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“Livorno non si piega”: dossier su tre giorni incredibili

Guarda le videotestimonianze sul pestaggio di piazza Cavour

1. L’edicolante di piazza Cavour

2. La donna ferita con una manganellata al volto

3. Pardo Fornaciari

Prima di parlare di cosa è successo veramente durante le tre giornate da poco trascorse è necessario fare un piccolo passo indietro e partire dal principio.

La ex caserma occupata

Il 18 di ottobre 2011 a pochi giorni di distanza dai fatti del 15 ottobre romano, un gruppo di student*, precar*, disoccupat* decide di liberare uno spazio di proprietà del demanio statale abbandonato da anni:un’ex caserma dell’esercito lasciata a marcire dalla nostra amministrazione nonostante che il movimento ne chiedesse da tempo la sua conversione in abitazioni per l’emergenza abitativa.

Nasce quindi la straordinaria esperienza politica e sociale dell’ex Caserma Occupata, esperienza che per la nostra città racchiude caratteri di unicità.

A distanza di mesi mentre si sviluppano numerose attività al suo interno anche il quartiere partecipa alle assemblee, aiutando gli occupanti a sistemare il posto con l’offerta di materiale, mobili e quant’altro.

Vengono suddivisi gli spazi e oltre ad alcune famiglie sfrattate che vengono ospitate all’interno delle abitazioni, numerosi giovani precari vincono la loro battaglia contro gli affitti da usura stabilendosi a sua volta all’interno della struttura.

Viene costruita una palestra, una sala concerti, un’osteria popolare, un cinema con 80 poltrone, delle sale prove libere ed autogestite, una foresteria per ospitare temporaneamente chi ha bisogno di un tetto, una biblioteca , un’aula studio, un bar a prezzi popolari, uno skate park, un laboratorio multimediale.

Ricevono ospitalità gratuita numerosi laboratori artigiani, lo spazio viene messo a disposizione per cene di autofinanziamento, compleanni per i ragazzi del quartiere e iniziative sociali e politiche di ogni tipo diventando inoltre la sede toscana delle Brigate di Solidarietà Attiva e ospitando dei corsi dell’università popolare Alfredo Bicchierini.

Attualmente sono centinaia i ragazzi e le ragazze che frequentano tutti i giorni l’ex caserma e· tutto questo avviene senza il minimo finanziamento esterno ma soltanto con la forza e la volontà dei partecipanti.

La voglia di autogestione e protagonismo non si ferma qui.

ex_caserma_ass_citt_30_05_2012All’interno si sviluppa un collettivo politico determinato e combattivo, composto da persone di ogni età, che decide di iniziare ad intervenire in città sulla base di principi condivisi quali l’autorganizzazione e l’autogestione , la lotta diretta senza alcuna delega rivendicata e alla luce del sole, l’autonomia dalle istituzioni e dai partiti per riconquistare i diritti perduti in anni di macelleria sociale, per smascherare il vero volto della crisi voluta dalle banche e dalla finanza ma soprattutto contrastare lo strapotere dei poteri forti locali che da più di 60 anni gestiscono Livorno come se fosse un loro feudo.

Si formano vari comitati cittadini come quello del diritto alla casa e contro gli sfratti, che in un anno ha permesso di non rimanere per strada a quasi cento nuclei familiari.

In risposta alle pressanti richieste di intervento in ambito abitativo da parte del comune e al suo successivo totale immobilismo e disinteresse vengono occupate altre strutture che attualmente ospitano circa 30 nuclei familiari.

Nasce il comitato Livornese disoccupati e precari che inizia ad elaborare dei progetti per· cercare di contrastare la disoccupazione giovanile ormai arrivata a livelli altissimi.

Si comincia a lavorare sul fronte nocività e gestione dei rifiuti organizzando numerose iniziative contro la costruzione del nuovo inceneritore.

Il No PD day

scali_borghezioIl proliferarsi delle campagne politiche e il sempre maggiore interesse da parte dei giovani si concretizzano per la prima volta in una campagna politica strutturata in occasione del convegno programmatico del PD locale in calendario nel mese di giugno 2012 alla quale avrebbero dovuto partecipare il segretario Bersani e il governatore Rossi.

Le politiche future di Livorno vengono decise da un manipolo di burocrati di partito all’interno di un convegno blindato che altro non è che una “guerra” tra varie fazioni politiche per spartirsi potere e interessi economici. Livorno e i livornesi restano a guardare.

