La Storia
Il primo ed unico Piano Regolatore Generale approvato dal Consiglio Comunale di Roma risale ai tempi della Giunta Nathan, mentre l’ultimo, quello del 1962, è stato adottato dal Commissario Prefettizio. Quattro decenni, in cui la città è cresciuta a macchia d’olio ed a dismisura, dove la speculazione edilizia e l’abusivismo hanno spadroneggiato, dando il senso più di una megalopoli che di una metropoli ordinata urbanisticamente e vivibile socialmente. A suo tempo a tutto ciò si opposero comunisti dello spessore, solo per citarne alcuni, di Natoli, Piero Della Seta, Petroselli. Nell’ultima pagina del libro “borgate di Roma”(1960) Della Seta scrisse:”Dal cuore della città, della civiltà urbana, non partono soltanto le spinte soffocatrici delle classi dominanti, ma anche la spinta rivoluzionaria verso l’organizzazione classista e verso la lotta politica e culturale” e nell’introduzione scritta da Enzo Mollica si testimoniava che gli autori “Erano spinti dall’esigenza di ricercare, nel tessuto profondo delle borgate, le componenti del moto rinnovatore che incessantemente le scuote e che le fa pesare come una perenne minaccia sulla Roma torbida e viziosa degli speculatori e del sottogoverno”.
Il 18 Giugno 2002 la Giunta del Comune di Roma ha adottato la proposta di delibera del Nuovo Piano Regolatore Generale: un lavoro durato quasi sette anni, elaborato da una nutrita Commissione Tecnica.
Dopo quaranta anni la Capitale si accinge ad adottare un nuovo strumento urbanistico composto da regole e sistemi, anche se sostanzialmente solo nella prima metà di Luglio si è cominciato a leggere e vedere le tavole. Se è vero che la partecipazione popolare aveva un tempo strettissimo è altrettanto vero che l’espressione dei pareri da parte dei Municipi (entro il 30 Settembre 2002) non ha permesso di poter dispiegare il lavoro d’informazione e di proposta da parte dei cittadini romani. Il ruolo delle Associazioni, dei Comitati e dei Partiti che stanno fuori del coro è quello di denunciare l’operazione di raschiamento del fondo del barile cementificatorio, facendo accaparrare alla rendita edilizia ciò che rimane del povero territorio metropolitano dai precedenti grandi sacchi di Roma, dal Sindaco Rebecchini in poi.
La partecipazione
Il percorso che porta a costruire forme di partecipazione e di lotta per migliorare e cambiare il Piano parte da Maggio, cioè da quando viene illustrata alla Giunta Veltroni una memoria per la Giunta Comunale che si dava l’obiettivo di una democrazia possibile, rappresentata dal mettere in atto pratiche e dispositivi capaci di assicurare la partecipazione. Con l’apporto decisivo dell’Ufficio del “Delegato alla partecipazione democratica del Comune di Roma” questo percorso prosegue articolato e dispiegato nell’intera città.
La proposta accoglie quanto lo Statuto del Comune di Roma stabilisce all’art.11:” Il Consiglio Comunale può promuovere forme di consultazione degli appartenenti alla comunità cittadina, anche con il ricorso a tecnologie informatiche e telematiche, prima dell’adozione di provvedimenti di propria competenza, ovvero, quando lo proponga la Giunta Comunale, anche su provvedimenti di competenza della Giunta medesima, purché tali provvedimenti siano volti a conseguire un’immediata e diretta tutela degli interessi della collettività”.
Il 22 Luglio, in un incontro con l’Assessore all’urbanistica Morassut, veniva preso l’impegno di stanziare 300 mila euro per il processo di partecipazione al PRG; tale stanziamento veniva vincolato ad un programma dettagliato di iniziative da intraprendere per favorire il meccanismo partecipativo. Contestualmente a ciò la delegazione dell’Università La Sapienza di Roma presentava una proposta di Convenzione con il Comune finalizzata alla realizzazione di attività di sostegno alla dinamica partecipativa, in particolare: l’attivazione di uno staff di architetti e urbanisti; la formazione di un gruppo di camminatori (veicolatori di documentazioni e informazioni tra i territori e la Rete del PRG partecipato) provenienti dal tessuto associativo della città; l’attivazione di un staff giuridico legale capace di “trasformare” i pareri dei cittadini in osservazioni da presentare al Consiglio Comunale. Il momento più alto del livello organizzativo di tutto ciò è stato la costituzione della Rete per il Piano Regolatore Partecipato (RPRGP), alla quale io ho aderito con convinzione sino dall’atto della sua costituzione, e la costruzione del piano territoriale della consultazione. Nonostante la presentazione del progetto non si è potuto realizzare sino ad ora nè la ratifica, né tanto meno l’istituzionalizzazione di tale accordo, perché la Giunta Comunale sta tentando di farlo decollare solamente dopo che il Consiglio Comunale avrà adottato il Piano stesso, vanificando così l’efficacia della partecipazione; ma nonostante tutto ciò il processo non si è assolutamente interrotto. Al tentativo comunale di trasformare la partecipazione in una operazione di pura immagine si è risposto con una reale e diffusa operazione partecipativa, che ha visto in parallelo anche una discussione ampia e trasparante – vero antidoto alle operazioni truffaldine – indipendente e alternativa ai poteri forti.
