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Nessuno, per timore di essere chiamato “amico del diavolo”, mette in discussione le fonti, le metodologie e gli autori dei rapporti di esperti Onu e di Ong sulla Siria. Eppure questi, legittimando le ingerenze favoriscono la prosecuzione della guerra.
Il rapporto della Commissione CoI e i suoi riferimenti
Il rapporto della “Commissione internazionale indipendente di inchiesta sulla Siria-CoI (http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/PRCoISyria15082012_en.pdf)
nominata l’anno scorso dalla Commissaria Onu per i diritti umani Navi Pillay è stato approvato dal Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra (nel quale sono rappresentate a turno circa 40 nazioni) con risoluzione a maggioranza schiacciante. Soli contrari Russia, Cina, Cuba. Astenuti India, Filippine, Uganda. La risoluzione era stata presentata da Marocco, Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Libia, Tunisia Kuwait. I lavori della Commissione CoI continueranno fino a marzo. Come ha fatto rilevare nel suo intervento in plenaria la Ong di giuristi North/South XXI, questa approvazione non aiuterà la ricerca di una soluzione negoziale perché “nobilita” le ingerenze armate, finanziarie e diplomatiche le quali alimentano gli scontri.
Ci si chiede se tutti i rappresentanti dei governi presso il Consiglio abbiano davvero letto questo rapporto, per rendersi conto di quanto parole di fonti di parte abbiano finito per diventare prove. E ci si chiede se abbiano letto i precedenti rapporti di esperti Onu e Ong, ai quali il rapporto CoI si riferisce e che sono ugualmente viziati da fonti non neutrali e mancanza di prove (dedicheremo un approfondimento a questi rapporti precedenti).
Del rapporto CoI è responsabile, insieme al brasiliano Paulo Pinheiro, la statunitense Karen Koning AbuZayd la quale è fra i dirigenti del Middle East Policy Council insieme a ex membri della Cia, ex ambasciatori Usa nel Golfo, ex generali, uomini d’affari Usa-Qatar (tutto sul loro sito).
Le loro indagini concludono che esistono “basi ragionevoli” per ritenere che le forze governative e le cosiddette milizie paramilitari shabbiha abbiano commesso crimini contro l’umanità, crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, e questo sulla base di una politica statale. Molto inferiori in quantità e qualità le accuse ai gruppi armati dell’opposizione.
Ma l’analisi di questo rapporto CoI rivela contraddizioni, parzialità nelle fonti, rimandi a rapporti precedenti (di esperti e di Ong) ugualmente parziali e attribuzioni di responsabilità non supportate da prove.
Curiosamente il rapporto CoI non cita quasi mai come fonte gli stessi osservatori dell’Onu, che erano sul terreno (mentre alla Commissione il permesso non è stato accordato). La stessa Commissione comunque riconosce che “l’accesso” alle vittime provocate dalle forze di opposizione è stato limitato”.
Le centinaia di interviste a “testimoni” che hanno costituito la fonte principale dell’inchiesta sono state condotte – come viene precisato – fra i rifugiati (dunque in gran parte disertori e loro famiglie) nei paesi limitrofi, o a Ginevra, o per telefono o via skype all’interno della Siria ma sempre con oppositori. Può un disertore o una famiglia di oppositori parlare in modo neutrale? Senza sentire altre parti, oltretutto.
Per le “prove”, diverse dalle suddette testimonianze e cioè video, rapporti, reportage esistono altrettante “prove” di segno opposto che incolpano l’altra parte (o entrambe) magari proprio per gli stessi fatti criminosi. La CoI avrebbe avuto una percezione quasi completamente diversa se avesse ascoltato le versioni di gruppi basati in Siria, come il Centro Sovvt (Osservatorio sulle vittime della violenza e del terrorismo) e Vx Clamantis (centro della chiesa greco-melchita). E avrebbe dovuto ammettere che è impossibile conoscere davvero la verità semplicemente ascoltando testimoni veri o presunti, e di parte, e senza indagini lunghe e dettagliate. Ma un rapporto di esperti non può permettersi di concludere che non sa.
Così, anche rispetto al massacro di Houla che la CoI attribuisce a forze paramilitari pro-governative. Perfino esponenti dell’opposizione non armata, invece, lo imputano (seppure senza dichiarazioni pubbliche) a un’efferata vendetta fra villaggi.
Quanto agli “attacchi indiscriminati ad aree civili”, molti testimoni non ascoltati dalla Commissione ma hanno più volte riferito (ma è evidente anche dalle dinamiche) che gli oppositori armati si nascondono in aree civili prendendole di fatto in ostaggio e attaccando i residenti. Eppure la Commissione non registra questo crimine.