I comitati dell’ex caserma organizzano un vivace e propositivo convegno alla quale partecipano numerosi cittadini, comitati e realtà politiche. Vengono elaborate delle proposte concrete, si discute e ci si confronta su tematiche quali il lavoro e il reddito, il diritto alla casa e le nocività.

Il controconvegno si conclude con una manifestazione per le vie cittadine denominata Occupy PD alla quale partecipano alcune centinaia di persone e che si dirige verso la camera di commercio dove all’interno si svolgeva la conferenza del partito locale.

Qualche giorno prima c’era stato il passaggio di consegne tra il vecchio questore D’Agostino e il nuovo, Marcello Cardona, arrivato da Varese con una “lunga esperienza di antiterrorismo alle spalle”. In quel frangente abbiamo ricevuto un “assaggio” di quale sarebbe poi stata la gestione dell’ordine pubblico da parte del nuovo connubio PD locale e questura.

Uno sproporzionato spiegamento di celere e carabinieri in antisommossa schierate a difesa del convegno, minacce alla partenza del corteo e palese nervosismo dei vari dirigenti locali. La giornata scorre tranquilla. Un simbolico tentativo di proseguire il corteo nonostante alcuni poliziotti in borghese si fossero schierati davanti alla sua testa, qualche lancio di uova e nulla più. Nonostante ciò la mobilitazione ha evidentemente turbato il potentato locale.

Uno striscione con su scritto “Via il PD da Livorno” ha sfilato per le vie del centro cittadino in una città da sempre considerata, appunto, un feudo del centrosinistra.

Il corteo degli studenti

Nei mesi continuano le campagne e le iniziative politiche: le occupazioni e le contestazioni sempre più partecipate e determinate. Si arriva a novembre 2012 quando un corteo di studenti e studentesse insieme ai comitati sfrattati e disoccupati dell’ex caserma sfila in massa durante lo sciopero generale e occupa simbolicamente il comune di Livorno.

Momenti di tensione a pochi metri dalla sala del consiglio con alcuni vigili e poliziotti che tentano di bloccare il corteo del tutto pacifico.

La mobilitazione prosegue fino al varco portuale Valessini che viene invaso da centinaia di ragazzi e ragazze per protestare simbolicamente contro le politiche di Austerità del governo e in solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici della TRW che in quel momento erano in assemblea permanente.

L’arrivo di Renzi

cosimi_contestazione_RenziPochi giorni dopo arriva Renzi a Livorno. Gli studenti insieme ai comitati dell’ex caserma decidono di contestarlo come del resto,· in altri contesti, era già successo numerose volte nei giorni precedenti. Il luogo del comizio è la Stazione Marittima dove viene esposto uno striscione fuori dal portone principale e il sindaco si presenta tranquillamente a discutere con gli studenti.

Nessuna presenza evidente di Polizia in antisommossa, solo alcuni agenti in borghese e il servizio d’ordine del partito.

Si chiede di poter esporre uno striscione all’interno: la richiesta viene negata ma alcuni ragazzi riescono ad entrare tranquillamente proprio mentre Renzi stava parlando. Provano allora a far entrare lo striscione e solo in quel frangente nasce una piccola “colluttazione” soprattutto con i responsabili della sicurezza del PD.

Dopo pochi minuti tutto finisce e ognuno torna a casa.

Qual è la motivazione che ha portato ad una gestione “soft” del cosiddetto ordine pubblico a differenza delle giornate oggetto di discussione? I dirigenti della questura locale non hanno ritenuto una minaccia una contestazione di giovani studenti e precari? Perché agli occhi degli stessi dirigenti le identiche persone lo diventano due settimane dopo?

Il Pd livornese ha chiesto ed ottenuto una gestione tollerante data la presenza di un personaggio “scomodo” come Renzi in una città legata al segretario Bersani? Una contestazione sarebbe potuta tornare utile?

Come mai in quel caso non si è parlato di tentativo di interrompere in maniera violenta il comizio? La questura locale di sua spontanea volontà, come spesso succede , ha deciso di fare un favore ai propri padroni permettendo la contestazione?

Queste sono alcune delle domande che in questo momento ci poniamo.

Arriva Bersani

bersani_contestazione_1Poche settimane dopo, per la precisione il giorno 30 novembre, Bersani è a Livorno per concludere la propria campagna elettorale in vista delle primarie.

A differenza del precedente comizio quella sera a Livorno piove e fa freddo. I dirigenti del partito sono nervosi, la partecipazione non è massiccia come speravano, si è parlato di 1200 persone ma è un dato chiaramente falso, probabilmente erano molto meno di quanto non fossero per Renzi.