Tra vecchio e nuovo PRG
Il vecchio PRG del ’62, che con le sue 83 varianti si porta dietro un residuo di 41 milioni di mc che completa la previsione di stanze per 5 milioni di abitanti, è compreso nel totale dei 70 milioni di metri cubi della proposta del nuovo PRG. La superficie urbanizzata di Roma passerà da 45.000 a 51.000 ettari, mentre il sistema ambientale scenderà da 84.000 a 78.000 ettari.
Oggi, con il censimento del 2001, i residenti si attestano a circa 2,4 milioni, per ricercare lo stesso numero di residenti bisogna scendere al decennio 1961(2,2 milioni)-1971(2,8 milioni). A questo punto si arriva ad una logica conclusione: a Roma ci sono migliaia di appartamenti vuoti e/o molte centinaia di essi hanno subito negli anni cambiamenti di destinazione d’uso! Se a tutto questo aggiungiamo i 23 milioni di cubature abusive condonate facciamo presto a capire che gli speculatori grandi e piccoli si sono ingrassati sulle spalle dei cittadini romani. Com’è possibile mantenere le vecchie previsioni edificatorie, quando accanto a queste sono sorte borgate abusive oggi perimetrate e sanate, che hanno fatto saltare ogni compatibilità urbanistica?
Ma all’appello mancano gli ulteriori 29 milioni di mc di nuova programmazione ed incredibilmente il totale di mc destinati ad uso residenziale si attesta a 24 milioni; quindi paradossalmente la manovra del Piano è concepita per ulteriori 356.128 nuovi residenti.
La filosofia del nuovo PRG è diversa da quella del piano presentato e ritirato con la Giunta Rutelli dall’Assessore Cecchini perché tempera il “pianificar facendo”, che ne era lo spirito ispiratore e nasconde le sue storture. Il tutto è dimostrato dal modo di edificare nelle centralità metropolitane e urbane, nelle aree di riserva a trasformazione vincolata, nei programmi integrati d’intervento e nei progetti urbani. Gravità ulteriore riveste quel 12% di mc a cui viene data una “destinazione flessibile”, ossia il suo uso finale viene rinviato al momento della pianificazione attuativa.
La questione delle aree agricole
La cosa peggiore è l’ennesima acquisizione di aree agricole a fini edificatori. In particolare le aree di riserva a trasformazione vincolata sono il più grave attentato a ciò che rimare dell’agro romano e vanno cancellate radicalmente. Circa 700 ettari subiranno la colata di 6 milioni di mc. Mi corre l’obbligo di ricordare che la proprietà di queste aree è dei soliti speculatori edilizi: Caltagirone e soci. Con tale decisione si continua a perseguire la solita logica, cioè quella di aiutare e favorire la rendita fondiaria a danno della qualità della vita.
L’ennesimo ricorso alle aree agricole quale “riserva edilizia della Città” conferma che la riduzione delle cubature deve partire anche e soprattutto dal residuo di Piano, perché oltre alle compensazioni provenienti dal Piano delle Certezze si porta dietro milioni di mc ormai inutili e soffocanti per la metropoli. La scomparsa della tutela delle aree agricole diventa la testa di ponte delle future zone di sviluppo edilizio. La Giunta ha addirittura accelerato varando un bando per permettere nuove richieste di edificazione delle aree agricole. In controtendenza è opportuno evidenziare che nella Regione Lazio si è determinata nel settore agricolo una crescita dell’occupazione, in un solo anno, di 21 mila unità, grazie anche alla crescita del settore biologico, ma si è certificato un decremento delle aziende agricole dell’area romana.
Devono essere escluse dalle aree di espansione del Piano, oltre alle aree agricole, le aree che minacciano i parchi e le riserve naturali; quelle che pregiudicano le preesistenze archeologiche; le emergenze indicate dalla carta dell’Agro e dai vincoli di natura Paesistica; le aree di valore ambientale e paesistico.
