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Philip Giraldi: perché Israele non mi piace

Giraldi: perché Israele non mi piace

La “Lobby”:
loro tenteranno di costringervi al silenzio;
loro tenteranno di screditarvi.
Perché non è permesso criticare Israele!

Il governo israeliano è un regime ‘canaglia’ secondo i principi e le norme internazionali, impegnato com’è nell’esercitare la tortura, la detenzione arbitraria, e la continua occupazione dei territori sequestrati dalle sue forze armate. Peggio ancora, ha manipolato con successo il mio paese, gli Stati Uniti, e ha recato danni terribili sia al nostro sistema politico sia al popolo degli Stati Uniti, un crimine che non riesco proprio a perdonare, tollerare, o giustificare.

4 ottobre 2012

Anche questi sapientoni, che sembrano voler prendere le distanze dalla politica estera degli Stati Uniti rispetto alle esigenze di Tel Aviv, e iniziano a trattare Israele come un qualsiasi altro paese, a volte si sentono in dovere di cercare tutte le giustificazioni possibili prima di arrivare al nocciolo della questione.

I prologhi auto-laceranti generalmente partono con la dichiarazione di come questi scrittori abbiano davvero un sacco di amici ebrei e come ritengano che gli Israeliani siano grandi persone e Israele un paese meraviglioso, prima di lanciarsi in quella che di solito è una critica abbastanza mite.

Beh, io non mi sento così. Israele, non mi piace proprio! Che io abbia o no amici ebrei, non influisce sul mio modo di considerare Israele, ed è irrilevante per la questione.

E per quanto riguarda gli Israeliani, quando ero agente della CIA all’estero, sicuramente ne ho incontrato molti. Alcuni erano brave persone e alcuni non lo erano così tanto, come per la generalità delle persone in qualsiasi altro luogo nel mondo.

Ma anche l’esistenza di Israeliani onesti e leali non cambia il fatto che i governi che anche costoro hanno eletto fanno parte integrante di una impresa criminale che va avanti da tanto tempo, a giudicare dalle periodiche condanne di ex presidenti e primi ministri.

Non è molto tempo che l’ex presidente Moshe Katsav è stato giudicato colpevole di stupro, mentre quasi ogni recente capo di governo, compreso quello attuale, è stato indagato per corruzione. Inoltre, il governo israeliano è un governo di un regime ‘canaglia’ secondo i principi e le norme internazionali, impegnato com’è nell’esercitare la tortura, la detenzione arbitraria, e la continua occupazione dei territori sequestrati dalle sue forze armate. Peggio ancora, ha manipolato con successo il mio paese, gli Stati Uniti, e ha recato danni terribili sia al nostro sistema politico sia al popolo degli Stati Uniti, un crimine che non riesco proprio a perdonare, tollerare, o giustificare.

Interferenze nelle politiche elettorali statunitensi

Desta indignazione la diretta ingerenza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli affari politici interni degli Stati Uniti durante la sua più recente apparizione in una trasmissione di una rete televisiva della Florida, in cui Netanyahu ha espresso tutta la sua approvazione nei confronti del candidato repubblicano Mitt Romney.

Le dichiarazioni di Netanyahu e la sua ingerenza nelle elezioni sono state ampiamente riportate dai media e sono state anche stigmatizzate da numerosi importanti membri del Congresso ebrei, ma non hanno suscitato alcuna risposta da Obama o da Romney.

Entrambi avrebbero dovuto condannare con la massima fermezza l’intervento assolutamente senza precedenti in una elezione usamericana da parte di un capo di governo straniero. Che non abbiano niente da dire è una testimonianza del potere che Israele e i suoi amici nel Congresso e nei media esercitano sulla dirigenza politica degli Stati Uniti.

Comunque, Romney potrebbe anche privatamente approvare queste dichiarazioni, visto che ha sostanzialmente promesso di cedere a Netanyahu il diritto di fissare i limiti di intervento per la politica degli Stati Uniti in Medio Oriente.