Vengono organizzate tre differenti contestazioni. Nulla di strano. La presenza del segretario del Pd è un’occasione per ottenere visibilità e protestare in maniera genuina contro un partito che ha sostenuto tutte le politiche criminali del governo Monti.

Il giorno prima erano stati arrestati numerosi attivisti No Tav della Val di Susa e un gruppo decide di presentarsi con le bandiere dei comitati Valsusini.

Alcuni precari e studenti Livornesi dell’ex caserma si presentano con uno striscione con su scritto: “Tagli al sociale, alla sanità e all’istruzione. Vota PD per la distruzione”.

Inoltre c’è un presidio di alcune lavoratrici della Sodexo di Pisa, azienda di servizi ospedalieri che da poco ha licenziato numerosi dipendenti.

Quando iniziano a presentarsi i primi contestatori ci si rende subito conto dell’atteggiamento diverso da parte della questura Livornese.

Perquisizioni già all’ingresso del parcheggio, perquisizioni eseguite anche da alcuni personaggi del servizio d’ordine del PD insieme alla Digos (??), tentativi di bloccare alcuni partecipanti adducendo motivazioni ridicole del tipo che quel comizio era solo per votanti PD. Qualche minaccia velata e nervosismo palpabile.

L’ingresso principale della sala si trova leggermente rialzato da terra, vi si accede da una rampa che permette la salita da due lati opposti.

Verso le 10 e mezzo si radunano all’esterno una cinquantina di persone e una delegazione della Sodexo si avvicina alla prima rampa chiedendo di poter entrare ad esporre uno striscione. Vengono fermate da alcuni carabinieri e agenti della Digos.

Nasce subito una discussione dove tutti chiedono di poter entrare pacificamente all’interno e domandano come mai non sia possibile.

Poco dopo anche il gruppo No Tav e precari, tutti a volto scoperto, si avvicina all’altra rampa dove stazionavano alcuni carabinieri , questa volta, anche se riposto nella custodia, armati di manganello. Come con Renzi vengono subito bloccati ma stavolta in maniera del tutto arrogante e violenta, qualcuno dei carabinieri comincia ad urlare e altri iniziano a spingere tirando fuori i manganelli. Si avvicinano alcuni agenti della Digos ma nonostante gli inviti alla calma parte una manganellata e un ragazzo di vent’anni riceve un pugno in faccia che gli provoca una ferita al naso.

I contestatori, sempre a volto scoperto e senza armi, non si muovono dalla loro posizione ma i carabinieri sono sempre più nervosi. Mentre tutti i giornalisti sono dentro con la bava alla bocca a riportare tutto ciò che dice Bersani parte un’altra carica questa volta più violenta.

Ci sono dei feriti lievi ma la situazione è ormai degenerata. Viene fatto spostare un reparto della celere che carica insieme ai carabinieri per la terza volta i contestatori: una carica più lunga e più violenta delle precedenti, ci sono altri feriti. Dopo una mezz’ora di proteste e di slogan contro la violenza della polizia in cui la celere e i contestatori si continuano a fronteggiare, il presidio si scioglie.

Quali sono stati gli ordini impartiti ai poliziotti quella sera? Come mai a differenza della contestazione a Renzi quel giorno la Polizia ha deciso di “gestire” la piazza in maniera diversa?

La notizia delle cariche gratuite fa il giro di tutte le realtà politiche cittadine. Se ne parla sui social network e vengono pubblicati i primi video e le prime foto.

Il presidio di sabato in piazza Grande

L’ex caserma occupata indice un presidio per il pomeriggio successivo alle 17 in piazza Grande per protestare contro le cariche e l’evidente volontà repressiva della questura e del PD. Il giorno primo dicembre, nel tardo pomeriggio, in piazza Grande iniziano ad arrivare numerosi compagni e compagne.

Oltre al collettivo ex caserma vi sono rappresentanti di Sinistra Critica, di alcuni comitati ambientalisti, della Federazione Anarchica e del Collettivo Anarchico Libertario, iscritti ai sindacati di base e semplici simpatizzanti.

Da far notare che qualche giorno prima la Federazione Anarchica aveva mandato comunicazione alla questura per svolgere un presidio nella stessa piazza per protestare contro il governo Monti e le politiche di austerity e,· nonostante il presidio fosse stato rinviato, “l’autorizzazione” non era stata revocata.

Verso le 17:30 i manifestanti decidono di muoversi in corteo fino all’ingresso del comune per portare la protesta anche di fronte alle istituzioni locali. Parte una piccola manifestazione di 50\60 persone con bandiere No Tav, striscioni e cori di protesta, ancora una volta tutti sono a volto scoperto e senza alcuna volontà provocatoria.