La CoI ignora poi i ricorrenti sabotaggi a infrastrutture civili. E quanto agli attentati che hanno ucciso decine di civili, “per mancanza di accesso ai luoghi” sono relegati alla categoria di “crimini domestici che il governo ha il dovere di perseguire”.
Appare anche forzato e “politicamente di parte” attribuire al regime (come mandante o connivente) tutte le efferatezze di bande o milizie anche se sono favorevoli al governo stesso. Non viene fatto lo stesso per i crimini dell’opposizione.
La CoI si riferisce poi spesso ad altri rapporti commissionati dall’Onu o realizzati da Ong umanitarie, i quali però dichiaratamente hanno attinto a testimoni di una parte sola.
I rapporti delle multinazionali umanitarie
Parte dell’opinione pubblica è diffidente rispetto ai media. Ma sia le popolazioni sia i governi non branchés tendono a credere agli esperti – soprattutto se in “diritti umani” – nominati dall’Onu e alle Organizzazioni non governative. E dunque ai loro incessanti rapporti. Adesso sulla Siria. Se si è in linea con la narrazione dominante, si può dire quasi qualunque cosa, lanciare quasi qualunque accusa. I più crederanno.
La verità – e le menzogne – verranno forse fuori più tardi, quando non saranno più di danno alle volontà geostrategiche dominanti. E’ successo così per la Libia. Interessante è l’intreccio fra esperti internazionali, ong multinazionali e gruppi delle opposizioni locali, più loro supporters all’estero, i quali riferiscono spesso senza prove di crimini orrendi compiuti dall’altra parte. E le parole di queste fonti di parte, che riferiscono racconti di seconda o terza mano, diventano prove.
Esattamente come avviene per i media, che prendono a riferimento, quanto alla Siria, solo le denunce e i dati provenienti da esponenti dell’opposizione e da loro gruppi dediti alla comunicazione.
La discriminazione è evidente. Visto che occorre avallare sempre e comunque lanarrazione “un dittatore solo con i suoi aguzzini armati contro un intero popolo inerme che lotta per democrazia libertà eguaglianza e alla fine è costretto ad armarsi per difendersi”, nei media come nei rapporti e nell’operato di esperti Onu e delle Onu non c’è spazio per gran parte del popolo siriano, né come testimone né come vittima da soccorrere.
Le Ong di vario tipo hanno un grande ascolto presso i governi, quando la loro narrazione li supporta. Gruppi sconosciuti vengono auditi al Parlamento Europeo. Altri ben noti vengono citati ovunque e possono parlare all’assemblea Onu in plenaria o al Parlamento Europeo.
I casi sono moltissimi e i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch non passerebbero l’esame se analizzati con il metro della “neutralità delle fonti” e “presenza di prove”. Anche ai loro rapporti (che si rincorrono l’un l’altro…) dedicheremo un approfondimento. Ovviamente le categorie di persone più volentieri messe al centro di denunce sono donne e bambini. Così è più facile suscitare un diffuso sdegno e avallare interventi miliari diretti o indiretti e ogni genere di ingerenze contro il mostro.
Limitiamoci però a due casi recenti.
Pochi giorni prima dell’approvazione del rapporto della CoI a Ginevra, a New York la multinazionale “umanitaria” Save the Children, ch insieme a molte altre si sta dedicando al business dell’assistenza ai rifugiati siriani (mentre nessuno salvo Croce rossa internazionale, Red Crescent siriana e gruppi cristiani siriani assiste i molto più numerosi sfollati all’interno della Siria). Save the Children ha dnque raccontato all’Onu intera che Assad (direttamente) sta perpetrando torture sulla parte più indifesa della popolazione.
Il rapporto, ovviamente realizzato intervistando persone uscite dalla Siria, avrebbe raccolto racconti dei bambini. Ne emerge che vengono spesso sequestrati, picchiati e sottoposti a trattamenti disumani da parte dell’esercito che spera così di avereinformazioni sulle prossime azioni dei ribelli. Agghiacciante il resoconto di un sedicenne, Wael, che afferma di aver visto un bimbo di sei anni imprigionato per tre giorni, torturato più degli altri perché più piccolo e tenuto senza mangiare e bere per tre giorni. Alla fine è morto e il suo corpo è stato trattato “come fosse quello di un cane”. Che le torture in carcere avvengano. In Siria come altrove, è assolutamente possibile. Ma dei dettagli indicati nel rapporto non c’è la minima prova. Così come che i responsabili ricevano ordini in tal senso direttamente dal regime. Che è quel che conta.