Ci trascinano verso la guerra

Netanyahu e il suo schema di bomba all’ONU: I stadio, II stadio, stadio finale

E perché Benjamin Netanyahu è tanto in agitazione? Lo è perché il presidente Barack Obama non gli concede una “linea rossa”, che potrebbe automaticamente scatenare un attacco statunitense contro l’Iran.

Consideriamo per un momento l’arroganza di Netanyahu nell’esigere che Washington soddisfi le sue condizioni per lanciare un conflitto contro l’Iran, una nazione che con tutti i suoi difetti spesso descritti non ha attaccato nessuno, non ha minacciato di attaccare nessuno, e non ha assunto la decisione politica di acquisire un’arma nucleare, a dispetto di ciò che si legge sulla stampa statunitense.

Alle Nazioni Unite, il grafico di Netanyahu rappresentante una caricatura di bomba con una miccia crepitante, ricordo di qualcosa che avrebbe potuto essere stato impiegato da un anarchico nel 1870, non è riuscito a superare una qualsiasi prova di credibilità anche per gli inevitabili capi-tifoserie dei media USA.

Se gli Stati Uniti entrassero in guerra sulla base di un cartone animato di Netanyahu, allora andrebbero a meritarsi tutto quello che comporta un’impresa rischiosa che volge all’aspro, molto probabilmente un “Iraq Redux”, una riedizione della vicenda irachena, solo 10 volte peggiore.

Ancora più scandalose, e molto meno presenti nei mezzi di comunicazione, sono state le osservazioni formulate da Patrick Clawson, direttore delle ricerche per l’Istituto di Washington per le Politiche nel Vicino Oriente (WINEP), un’organizzazione finanziata dal Comitato Americano per gli Affari Pubblici di Israele (AIPAC).

WINEP è generalmente considerato come una componente importante della lobby israeliana a Washington ed è strettamente collegato al governo israeliano, con cui comunica in maniera regolare. Clawson dirige l’Iniziativa per la Protezione dall’Iran di WINEP.

In una conferenza del 24 settembre, ha affermato:

“Io francamente penso che l’inizio della crisi possa essere davvero difficile, violento e brutale, ed è molto duro per me vedere come gli Stati Uniti … uh … il presidente può portarci in guerra contro l’Iran …. Il modo tradizionale con cui gli Stati Uniti entrano in guerra è quello che dovrebbe corrispondere al meglio agli interessi degli Stati Uniti.”

Patrick Clawson suggerisce come gli USA abbiano bisogno di una nuova Pearl Harbor

per entrare in guerra con l’Iran

Si noti che Clawson sottolinea la sua convinzione che avviare una crisi per ottenere che gli Stati Uniti vengano coinvolti in una guerra con l’Iran, e quindi ingannando il popolo usamericano portandolo a pensare che questa sia la cosa giusta da fare, è in realtà un “interesse per gli Stati Uniti.”

Egli cita Pearl Harbor, Fort Sumter, il Lusitania, e il Golfo del Tonchino come modelli per come riuscire a coinvolgere gli Stati Uniti. Il che porta inevitabilmente alla soluzione di Clawson:

“Se gli Iraniani non accettano una situazione di compromesso, sarebbe meglio se qualcun altro iniziasse la guerra … sottomarini iraniani periodicamente si immergono. Un qualche giorno, uno di loro potrebbe non affiorare …. Noi siamo in grado di utilizzare mezzi segreti contro gli Iraniani. Siamo potuti arrivare a cose più sgradevoli di questo.”

Clawson sta chiaramente approvando la messa in scena da parte di Israele di un incidente che potrebbe portare alla guerra, forse anche un’operazione “false-flag” condotta da Israele con l’implicazione diretta degli Stati Uniti, o addirittura sta sollecitando la stessa Casa Bianca a portare avanti questa operazione.

[Un’operazione false flag, sotto falsa bandiera, è una tattica segreta condotta generalmente da governi, servizi segreti e agenzie d’intelligence, e progettata per apparire come perseguita da altri soggetti e organizzazioni anche attraverso l’infiltrazione e/o lo spionaggio di questi ultimi. L’idea è quella di ‘firmare’ una certa operazione per così dire “issando” la bandiera di un altro stato o la sigla di un’altra organizzazione.]