Nel piccolo tragitto (circa 200 metri) che va da Piazza Grande al Comune, alcuni ragazzi dell’ex caserma vengono avvicinati da due esponenti della locale questura e nello specifico il dirigente Daniele Ridente e il vicario del questore Paolo Rossi. Il primo “avverte” i ragazzi che il corteo non è autorizzato e di non “esagerare” perché altrimenti sarebbero intervenuti con il reparto mentre il secondo, già visibilmente nervoso, minaccia utilizzando un messaggio più diretto: “ oggi vi pestiamo”…

Per analizzare quella giornata è utile fare un piccolo passo indietro e spiegare attentamente quali erano (e quali per noi sono) le consuetudini ormai consolidate da parte di tutte le realtà politiche di movimento in fatto di manifestazioni o presidi.

A Livorno manifestare non è mai stato un problema. Spesso i presidi autoconvocati si sono trasformati in cortei itineranti e, nella maggior parte dei casi, veniva inviato un fax direttamente in questura che comunicava l’indizione di un corteo e ne chiedeva “l’autorizzazione”.

Il blocco del traffico, anche quando estemporaneo, veniva concordato e gestito con gli agenti della polizia municipale e difficilmente si sono verificati in passato momenti di tensione improvvisa. La libertà di dissenso e di manifestazione non è mai stata messa in discussione neanche in momenti difficili quali ad esempio quelli succesivi ai “fatti di Pistoia”.

Detto questo, tutti i partecipanti si sono sempre assunti le proprie responsabilità e la possibilità di incorrere in una denuncia per manifestazione non autorizzata non è mai stata un problema. Oltretutto vi sono varie interpretazioni di questo reato: molto spesso processi di questo tipo si sono conclusi con assoluzioni di massa ed è doveroso ricordar che l’articolo 21 della costituzione garantisce il diritto inviolabile a manifestare il proprio dissenso con qualsiasi mezzo.

Proseguiamo però con la cronaca.

Dopo gli avvenimenti del giorno precedente la volontà dei partecipanti era quella di rivolgere le proprie proteste pacifiche di fronte ai due simboli che a nostro avviso meglio rappresentavano le responsabilità del comportamento incomprensibile e violento durante la contestazione di venerdì: il Comune (istituzioni e PD) e la prefettura (ministero dell’interno).

Una volta giunti sul piccolo prato di fronte al municipio partono di nuovo le minacce da parte degli agenti in borghese e diventano sempre più pesanti. Alcuni reparti di celere iniziano a schierarsi in lontananza e precisamente nella piccola via che porta alla questura accanto alla Banca di Italia.

Un manifestante prende il megafono e spiega a tutti i partecipanti cosa stava succedendo in quel momento e ripercorre le varie minacce ricevute.

Invita alla calma e ricorda a tutti che il diritto di manifestare sarebbe stato garantito e di rimanere fermi. Dopo qualche minuto il senso di responsabilità dei manifestanti, le continue minacce e la volontà di proseguire in corteo per comunicare alla città ciò che stava succedendo portano i presenti alla scelta di abbandonare la piazza senza dirigersi verso la prefettura ma percorrere le vie cittadine fino a piazza Cavour. Uno dei luoghi più frequentati nei pomeriggi del fine settimana.

Il corteo riparte e per tutto il percorso continuano le intimidazioni da parte di numerosi poliziotti della Digos. Durante il percorso non ci sarà nessuno blocco effettivo del traffico e nessun problema di ordine pubblico. Stiamo parlando oltretutto di una zona chiusa alle autovetture private e gli autobus che transitavano non hanno incontrato alcun ostacolo.

Una volta arrivati in piazza il corteo e la manifestazione si potevano dire ormai conclusi.

Lo dimostrano sia gli interventi al megafono sia il fatto che alcuni partecipanti abbandonano la piazza per tornare a casa. Nonostante ciò fosse incontestabile ed evidente la Digos e alcuni poliziotti in borghese si schierano trasversalmente alla strada come a far vedere che avrebbero impedito ai manifestanti di proseguire nel percorso (??).

Cosa è successo in quel momento? E’ forse arrivata una comunicazione ai dirigenti locali del fatto che il reparto mobile che stazionava in questura si stava muovendo? I “locali” cercavano di dimostrare ai loro superiori che avrebbero potuto tenere la situazione sotto controllo? Che al corteo sarebbe stato impedito di proseguire con il loro intervento? Chi ha ordinato lo spostamento del reparto celere in piazza Cavour?

