Le recenti timide critiche al governo di Tel Aviv non pregiudicano il sostegno e la complicità che le cancellerie statunitensi ed europee garantiscono al progetto sionista. Con la ratifica dello “United States Israel Enhanced Security Cooperation Act of 2012” gli USA di Obama hanno rafforzato il sostegno e la cooperazione commerciale e militare con Tel Aviv. Una scelta tragicamente reiterata durante la recente aggressione israeliana a Gaza, quando il Segretario di stato Hillary Clinton è tornata ad affermare che la sicurezza e l’ebraicità dello Stato d’Israele sono condizioni imprescindibili per gli interessi USA, confermando che l’ebraicità dello Stato di Israele risponde all’alleanza neocoloniale che lega i paesi imperialisti all’enclave sionista, strategicamente inserita tra i paesi arabi. Un’alleanza non semplice, ma che per gli anni a venire continuerà a rivestire un’importanza strategica per gli interessi USA nello scacchiere mediterraneo.
Gli stessi concetti sono stati ripresi dai Governi europei senza alcuna distinzione. In questo senso il riconoscimento dello Stato di Palestina all’ONU votato anche dalla maggioranza dei paesi europei, compresa l’Italia, può essere letto come il tentativo di arginare un alleato utile ma scomodo qual è quello israeliano, da sempre poco incline a rispettare i vincoli delle alleanze.
Probabilmente, in una situazione segnata dal riequilibrio dei poteri nel Mediterraneo e dall’offensiva contro la Siria e l’Iran, il ridimensionamento politico di Israele da un lato suona come un richiamo a rimanere nell’ambito delle strategie e delle decisioni condivise e dall’altro è un’apertura nei confronti del mondo arabo egemonizzato dalle forze islamiche filooccidentali.
Questo non toglie nessun merito alla battaglia diplomatica vinta all’ONU dai palestinesi, che nel corso di questo difficile anno, in diverse occasioni, hanno messo in difficoltà Israele. E’ stato così per la lotta dei prigionieri politici, per il riconoscimento all’Unesco, per la reazione e la tenuta dimostrata durante i bombardamenti a Gaza, ed è così per la quotidiana ed eroica resistenza dei contadini, degli studenti, dei lavoratori pendolari, dei palestinesi che vivono in Israele, delle donne di Palestina che ogni giorno affrontano il peso dell’occupazione razzista israeliana.
La Palestina, come pure le rivendicazioni sociali, democratiche e di classe evocate dalle piazze di Tunisi e del Cairo, è stata espulsa dall’agenda delle leadership islamiche, o meglio ricondotta nell’ambito della più ampia partita per l’affermazione dei nuovi assetti di potere e del compromesso raggiunto tra Doha, Riad, Washington, Ankara e Bruxelles.
Gli attuali rapporti di forza tra le classi a livello internazionale, con l’assenza di un reale contraltare alle forze imperialiste, lasciano a queste un ampio margine di manovra, rendendo ancora più difficile l’azione dei movimenti di liberazione nazionale, compreso quello palestinese.
Così lo status quo della Palestina, divisa tra Gaza e Cisgiordania, entrambe sotto tutela politica, rappresenta la condizione migliore per Israele. La decisione del Governo israeliano di costruire nuove colonie mette in mora le trattative di pace e rende ancora più impraticabile l’opzione “due popoli due Stati”.
E’ chiaro che in assenza di un ampio processo di emancipazione dei popoli e di un forte fronte anti imperialista, c’è il rischio che la questione palestinese sia ridotta a questione umanitaria. La Palestina è pienamente coinvolta nel disegno liberista e coloniale del Grande Medio Oriente, disegno che vede l’imperialismo aggredire il Fronte della Resistenza rappresentato da Siria, Iran e Hezbollah e forze della resistenza palestinese. In questo senso, la solidarietà di carattere umanitario, per quanto meritoria, risulta addirittura arretrata come strumento politico.
E’ la normalizzazione del progetto “Grande Medio Oriente” che mira a rendere più forti Israele, gli USA, l’UE e le petromonarchie, mettendo in una condizione di oggettiva debolezza i palestinesi e le forze laiche, progressiste e di classe dell’intera regione. La nostra posizione contro l’aggressione alla Siria, all’Iran e alla Libia ha quindi poco a che fare con un sostegno a Gheddafi, ad Assad o ad Ahmadinejad, ed è con questo spirito che abbiamo sottoscritto, insieme con altre forze, l’appello “Giù le mani dalla Siria”.