Non a caso Clawson non ha mai servito nell’esercito degli Stati Uniti, e ha un dottorato di ricerca in scienze economiche presso la Nuova Scuola per le Ricerche Sociali, fattori che a ben vedere dovrebbero indicare come lui non sia il più qualificato ad impostare un’operazione segreta per affondare un sottomarino e, quindi, scatenare un conflitto.

Potrebbe essere considerato come moderatamente ridicolo, ma come molti dei suoi colleghi neo-conservatori è ben inserito nel sistema. Egli scrive regolarmente per The Washington Post, The New York Times e The Wall Street Journal; appare in televisione come “esperto”, e in WINEP è sodale con l’onnipresente Dennis Ross, a volte chiamato l’“avvocato di Israele”, che fino a poco tempo fa è stato l’uomo di punta del presidente Obama sulle questioni del Medio Oriente.

Clawson è un utile idiota, che dovrebbe essere registrato come “agente del governo israeliano” se il Dipartimento di Giustizia facesse bene il suo lavoro, ma invece viene portato in palmo di mano come un uomo che dice le cose come sono, nei termini degli interessi usamericani.

La distorsione del processo decisionale nella politica estera in questo paese è qualcosa che può essere attribuito a Clawson e al suo esercito di compagni di viaggio, i quali promuovono palesemente gli interessi di Israele a spese degli Stati Uniti. E fanno questo con gli occhi ben aperti, in piena consapevolezza.

Incitamento all’odio spacciato per libertà di parola

Io volutamente eviterò di dilungarmi nell’attaccare la fanatica filo-israeliana Pamela Geller e i suoi manifesti nella metropolitana di New York che definiscono selvaggi i Palestinesi e civili gli Israeliani, e sono certo che è stata già puntualizzata la questione su come qualsiasi menzogna che possa servire alla causa di Israele sarà aggressivamente difesa come “libertà di parola”.

Un manifesto che similmente avesse appioppato agli Ebrei o ai neri il termine di “selvaggi” non avrebbe visto la luce del giorno a New York City, un’altra indicazione del potere della Lobby e dei suoi amici nel controllare il dibattito sul Medio Oriente e nella gestione del sistema.

Rete di spie

E allora esistono buone ragioni per non amare Israele e ciò che rappresenta, anche attraverso uno sguardo retrospettivo.

È del 1952 l’“affare Lavon”: gli Israeliani erano pronti a far saltare in aria un centro informazioni degli Stati Uniti ad Alessandria di Egitto e addossarne la colpa agli Egiziani.

[“Affare Lavon”, dal nome del Ministro della Difesa israeliano che si gioca la carriera quando si viene a sapere che il Mossad, il servizio di spionaggio di Israele, sta progettando di far saltare alcune postazioni statunitensi sul Canale di Suez per attribuirne la responsabilità agli Egiziani e compromettere così le relazioni fra Washington e Il Cairo.]

Nel 1967, gli Israeliani hanno attaccato e quasi affondato la USS Liberty, uccidendo 34 membri dell’equipaggio, e poi hanno usato il loro potere sul presidente Lyndon Johnson per bloccare un’inchiesta su ciò che era accaduto.

[Una storia che ha dell’incredibile!

Da http://storiadossier.blogspot.it/2012/02/false-flag-usa-lattacco-alla-uss.html

False Flag U.S.A.: L’attacco alla USS Liberty; 1967.

L’otto giugno 1967, nel pieno della “Guerra dei Sei Giorni”, la USS Liberty, una nave per la ricognizione elettronica della marina militare degli Stati Uniti, navigante in acque internazionali del Mediterraneo meridionale, subì un serie di attacchi da parte della marina e dell’aviazione israeliana che provocarono 205 vittime tra morti e feriti.

All’inizio degli anni ‘60, il capo staff, Limitzer, organizzò un piano per un’operazione “False Flag”, che prevedeva la distruzione di una nave americana, al fine di dare la colpa ad un nemico prescelto, ed avere così il pretesto per l’entrata in guerra degli Stati Uniti.