Se già questo atteggiamento è stato subito interpretato come una provocazione (il corteo era concluso) la situazione cambia ancora una volta nel giro di pochi minuti.

Mentre alcuni passanti incuriositi iniziano ad avvicinarsi alla statua, dai fossi dal Viale Italia arrivano le prime camionette che si fermano all’imbocco della piazza e· fanno scendere i celerini già armati di manganello scudo e casco. Da questo momento in poi la “gestione“ della piazza viene presa in mano da un dirigente dall’accento romano visibilmente fuori di sé e intenzionato a provocare in qualsiasi maniera.

Si presenta di fronte ai manifestanti e inizia ad urlare che se non ci fossimo dispersi subito ci avrebbe caricato (e in sequenza: pestato-massacrato ecc). I dirigenti locali sono in evidente difficoltà, parlano poco e danno l’impressione di essere totalmente succubi di fronte agli ordini dell’esaltato che era lì presente.

Questo video mostra i due minuti prima della carica con il manifestante al megafono che invita alla calma e spiega la natura del presidio

Alcuni celerini iniziano a provocare alcuni ragazzi. Uno continua a ripetere frasi del tipo “Che cazzo guardi?” “Che problemi hai?”. Altri visibilmente nervosi fanno la “linguaccia” ai presenti…

Un manifestante prende il megafono: inizia a spiegare a tutti i presenti, passanti compresi, quello che stava succedendo e· comunica in tempo reale le minacce che il gruppo stava ricevendo e invita tutti a rimanere tranquilli e totalmente pacifici.

La gente si ferma, osserva la scena e per nulla spaventata in parte si aggrega al gruppo che continuava a stazionare sotto la statua. Alcuni commercianti si avvicinano e osservano. Molti ragazzini ,che notoriamente frequentano quel luogo, si avvicinano e solidarizzano.

polizia_piazza_cavourImprovvisamente la polizia carica: il reparto si apre a ventaglio su tutta la piazza cominciando a manganellare indistintamente tutti i presenti. Alcuni celerini arrivano fino all’angolo del bar sul lato della piazza percorrendo una ventina di metri picchiando e manganellando tutti quelli che si trovano lungo il cammino.

Il video della carica

Dalla parte di via Magenta invece si accaniscono in 4\5 su un ragazzo di 18 anni frequentatore dell’ex caserma che una volta in terra riceve “l’aiuto” dei genitori che erano in quel momento presenti.

La mamma del ragazzo viene manganellata e perde sangue dal naso e dalla testa. Altri presenti si ritrovano a terra coperti di sangue. La piazza reagisce con indignazione e rabbia impotente. Da ogni angolo si sentono urla dei passanti che chiedono di smettere: si sentono solo frasi come “ Basta assassini” , “Non stavano facendo niente” “Siete pazzi, lasciateli stare”.

Non un commerciante, un passante, un qualsiasi frequentatore della piazza si sottrae all’indignazione collettiva generata da quel comportamento sconsiderato e incomprensibile. Cominciano ad arrivare le ambulanze. Si possono notare numerosi feriti alla testa e al corpo. Alcuni scelgono di non andare all’ospedale per paura di ritorsioni (come purtroppo spesso accade).

La celere e i numerosi presenti continuano a fronteggiarsi in mezzo alla piazza. Da questo momento in poi il comando sembra essere tornato al Vicario del Questore Paolo Rossi che staziona davanti al reparto. Un carabiniere in divisa cerca in maniera patetica di spiegare ad alcuni ragazzini le ragioni della carica. I poliziotti in antisommossa continuano ad essere nervosi e l’impressione generale è che possa ripartire una carica da un momento all’altro. Nonostante ciò nessuno abbandona la piazza.

Dal megafono si continua a fare interventi, spiegando cosa era successo e invitando tutti alla calma. Arrivano alcuni esponenti di un partito locale che tentano una mediazione. La piazza è decisa a non mollare. Viene comunicato che nessuno si sarebbe mosso di li finché il reparto non fosse andato via.

I presenti decidono collettivamente che dal giorno successivo sarebbero tornati in piazza· · in manifestazione non autorizzata tutti i giorni fino a quando la libertà di manifestazione non fosse finalmente ristabilita. Si danno appuntamento per la domenica alle 5 del pomeriggio sempre in piazza Cavour.

In serata il reparto arretra di qualche metro, i manifestanti abbandonano pian piano la piazza. Tutto torna apparentemente alla normalità..

