essi dovevano partecipare al gioco dello sfruttamento dell’Africa, insieme a nuovi arrivati come la Cina, che è alacremente al lavoro per conquistare uno dei peggiori record nella distruzione dell’ambiente e nell’oppressione delle sue sventurate vittime.

Senza entrare nei particolari, diventa necessario soffermarsi sui pericoli estremi posti da un elemento centrale delle ossessioni predatorie, che producono tante calamità in tutto il mondo: la dipendenza dai combustibili fossili, che ci fa andare incontro ad un disastro globale, forse in un futuro non troppo lontano.

Possiamo discutere anche i dettagli, ma non ci sono dubbi che i problemi sono di una gravità estrema, e più noi tardiamo nel farvi fronte, più terribile sarà l’eredità che lasceremo alle generazioni future.

Sono stati fatti, e sono in atto, alcuni tentativi volti ad affrontare questa realtà, ma sono di importanza quasi irrilevante. La recente Conferenza Rio +20, che si era aperta con magre aspirazioni, si è conclusa con risultati irrisori.

Nel frattempo, i centri di potere vanno alla carica nella direzione opposta, guidati dal paese più ricco e più potente nella storia del mondo.

I Repubblicani del Congresso sono per lo smantellamento delle protezioni dell’ambiente, pur limitate, avviate da Richard Nixon, il quale, se potesse ritornare sulla scena politica odierna, verrebbe considerato una sorta di radicale pericoloso.

Le più importanti lobby affaristiche annunciano senza remore le loro campagne propagandistiche per convincere l’opinione pubblica che è indebito preoccuparsi eccessivamente dell’ambiente – con un certo successo, come dimostrato dai sondaggi.

I media collaborano, nemmeno segnalando le previsioni sempre più terribili di agenzie internazionali, e perfino del Ministero dell’Energia degli Stati Uniti.

Viene presentato il dibattito secondo una sua struttura standard, tra allarmisti e scettici: da una parte praticamente solo studiosi ed accademici qualificati, dall’altra pochi resistenti intransigenti.

Quelli che non sono chiamati a dibattere fanno parte del gran numero di esperti, tra gli altri quelli del Programma sul cambiamento climatico al Massachussets Institute of Technology (MIT), che criticano il consenso che prevale nella comunità scientifica, perché troppo conservatore e prudente, argomentando come la verità, quando per esempio si discute di cambiamenti climatici, sia molto più terribile. Non deve sorprendere se l’opinione pubblica si trova nella confusione più totale.

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, nel gennaio 2012, il presidente Obama ha espresso il suo entusiasmo a proposito delle brillanti prospettive di un secolo di autosufficienza energetica, grazie alle nuove tecnologie che permettono l’estrazione di idrocarburi dalle sabbie e dagli scisti bituminosi del Canada, e da altre fonti in precedenza inaccessibili.

Altri sono d’accordo. Il Financial Times pronostica per gli Stati Uniti un secolo di indipendenza energetica. L’editoriale menziona appena l’impatto distruttivo sull’ambiente locale dei nuovi metodi estrattivi. In queste previsioni ottimistiche, ci si dimentica di interrogarsi su che tipo di mondo sopravviverà all’assalto di questi appetiti rapaci.

In prima linea nell’affrontare la crisi in tutto il mondo sono le comunità indigene, quelle che hanno sempre tenuto in vita lo spirito della Carta delle Foreste. La più forte presa di posizione è stata assunta dal paese che queste comunità governano, la Bolivia, il paese più povero del Sud America, per secoli vittima del saccheggio delle sue ricche risorse da parte dell’Occidente, un paese che in epoca pre-colombiana presentava una fra le più avanzate società di quel emisfero.

Dopo il collasso ignominioso del vertice mondiale sui cambiamenti climatici di Copenaghen del 2009, la Bolivia ha organizzato il Summit dei Popoli con la partecipazione di 35.000 convenuti da 140 paesi – non solo i rappresentanti dei governi, ma anche attivisti e membri di organizzazioni della società civile.

Il Summit ha prodotto un Accordo fra i Popoli, che rivendica la riduzione drastica delle emissioni, e una Dichiarazione Universale dei Diritti della Terra Madre.

Questa è l’esigenza fondamentale delle comunità indigene in tutto il mondo!

Questo appello viene ridicolizzato dagli Occidentali pedanti e…tanto sofisticati, ma se noi continueremo a dimostrarci insensibili al loro messaggio, queste comunità probabilmente si faranno l’ultima risata,… una risata di cupa disperazione!

per concessione di TomDispatch.com
fonte: http://tinyurl.com/bn9ap7s
data dell’articolo originale: 22/07/2012

URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=7897
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

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