La presidenza Johnson rese il piano operativo l’8 luglio 1967, durante la guerra dei sei giorni tra Israele e le nazioni arabe, e il nemico prescelto era l’Egitto.

In quel periodo la USS Liberty era in navigazione nel Mediterraneo meridionale, con l’obiettivo di raccogliere informazioni. La nave statunitense si trovava a 14 miglia dalle coste israeliane, in acque internazionali.

Il Comandante della USS Liberty, William Mc Conagle, dichiarò in una conferenza successiva all’attacco: “Poco tempo dopo che gli attacchi aerei furono terminati, tre imbarcazioni Torpedo ci avvicinarono ad alta velocità, in un apparente assetto d’attacco”.

Alle ore 2 dello stesso giorno, la USS Liberty venne attaccata da 3 bombardieri che ne bloccarono elettronicamente i sistemi di comunicazione. I tre bombardieri, tipo “Mirage” erano sprovvisti di distintivi ottici per l’identificazione, similmente agli 11 aerei che successivamente vennero identificati come appartenenti all’aeronautica militare israeliana; anche i bombardieri mitragliarono in picchiata la nave, bombardandola con napalm.

Dopo interminabili minuti, i tre Mirage terminarono l’attacco ma solo per lasciare la Liberty in balia di altri bombardieri. Dopo i bombardieri, la Liberty venne attaccata da tre imbarcazioni Torpedo, queste ultime battenti bandiera israeliana. Le Torpedo lanciarono siluri contro la Liberty, mitragliando anche i gommoni di salvataggio. Uno dei siluri lanciati, colpì la nave perforandola da parte a parte. Poi le Torpedo mitragliarono i gommoni in mare (vero e proprio crimine di guerra).

Lyndon Johnson: Affondate la Liberty!

L’attacco durò per ore, durante le quali la USS Liberty inviò svariati S.O.S. a tutta la Sesta Flotta americana, che era vicina al teatro dell’attacco.

Due portaerei (USS Saratoga e USS America) risposero alla richiesta di aiuto facendo decollare i propri caccia, ma vennero immediatamente richiamati dalla Casa Bianca, messa nel frattempo al corrente della situazione.

Fu lo stesso ammiraglio Geiss, comandante delle portaerei della Sesta Flotta, a chiamare Washington per confermare l’ordine di richiamata dei caccia, partiti in soccorso della USS Liberty. Il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson intervenne direttamente rispondendo all’ammiraglio Geiss: “Voglio quella fottuta nave affondata, niente aiuto, richiamate gli aerei.”

Furono i Russi a salvare la Liberty ed il suo equipaggio.

Nonostante gli Statunitensi avessero ritirato i soccorsi, lasciando la Liberty al suo triste destino, fu la presenza di una nave spia sovietica a disturbare provvidenzialmente l’attacco israeliano. Questa unità apparve all’orizzonte, proprio nel momento cruciale dell’attacco. Fu probabilmente la presenza dei Russi che fece desistere gli Israeliani dall’attacco, che ne frattempo si era protratto per tre ore. In tal modo, la USS Liberty, ridotta ormai a rottame, e con 34 morti e 171 feriti a bordo, potette incredibilmente sfuggire all’attacco.

Finalmente ecco la verità.

Dopo 40 anni, gli archivi vennero desecretati e la vicenda, finalmente, emerse in tutta la sua cruda realtà. Le interviste che scaturirono interessarono l’ex portavoce Thomas Moorer, al quale era stato ordinato di falsare i rapporti dei testimoni e delle commissioni. Addirittura emersero testimonianze di alcuni militari israeliani che parteciparono all’attacco della Liberty, come ad esempio quella di un ex pilota israeliano, il quale dichiarò di essersi rifiutato, per ben tre volte, di attaccare una nave alleata in acque internazionali. Cedette solo sotto la minaccia di essere mandato davanti alla corte marziale.

La ricostruzione del False Flag.

Da quanto emerso dagli archivi e dalle informazioni raccolte, la vicenda venne così ricostruita.

Il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, che aveva il controllo diretto sulla nave, decise di “parcheggiarla” in un punto esatto del Mediterraneo.