Da quella sera si scatena in rete, attraverso i social network e i vari siti, un tam tam che prosegue fino al giorno successivo. Vengono pubblicati video su YouTube, parte il passaparola tra i ragazzini presenti quella sera in piazza, il giorno successivo il Tirreno pubblica in parte un comunicato dell’ex caserma che annuncia la volontà di manifestare lo stesso giorno con concentramento proprio dalla piazza in cui erano successi i gravi fatti di sabato.

Livorno decide di stringersi attorno ai suoi abitanti e ai suoi cittadini. Il corteo parte e si ingrossa a dismisura strada facendo. La rabbia sale. Continuano ad accorrere ragazzi e ragazze da tutti i quartieri. Un corteo straordinario, determinato e comunicativo.

Il video montato di tutta la giornata di domenica. Passo per passo fino alla Prefettura

Dopo aver percorso alcune vie centrali più di mille persone arrivano davanti alla questura per protestare con forza la propria indignazione.

La situazione rimane piuttosto tranquilla, dal megafono si invita alla calma. Ma oltre agli agenti in borghese si avvicinano in lontananza anche alcuni poliziotti coi caschi e i manganelli.

La tensione sale sempre di più, partono cori contro il questore e la polizia, la rabbia cresce e si decide di abbandonare la questura e proseguire verso il mare passando davanti alla prefettura per poi tornare in piazza Grande. Il portone di ingresso del palazzo del governo è diverso da quello della questura.

Non ci sono esigenze particolari di ricezione del pubblico, per poter entrare nell’atrio si deve oltrepassare un grosso cancello di ferro che preclude l’ingresso ad un successivo spazio esterno lungo qualche metro.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una scelta apparentemente incomprensibile. La polizia in borghese invece di fare il giro dalla parte opposta dei manifestanti oppure di passare dall’interno del palazzo segue il corteo praticamente a fianco dei manifestanti, dentro la manifestazione.

Lo stupore di molti dei presenti si materializza nel momento in cui, girato l’angolo dello stabile, invece di trovare un cancello sbarrato e una piazza deserta si trova davanti una scena completamente diversa. Il cancello è aperto, dentro si schierano i poliziotti coi manganelli e i caschi. I dirigenti della Digos si mettono davanti.

Un corteo, per quanto “incazzato” e rabbioso, se si fosse trovato davanti ad un muro di cemento ed un cancello alto più di 2 metri completamente sbarrato non avrebbe potuto far altro che proseguire nel suo percorso, al massimo sarebbe potuta volare qualche torcia o petardo e così la cosiddetta incolumità degli agenti in servizio e “l’inviolabilità” del palazzo simbolo del governo sarebbe stata salvaguardata.

Un esempio su tutti potrebbe essere quello di una recente protesta a Genova portata avanti dagli operai dell’Ilva.· http://genova.mentelocale.it/49433-genova-ilva-genova-tilt-tensione-davanti-alla-prefettura/

Così non è stato ed è su questa scelta che parliamo di provocazione e chiediamo pubblicamente al questore il perchè di questo atteggiamento.

Dopo tre giorni di gestione “irresponsabile” della piazza almeno in quel frangente si poteva evitare ulteriori tensioni, se ciò non è stato fatto evidentemente vi sono responsabilità precise.

Vogliamo però continuare a raccontare i fatti.

Il corteo inizia ad occupare la piazza antistante, un manifestante si mette davanti al cancello e invita con un megafono a mantenere la calma, a proseguire verso via San Giovanni. Urla ai dirigenti della Digos di chiudere subito il portone della prefettura per evitare scontri ma questi rimangono a lungo immobili ad aspettare…

Partono i primi lanci di oggetti e petardi, la rabbia popolare diventa incontenibile, si avvicinano centinaia di ragazzi. Si continua ad urlare al megafono di mantenere la calma ma gli agenti davanti al portone si schierano in fila con caschi e manganelli.

Guarda i video del il corteo e degli scontri in prefettura (123)

La situazione non è più gestibile. Solo in quel momento un poliziotto in borghese, ma con casco e manganello, e non, e sottolineiamo non, uno dei dirigenti presenti (Ridente o Rossi) si decide a cercare di chiudere il cancello. Ormai è troppo tardi. La rabbia dura qualche minuto e il cosiddetto “assalto” si limita al lancio di qualche fumogeno e petardo e di alcune transenne lanciate dietro il cancello ma sempre all’esterno del palazzo. Anche questo particolare lascia intravedere una volontà specifica: durante alcuni cortei vengono saldati addirittura i tombini, perché lasciare delle transenne là davanti nonostante la possibilità di tensioni?