Eppure, Save the Children ha fatto centro. Il rappresentante del Camerun all’Assemblea Onu ha denunciato con veemenza le atrocità di Assad proprio sulla base del rapporto della detta Ong.
Una storia analoga e altrettanto recente riguarda la violenza sulle donne. Ne parla molto sul sito del gruppo Women under siege, programma della Ong statunitense Women Media Centre. Dal sito appaiono storie terrificanti di violenze. Ma WhoWhatWhy, sito che si dedica al giornalismo investigativo, ha guardato con più attenzione scoprendone delle belle.
Le storie riferite sono sempre prive di riscontri e di seconda mano. Parla “l’amico del cugino della vittima”, per così dire. Secondo l’inchiesta, malgrado le buone intenzioni di Women Under Siege (tanto più che una delle redattrici subì effettivamente una violenza, come volontaria dello US Peace Corps in Niger – una brutta storia che il Corps cercò di soffocare). Però, queste ben intenzionate si prestano (del tutto involontariamente?) a una campagna di disinformazione deliberata.
Dietro la quale, ha potuto verificare WhoWhatWhay, ci sono gruppi o individui basati negli Usa o in Arabia Saudita. A mandare le “notizie” e le “testimonianze” è ad esempio tal Hadi Al Bahra, damasceno che vive a Jeddah e direttore generale di Saudia Online. Egli riferisce di una ragazza i cui genitali sarebbero stati bruciati dopo lo stupro da parte di uomini di Assad. Glielo avrebbero detto due siriani che avrebbero fatto un’inchiesta nei campi profughi in Turchia. Al Bahra non ha mai risposto alle richieste di intervista da parte del sito investigativo.
Un altro “raccoglitore di testimonianze” è Mala Alatassi della Syrian Sunrise Foundation, basata negli Usa e che ha avuto il privilegio di testimoniare circa le atrocità in Siria davanti al Parlamento Europeo, lo scorso 23 aprile. Ha riferito che una dottoressa starebbe curando a Damasco duemila donne stuprate. WhoWhatWhy gli ha chiesto un contatto skype con la dottoressa. Mai più avuto notizie.
Conclude WhoWhatWhy: “La Siria è diventata il buco nero di rapporti di seconda o terza mano, una situazione che non ha rivali nella storia moderna”. E’ anche significativo che molte storie vengano da disertori che denunciano i reati compiuti prima della diserzione.
In effetti le stesse redattrici della Women for Siege affermano di non avere l’impressione che gli stupri siano in Siria più diffusi che in ogni altra situazione di conflitto. Ma allora…
E infine: forse molti più casi di stupro avvengono nei campi profughi di siriani in Turchia dove le donne sono l’80% perché i loro uomini stanno combattendo con le milizie armate o sono in carcere in Siria. Pergio un gornale saudita ha denunciato che sauditi visitano i campi con l’intento di scegliere ragazze minorenni da sposare.
Nessuno ricorda i racconti sulla Libia?
Ricordiamo che Save the Children nell’aprile 2011 se ne uscì con un rapporto realizzato sulla base di “racconti di bambini che avevano sentito dire da altri bambini” (testuale). Nel racconto, uscito sul Daily Mail inglese e su giornali italiani, l’Onu umanitaria sosteneva che bambini di otto anni erano stati violentati dai soldatacci (anzi mercenari) di Gheddafi. L’Ong non ha più ripreso la storia e nessun altro ha potuto confermarla. Interrogati in merito, per email, i responsabili italiani di Save the Children non hanno mai risposto.
E quanto alle donne stuprate, chi non ricorda l’incredibile invenzione messa su – e accolta da tutti – da una psichiatra di Bengasi? Sostenne che in pieno conflitto aveva spedito per posta oltre 60.000 questionari a donne di tutta la Libia e gliene erano tornati indietro appunto 60.000. Incredibile anche in tempi normali e non di bombe. Da questi risultava che sì, centinaia di donne dichiaravano di essere state stuprate dai soldatacci di Gheddafi. Ma quando l’inviato dell’Onu Cherif Bassiouni chiese alla signora di vedere i questionari, questi risultarono “persi”. E quando chiese di intervistare qualcuna di quelle donne, la psichiatra disse che ne aveva persone le tracce…
Ma intanto, da mesi era passata l’idea che Gheddafi aveva ordinato lo stupro di massa. E ciò aveva aiutato a legittimare le bombe Nato.
Di fronte a un mostro, tutti gli altri diventano belli.
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