Lo stesso governo usamericano si era precedentemente accordato con quello israeliano, affinché la USS Liberty venisse attaccata e affondata, senza lasciare sopravvissuti (testimoni).

Ad affondamento avvenuto, l’attacco sarebbe stato imputato all’Egitto e gli Usa ed Israele avrebbero potuto entrare in guerra per impossessarsi così di tutto il Medio Oriente.

Dal momento che l’intero piano fallì, non restò che intimidire il capitano della Liberty e tutto l’equipaggio, che nulla potesse trapelare. Gli uomini della Liberty vennero minacciati di morte o di carcere a vita. Il comandante della Liberty, William L. Mc Gonagle, venne insignito segretamente della medaglia d’onore dal Congresso, a patto di non rivelare mai a nessuno, né l’onorificenza, né la verità sull’attacco alla Liberty.

Come andò a finire?

Nel 1980, Adlai Stevenson III, senatore degli Stati Uniti, annunciò in una conferenza stampa la volontà di aprire un’inchiesta ufficiale, al fine di stabilire esattamente chi fossero stati gli autori dell’attacco alla USS Liberty.

Venuto a conoscenza di tali intenzioni, il governo israeliano, in combutta nell’attacco alla nave, non tardò a contattare la Casa Bianca, offrendosi di versare sei milioni di dollari quale contributo di risarcimento, visto il suo coinvolgimento L’allora Vice-Presidente Walter Mondale accettò prontamente e il Dipartimento di Stato diramò subito un comunicato con il quale veniva annunciato sulla prima pagina del New York Times che il dossier sulla USS Liberty era definitivamente chiuso. Da allora fu impossibile rinnovare l’interesse sul caso al Congresso.

Israele pagò i sei milioni di dollari in tre rate annuali di 2 milioni l’una, ma in seguito, il Segretario di Stato Dean Rusk dichiarò che il risarcimento era da considerarsi nullo, dal momento che il Congresso aveva deciso di aumentare i fondi destinati ad Israele per un importo pari a quella cifra.]

Nel 1987, Jonathan Pollard veniva condannato per spionaggio a favore di Israele, con gli investigatori che stabilivano essere stato la spia più dannosa nella storia degli Stati Uniti.

[si consiglia di consultare http://mazzetta.wordpress.com/2012/08/25/jonathan-pollard-la-spia-piu-odiata-dagli-stati-uniti/ ]

Nel corso degli anni ‘60, gli Israeliani hanno trafugato uranio da un laboratorio in Pennsylvania per costruirsi un arsenale nucleare segreto. E lo spionaggio e il furto di tecnologia statunitense continua!

Israele è la più fervente “nazione amica”, mentre arriva a rubare i segreti agli Stati Uniti, e quando le sue spie vengono catturate, o vengono rimandate a casa o, se sono Statunitensi, ricevono solo buffetti sulle mani.

Uccidono cittadini statunitensi

E Israele la fa franca perfino uccidendo cittadini statunitensi, vedi il caso di Rachel Corrie http://truth-out.org/news/item/11606-rachel-corrie-responsible-for-own-death-israeli-court-rules

e quello di Furkan Dogan, trucidato dai commandos di Israele sul “Mavi Marmara”.

Non dimentichiamo il trattamento di Israele nei confronti dei Palestinesi, che ha reso gli Stati Uniti complici di un crimine contro l’umanità.

Tel Aviv ha anche giocato un ruolo chiave nell’entrata in guerra di Washington contro l’Iraq, nel promulgare una guerra globale al terrorismo condotta dagli Stati Uniti contro il mondo musulmano, e nel gridare al lupo contro l’Iran, e tutto questo non è assolutamente servito agli interessi degli Stati Uniti.

E in mezzo a questo marasma, il Congresso e i media sembrano inconsapevoli ed immemori di ciò che sta avvenendo. Israele ha beneficiato di più di 123 miliardi dollari di aiuti dagli Stati Uniti, e continua ad ottenere 3 miliardi di dollari ogni anno, anche se il suo reddito pro capite è superiore a quello della Spagna o dell’Italia.