Successivamente in un momento di “calma” si riesce a proseguire il corteo che rimane delle stesse dimensioni fino alla sua conclusione in Piazza Cavour. La cosiddetta “turbativa dell’ordine pubblico” dura qualche minuto. Pochissime persone decidono di abbandonare la piazza probabilmente più per paura che per la volontà politica di prendere le distanze.

Noi non ci dissociamo né politicamente né moralmente da quello che è successo domenica a Livorno. E’ stata la risposta popolare di una città che mai nella sua storia ha chinato la testa di fronte agli abusi e alle prepotenze.

Abbiamo fatto il possibile per mantenere la calma e in tutti e tre i giorni di tensione abbiamo cercato di mantenere un atteggiamento responsabile, ci siamo sempre presentati a volto scoperto e rivendicando e comunicando ogni gesto e ogni scelta a tutti i presenti. Che ci serva di lezione per il futuro.

La gestione dell’ordine pubblico da parte del questore è stata vergognosa e criminale. E lo stesso vale per i dirigenti della Polizia Livornese soprattutto nella giornata di domenica.

Chiediamo le dimissioni immediate del Questore Cardona per le sue oggettive responsabilità nella gestione della piazza e in quanto palesemente incompatibile con una città come Livorno e con i suoi cittadini.

Le dichiarazioni di oggi (4 dicembre) su un quotidiano locale confermano la nostra tesi. Lo stesso si ostina a tenere un atteggiamento provocatorio , arrogante ed intransigente che non potrà far altro che alimentare tensioni e scontri futuri (oltretutto anche in vista di più che prevedibili tensioni sociali dovute alla crisi).

Per concludere ribadiamo ancora una volta che, per quanto ci riguarda, il diritto a manifestare NON SI DISCUTE. Né ora né mai. Con o senza “autorizzazioni”.

Se la volontà è quella di manganellarci tutte le volte che organizziamo un corteo cittadino ne prendiamo atto ma che tutti sappiano che ciò non ci spaventa minimamente.

Livorno non si piega!

*****
Alieni violenti e demoni scioccanti. La bancarotta della stampa democratica sui fatti di Livorno

Abbiamo parlato a parte della ricostruzione dei fatti sul recente fine settimana livornese.  Dal nostro articolo si possono anche comprendere le numerose imprecisioni, falsità, le distorsioni e i tentativi di depistaggio operati dalla stampa autoproclamatasi democratica. Quello che è interessante è notare l’approccio cognitivo ed ideologico che la stampa ha dato sui fatti di Livorno. Ne esce un panorama, a dir poco, sconcertante rispetto proprio all’aspetto conoscitivo proposto dalla stampa, che si definisce oltretutto credibile e sobria, sulle vicende livornesi.

Fa davvero riflettere il livello del frame cognitivo, popolato evidentemente da incubi, di giornali che sono veri e propri dispositivi di costruzione della realtà per decine di migliaia di persone. Cominciamo dall’impagabile Tirreno, storico produttore di montagne di notizie tossiche. Il Tirreno, oltre ad essere riuscito ad aprire in cronaca locale di domenica sul destino dei proventi delle multe e non sui gravissimi fatti di sabato in centro (e non era facile), il martedì propone in prima un editoriale di Alfonso Iacono dedicato agli incidenti davanti alla prefettura. Iacono, quando è in cattedra, è un critico della costruzione dei processi di minorità in rapporto al potere. E infatti che cosa ti scrive? Una sorta di appello al potere alla comprensione, non certo alla giustificazione di fronte alla legge (non sia mai), di quanto disagio sia espresso in ciò che è accaduto a Livorno. Complimenti, una vera e propria costruzione filosofica del processo di minorità di chi manifesta rispetto alle ragioni del potere.

Le critiche al comportamento del Pd, che nell’articolo di Iacono fa da sfondo come razionalità sovrana, infatti non sono previste, l’esempio del coraggio degli intellettuali francesi nel denunciare la repressione in Italia è ormai puro vintage, mentre si sa chi è “violento” sbaglia ma va anche capito. Più che di Axel Honneth in queste righe sembra di vedere l’influenza del calendario di Frate indovino, potenza straniante dello scrivere sul Tirreno. Peccato che bastava guardare ai fatti di sabato, quelli che hanno generato la reazione di domenica, per vedere i clip dei manifestanti (i violenti che vanno capiti) spiegare alla polizia (che invece ha operato una violenza che si capisce benissimo) che il presidio era pacifico e non c’era bisogno di caricare. Ma si sa, quando si deve vellicare una audience piddina, che va convinta di essere antropologicamente superiore alle popolazioni, documentarsi diventa persino inutile.

