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Livorno, la risposta dei neet al disagio patologico del Pd

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I fatti del weekend livornese che va da venerdì 30 a domenica 2, alla fine avvertiti dall’opinione pubblica solo con gli incidenti davanti alla prefettura, possono essere interpretati con la categoria del disagio. Non si tratta però di usare, in forma italiana, le categorie che la psicologia sociale critica inglese a volte chiama “aggro”. Ovvero un misto di spiegazioni sulla violenza aggregata di gruppo invariabilmente frutto del disagio individuale qualche volta espresso in forma collettiva.Nel rito italiano di coniugazione di queste categorie c’è subito l’elaborazione della colpa verso chi si è rivoltato. Hai usato violenza perchè disadattato quindi hai colpa di quanto è successo. L’opinione pubblica condanna istantaneamente la tua colpa, come in “Dredd, io sono la legge”, la magistratura valuta le responsabilità individuali. Se seguirà analisi scientifica del tuo disagio è solo per costruire quel dispositivo di attenuanti, tutte legate al fatto che sei mentalmente instabile, che non ti toglierà la condanna ma ne mitigherà gli effetti. Sul piano mediatico e giudiziario. E’ tutto quello che hanno da offrirti i residui di psicologi o sociologi rimasti, per motivi clientelari o per docilità, attaccati alla dimensione del neoliberismo paternalista del Pd. Praticamente nulla, a dire il vero, una sorta di sottile decorazione intellettuale del complesso di effetti sulla vita quotidiana offerti al giovane oggi: l’espulsione dalla vita sociale, dalla visibilità collettiva, il mantra delle regole e della legalità per ridurre al silenzio, la negazione di ogni diritto di cittadinanza. E poi tante legnate, al primo reale cenno di dissenso, alle quali seguono la condanna dei media, le inchieste della magistratura e qualche analisi sul disagio giovanile.

Invece no, l’analisi vera sul disagio di Livorno sta tutta entro un problema, prima di psicologia sociale poi politico, strutturale di ciò che rimasto del ceto dirigente di centrosinistra. Stiamo parlando del fenomeno del disagio patologico, individuale e collettivo, del centrosinistra livornese. Incapace di fare i conti con il principio di realtà, pronto solo a costruire processi di di rimozione per rifugiarsi nel principio di piacere.  Il principio piacere, per un esponente del centrosinistra livornese, è instabile e inquieto ma localizzabile in alcune aree del mentale e del sociale: il gioco infinito delle nomine e della candidature, quello sugli indici di edificabilità, le calde e controverse trame del porto, la più recente eccitazione per i tagli e le dismissioni “senza alternativa”. Tutto ruota attorno ad un principio originario di piacere che non è solo individuale ma ci spiega il comportamento di una classe sociale che vive solo ed esclusivamente per il gioco permantente della continuità e del cambiamento nell’esibizione di status, di potere e di potere del denaro. Sembra incredibile, visti i problemi della città, ma nel potere livornese si vive così. Come tanti Maria Antonietta nei corridoi di Versailles prima della famosa frase sulle brioche. Ci vuole giusto lo stato di allucinazione di qualche ascaro di centrosinistra che ha votato alle primarie “per spostare a sinistra il Pd” per pensare il contrario.

Per vivere in questo modo, drenando risorse impressionanti da una città a rischio sopravvivenza, il Pd livornese ha espulso dal proprio spazio di rappresentazione tutto ciò che contraddice il proprio principio di piacere. Ha modellato nel tempo media locali, nei quali lavorano placidi carabinieri della notizia, che riproducono lo specchio, e lo spettro, dell’unico mondo che nel centrosinistra si vuol vedere: una lenta, insignificante vita di provincia (rappresentazione che liquida l’eredità della vivace cultura popolare livornese), con qualche momento di vivacità e di solennità dovuto solo a cerimonie ufficiali. Ha ridotto al silenzio o emarginato voci dissonanti, anomale sia nella vita amministrativa che politica. Ha disinvestito su qualsiasi processo di innovazione nel timore che rimettesse in discussione il primato del proprio principio di piacere.  Un processo di rimozione, simbolica e reale, che è anima di una chiusura operativa di governo. Un processo materiale che sta costando a Livorno il trasferimento di tutte le proprie risorse, persino del proprio futuro, verso una élite in preda ad un disagio patologico dovuto all’incapacità di fare ordine tra piacere e realtà.