Nessuno si pone una qualsiasi domanda su cosa abbiamo a che fare con Israele, mentre il Congresso approva senza sollevare obiezioni risoluzione dopo risoluzione, praticamente assicurando l’entrata in guerra per conto di Israele.

Devo ammettere che non mi piace quello che il mio governo sta facendo in questi giorni, ma mi piace ancora meno Israele, ed è giunta l’ora di fare qualcosa al riguardo. Non più soldi, non più sostegno politico, nessuna tolleranza più nei casi di spionaggio, non più dover ascoltare richieste di “linee rosse” per entrare in guerra, basta con la stampa favorevole quando il demente Benjamin Netanyahu regge un cartone alle Nazioni Unite.

Il governo degli Stati Uniti esiste per servire il popolo americano, né più né meno, ed è tempo che i nostri rappresentanti eletti comincino a ricordarsi di questo fatto.

Nota del traduttore

Il 9 ottobre, il premier Benyamin Netanyahu ha annunciato lo scioglimento anticipato della Knesset, il parlamento di Israele, e la convocazione di elezioni legislative tra gennaio e febbraio del 2013.

Da tempo Netanyahu progettava di andare al voto, e molto probabilmente ha affrettato le sue decisioni in vista della nuova legge di bilancio 2013, e della progettazione di un attacco contro l’Iran.

Netanyahu, un liberista sfrenato, sente spirare un forte vento di crisi economica sullo Stato ebraico e vuole imporre una manovra “lacrime e sangue”, con tagli allo stato sociale e alla spesa pubblica, secondo lui per evitare al paese una crisi più profonda, di entità europea. I partiti religiosi che lo appoggiano sono in subbuglio perché temono di vedere forti limitazioni ai generosi sussidi elargiti alle comunità di ebrei ortodossi. Ecco forse la necessità di una verifica elettorale.

Ma una forte motivazione dello scioglimento anticipato della Knesset resta la questione del nucleare iraniano. Sicuramente il risultato delle elezioni verrà condizionato dallo stato di ansia degli Israeliani per le questioni di sicurezza.

Durante il suo intervento alle Nazioni Unite, Netanyahu con il suo disegno della bomba con la miccia accesa ha dettato i tempi del presunto raggiungimento da parte dell’Iran del punto di non ritorno, quando l’Iran sarà tecnicamente in grado di produrre un ordigno atomico.

La soluzione preferita da Netanyahu resta sempre un attacco ai centri di ricerca nucleare iraniani, e in qualche modo tenta di trascinare nell’aggressione anche gli Stati Uniti.

Se Obama, che fino a questo momento ha posto dei freni a questa azione, risultasse vincitore dovrà per forza “rendersi conto” che le sanzioni internazionali non hanno bloccato i programmi iraniani e quindi sarà chiamato a dare il via libera ad un attacco congiunto israelo-statunitense.

Se risulterà vincitore il repubblicano Mitt Romney, un fautore dell’uso della forza contro Teheran, lo scenario diverrà ancora più probabile.

Ecco perché Netanyahu ha bisogno di una maggioranza schiacciante alla Knesset, e ritiene che il suo partito, il Likud, abbia le potenzialità di una vittoria con largo margine.

Bisogna mettere in conto sempre la possibilità di qualche azione “false flag”! Un progetto astuto, ma fonte di pericolosissimi sviluppi.

(Traduzione e note di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Philip Giraldi, un ex alto funzionario della CIA, ha il coraggio di affrontare il tema più tabù della
politica americana: le attività spionistiche di Israele ai danni del suo grande alleato americano.

Philip Giraldi, nato nel 1946, ex specialista di antiterrorismo e ufficiale dell’intelligence militare degli Stati Uniti (CIA), attualmente è editorialista e commentatore televisivo, ed è direttore esecutivo del Consiglio per l’Interesse Nazionale, un gruppo che sostiene politiche diverse da parte del governo degli Stati Uniti in Medio Oriente.

http://www.councilforthenationalinterest.org/news/opinion-a-analysis/item/2012-giraldi-why-i-dislike-israel

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