Se il modello di questi editoriali di Iacono è Voltaire, il filosofo che sapeva parlare al potere, si scorge però un difetto di fondo: perlomeno l’autore del Candido quando parlava con Federico II di Prussia si documentava. Sia sullo stato reale delle popolazioni che di quello del potere. Ma si sa, il passaggio dal Manifesto alla Chernobyl culturale diretta da Bernabò non risparmia la mente di nessuno. Una volta sceso sulla terra, il Tirreno titola in cronaca “identificati 40 violenti”. Si badi bene non manifestanti ma violenti. In barba ad ogni eventuale giudizio in sede giuridica, il garantismo serve solo per Sallusti, e in piena identificazione dei manifestanti come qualcosa di animale. Anzi di alieno se stiamo alla ricostruzione in un altro impagabile del giornalismo democratico, Marco Gasperetti. Il quale, parlando di Livorno come se fosse un inviato su Marte del film di Carpenter sui fantasmi del pianeta rosso, non trova niente di meglio che definire i manifestanti degli alieni. Riassumendo, il messaggio della stampa democratica è complessivamente questo: dobbiamo capire degli alieni violenti. Buona fortuna, non c’è che dire, e occhio alla quantita d’erba che fumate.

Ma lo star player di queste giornate, Marco Gasperetti, non si ferma agli alieni. Dopo aver fatto dire ad un poliziotto, sempre sul Corriere Fiorentino, che i manifestanti non sono livornesi si sofferma sulla loro definizione come demoni. Quando si dice il senso delle proporzioni: per aver tirato qualche transenna ed un paio di lamperogeni, dopo un brutale pestaggio il giorno precedente, nel mondo di Gasperetti si diventa un demonio. Gradiremo però sapere nella sofisticata demonologia di Gasperetti che posto occupano i responsabili della Diaz, di Bolzaneto e della morte del povero Aldrovandi.

Ma di che tipo di demoni stiamo parlando? Ce lo spiega l’inviata di Repubblica-Firenze a Livorno che, evidentemente, ha subito lo stesso choc cognitivo di chi va a studiare, da via Alfonso Lamarmora (sede del giornale nel capoluogo toscano), le ultimissime popolazioni non civilizzate della Nuova Guinea. L’inviata di Repubblica mostra infatti il proprio straniamento, il proprio choc nel dover spiegare che a Livorno gli spazi sociali contestano il Pd. A parte il fatto che non risulta che a Firenze i centri sociali facciano le ovazioni a Renzi, è fenomenale la spiegazione che, del proprio choc, si dà l’inviata di Repubblica. Siccome Livorno è stata una città rossa, argomenta l’inviata, dove è stato fondato il Pci non si capische perchè i centri sociali contestino il Pd. E’ come dire che non si capisce perchè a Roma, che è stata capitale dello Stato Pontificio, si tengano le elezioni senza chiedere il permesso al papa.  Ma, ricordiamocelo, siamo sul fantastico, lisergico mondo a parte di Repubblica. Mondo che, assieme al Corriere Fiorentino, contribuisce nella costruzione dei manifestanti di Livorno come demoni scioccanti.

Quando si dice dare strumenti di comprensione dei fatti, in modo sobrio e documentato, ad una attenta opinione pubblica.
La stampa, lo sappiamo, fin dal ‘700 è un’ottica del potere. Evidentemente quella ha cercato di percepire Livorno è un’ottica che si definisce tanto realistica quanto di fatto è in preda ad evidenti stati di allucinazione. Suscita una certa conclamata ilarità il pensiero che questa dovrebbe essere la stampa democratica dovrebbe far capire all’opinione pubblica quanto sta accadendo a Livorno e magari persino le ragioni dei manifestanti. Una volta placate le risa, vediamo però l’ennesima bancarotta della stampa autoproclamatasi democratica incapace di presidiare la garanzia di un qualsiasi diritto civile e di fornire il più banale accertamento dei fatti.Una stampa capace  piuttosto di iniettare nel corpo sociale il paternalismo di Frate Indovino  e poi pulsioni, frame cognitivi perversi, allarmismi, ansie proiettive e distorsioni conoscitive. Suscita davvero preoccupazione il rapporto di questa stampa con il potere. Chi è democratico davvero non avrà problemi ad inquadrare correttamente la questione.

A cura di Terry McDermott e Jimmy Case per Senza Soste

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