Il problema è che una volta abolito il principio di realtà non è che la realtà scompare. Livorno da molto tempo, per chi se ne è accorto, non è più un’isola pasciuta della Toscana felix. Socialmente parlando ha ormai tratti molto simili a diverse periferie europe: Oldham, Rostock, Mantes-la-Jolie. Periferia che accumula migliaia di giovani, ai quali si aggiungono moltissimi casi in età lavorativa matura, espulsi da ogni elementare diritto di cittadinanza. Dove i tradizionali processi di regolazione politica, sociale, familiare, interpersonale sono irrimediabilmente saltati nelle nuove condizioni materiali ed economiche. E dove la cosiddetta economia di mercato, da dati statistici, si è ritirata, assieme ai servizi sociali, almeno per un decennio. Resta il residuo di accumulazione di ricchezza dei decenni precedenti, e le pratiche sociali ad essa correlate, a fare in qualche modo da collante sociale.

La vicenda del fine settimana preso in esame è proprio quella del ritorno del principio di realtà a Livorno. E con un protagonista preciso della periferia locale: i neet, la generazione che non lavora e non studia. Assieme a quella precaria, altrettanto numerosa, che ne ha comportamenti assimilabili. Lì non c’è disagio ma c’è stata affermazione di un principio di realtà. Quello per cui esiste il problema dell’agibilità politica del territorio, di quella fisica degli spazi da attraversare. La composizione del corteo di domenica, dopo le aggressioni contro i manifestanti del venerdì e del sabato, parla chiaro. E’ questa generazione che pone il problema, politico ma più largamente simbolico, dell’agibilità e della vivibilità di Livorno. Stiamo parlando di una generazione che conosce, come servizio pubbico, sostanzialmente solo le forze dell’ordine.

Di fronte a questi problemi, a partire dalla stessa serata del venerdì, per non parlare dei fatti di sabato, il Pd locale ha rimosso la realtà per ritirarsi per l’ennesima volta entro il proprio principio di piacere. Convention, mondanità, organizzazione di un rito politicamente inerte di definizione degli organigrammi detto “primarie”. Altro che governo dell’emergenza che stava montando su Livorno. Non un problema che stava venendo fuori in quelle ora è stato affrontato. Non una analisi utile successiva è stata prodotta. E questo non va detto con la nostalgia del governo paternalista dei conflitti da parte del centrosinistra. Ma il senso della diagnosi di chi vede che il ceto politico al potere a Livorno  talmente disconnesso dalla realtà da far marcire lo stesso territorio che lo fa ingrassare. Il futuro ci prospetta spettacoli del genere: il Pd sopravvive tagliando prestazioni sociali, facendo l’esattore dello stato, dismettendo servizi. La prospettiva di doversi occupare dei problemi enormi di Livorno, generati da un’economia che con il 2012 (dati Irpet) ha subito fenomeni di collasso, non è, per il centrosinistra livornese, una opzione reale. Non c’è una visione economica, dei servizi, delle necessarie iniezioni di innovazione che il centrosinistra possa praticare. E di fronte a problemi enormi. Di qui la fuga nel principio di piacere: un mondo a parte costruito con mattone, porto, nomine e candidature. Una ridotta sia rispetto al mondo esterno che alla stessa economia livornese. In questi giorni invece i livornesi, con alla testa una parte significativa dei giovani della città, ha invece ribadito un principio di realtà. Quello dell’agibilità politica e della libertà di espressione sul territorio.

Non siamo di fronte ad un ceto politico moderato, capace di nicchiare come di ascoltare o di conservare come di innovare. Il governo della città è in mano a soggetti in preda a patologie di disagio piuttosto gravi. Gente che tanto più le questioni si fanno stringenti si rifugia nell’onirico. Come in questi giorni, mentre a Livorno si distendevano problemi reali, con la fuga ad occuparsi solo di primarie. Nessuna città, specie con pericolose trasformazioni in atto, si può permettere la permanenza di simili fenomeni al potere. Anche questo principio di realtà è destinato a farsi spazio.  Affermato questo, le strategie per liberare questa città si possono costruire.

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