Il 2012 è stato per il Forum Palestina un anno particolare, difficile; ma, pur nell’asprezza della battaglia politica, possiamo dirci soddisfatti del contributo che abbiamo portato al movimento di liberazione palestinese e alla lotta antimperialista.
Oltre alle iniziative e alle campagne promosse, il sito del Forum Palestina si è confermato, per numero di visite, un punto di riferimento importante, superando i 220.000 contatti, con la felice scoperta di avere dei visitatori anche nella lontana Cina.
Questo è merito dei compagni che quotidianamente aggiornano il sito, che ne curano gli editoriali e i contatti con le associazioni nazionali e internazionali. Prova ne sia il fatto che, durante lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, i contatti con le associazioni di sostegno palestinesi, come Addameer, hanno giocato un ruolo fondamentale nella campagna prodotta in Italia. Siamo parte di quel movimento che in Italia lavora per la solidarietà internazionalista con la Palestina, al cui interno portiamo le nostre specifiche posizioni.
Il Forum Palestina continua a essere un intellettuale collettivo: per questo torniamo a chiedere ai compagni di farci pervenire i loro contributi attraverso articoli, notizie e filmati. Come sempre daremo spazio alle iniziative promosse nelle diverse città italiane.
Il 2012 è stato l’anno del sostegno alla lotta dei prigionieri palestinesi, ma anche l’anno delle manifestazioni contro i bombardamenti a Gaza, di Estelle, delle molte iniziative della campagna BDS e della denuncia contro la complicità bipartisan del Governo italiano con l’occupante sionista, sfociata nella campagna di boicottaggio contro le vergognose dichiarazioni di Monti.
In occasione di questo nostro bilancio, non possiamo non citare i contributi inviati da numerosi attivisti, compagni, strutture politiche, e il lavoro svolto dai giornalisti e dai siti che si occupano di Palestina, da cui attingiamo notizie e articoli che arricchiscono il ventaglio delle posizioni e dei punti di vista, e che pubblichiamo sul sito anche quando le opinioni espresse non coincidono esattamente con le nostre. Sottolineiamo l’impegno di quei cronisti coerenti e testardi che dimostrano indipendenza anche nei momenti più difficili, mettendo insieme il mestiere di giornalisti e la coscienza politica dei militanti.
In conclusione, ci sentiamo di rivolgere un saluto speciale ai prigionieri politici palestinesi, ai rivoluzionari che si battono per tenere aperto un punto di vista internazionalista e di classe, e che animano in tutto il mondo quel fronte ampio di uomini e donne che non si rassegnano al dominio imperialista.
Quest’anno saremo di nuovo a fianco del movimento di liberazione palestinese e della sua punta più avanzata: i prigionieri politici palestinesi.
Pace terrà e libertà per il popolo palestinese.
Forum Palestina
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ornella discanno
Cari amici
847 palestinesi hanno firmato la petizione: è la prima volta che da quel mondo ci si rivolge così in tanti a una organizzazione occidentale per avere giustizia. Sarebbe un disastro se la loro fiducia e speranza venisse miseramente delusa. Se, ancora una volta, una “istituzione” chiudesse occhi e orecchie al loro grido di aiuto.
Decine, centinaia! di palestinesi sono nelle carceri israeliane condannati non da un tribunale terzo e equo, ma dal sistema giudiziario che lo stesso potere nemico che li opprime e occupa ha instaurato per loro. Svariati di loro versano in condizioni di salute estreme. In questo contesto assume un valore di simbolo per tutti la figura di Samer Isawi, terrorista dei peggiori per Israele, che tuttavia ha accettato di derubricarlo come tale quando ha acconsentito, scavalcando i tribunali ad hoc, a venire a patti direttamente con lui e di trasformare i 26 anni di condanna in un prolungamento di 8 mesi della sua detenzione.
Una vittoria enorme! Ma sopravviverà Issawi a questi 8 mesi, ovviamente intesi da Israele come punizione sostitutiva da impartirgli? Issawi non ha solo fatto uno sciopero della fame estremo – centinaia di giorni! dall’agosto all’aprile! – ma ha riempito di contenuti politici questo sciopero. Si è dimostrato un leader. E in questo sta il suo doppio significato simbolico: mettere in gioco la sua sopravvivenza, dare della sua vita stessa un significato politico.
Voi potete aiutare sollevando questo tema direttamente e coinvolgendovi sedi e personalità di grande prestigio.
Non lasciamo cadere nel nulla l’appello degli 847 palestinesi!
un gruppo di attivisti
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