I colpi di mano
Negli ultimi due anni, nonostante si stesse lavorando alla stesura del nuovo PRG, si è aperta in Consiglio Comunale una corsa all’approvazione di delibere di concessioni edilizie, che di fatto lo hanno anticipato e ci hanno fatto trovare di fronte al fatto compiuto, quando invece era più naturale che ricadessero nei nuovi elaborati. Alcuni esempi sono i famigerati art.11, decine di concessioni edilizie da 50mila o 100mila mc ciascuna, oltre alla famosa edificazione dell’area di Torpagnotta e le aree per l’Edilizia Residenziale Pubblica (Agosto 2002).
Altra situazione non controllabile è quella dell’applicazione del nuovo strumento approvato dal governo Berlusconi della SuperDIA che amplia a tutto campo la possibilità di costruire o demolire senza avere l’obbligo della concessione edilizia, ma solo quello d’informare il Comune che s’intende aprire un cantiere (Dichiarazione d’Inizio Attività). Sono possibili solo 30 giorni per opporsi altrimenti vale il “silenzio-assenso”. Il fatto che siano decadute le norme di salvaguardia del Piano delle Certezze risulta gravissimo e ancor più grave che esse non siano state inserite d’ufficio all’interno delle norme di attuazione del nuovo PRG così come la salvaguardia delle aree agricole non ancora compromesse. L’estremo ridimensionamento dello strumento dell’esproprio a favore della perequazione e della compensazione avvantaggia platealmente il privato e relega il pubblico a mera funzione quasi di spettatore. In particolare il Piano è intriso di logiche nelle quali il privato di fatto controlla e gestisce la pianificazione. Una prima richiesta è quella di ristabilire il diritto di poter espropriare le aree necessarie ad ottenere il verde pubblico ed i servizi di standard in tutto il territorio comunale e non solo nella città storica. L’articolo 18 della legge 47/85 consente l’acquisizione delle aree lottizzate abusivamente fino a oggi (circa 314 ettari); questo strumento va utilizzato immediatamente.
L’ultimo abusivismo: i toponimi
Un’ulteriore critica riguarda i cosiddetti Toponimi. Se si guardano le proposte di perimetrazione, oltre a capire la gravità e l’ampiezza dell’ultimo abusivismo, non si capisce perché determinare una premialità d’ulteriore cubature per lo 0,40mc/mq. Si continua a subire il principio secondo il quale si deve dare diritto oggi di edificazione su quei lotti che, non avendo costruito abusivamente ieri, si ritengono penalizzati oggi. Su questo argomento esprimo la mia più ferma contrarietà all’esagerata ampiezza di molte perimetrazioni e credo, inoltre, che le uniche cubature permesse possano essere solamente quelle per eventuali servizi.
Le centralità
Le centralità devono essere intese come luogo d’identità della comunità insediata, che ne stabilirà uso e dimensioni attraverso apposite procedure partecipative ed in coerenza con quanto previsto dal Piano Regolatore Sociale. Le nuove realizzazioni nelle centralità dovranno essere compatibili con il tessuto sociale, urbanistico e ambientale esistente. Condizione irrinunciabile è che nello schema di assetto dovrà essere chiaramente esplicitato come ed in che misura le nuove centralità contribuiranno al miglioramento della vita della comunità locale. In nessun caso esse dovranno stravolgere l’equilibrio del tessuto geografico, ambientale e sociale. Le venti centralità metropolitane del nuovo PRG devono essere lette in base alle vere esigenze del territorio; conseguentemente, quelle non compatibili, devono essere cancellate e quelle eccessive ridimensionate.
Recupero e riqualificazione
Come dicevo in precedenza, nell’ultimo decennio, la popolazione romana è diminuita di circa 300.000 unità. I cittadini “scomparsi” da Roma si sono spostati in Provincia per almeno due motivi: il primo per la cattiva qualità della vita (traffico, inquinamento acustico e atmosferico,) ed il secondo per la striminzita offerta di alloggi in affitto e l’alto prezzo della compravendita delle case.
La città di Roma invecchia, cresce il numero delle famiglie mono-nucleo e 2/3 del patrimonio edilizio esistente ha superato i 40 anni.
Per questo il recupero e la riqualificazione del patrimonio pubblico devono essere una delle azioni guida della pianificazione urbanistica. Va elaborata una Carta del patrimonio degradato e va deciso, di conseguenza, se recuperarlo a fini abitativi o di servizi. In primis devono trovare risposta le richieste delle fasce sociali a basso reddito e le popolazioni migranti. L’analisi del Piano manca dallo studio delle cubature e delle aree già interessate da edificazione, ma attualmente non utilizzate e dimesse. Da una ricerca dell’ACER circa tre milioni di mc sono inutilizzati. La ex zona industriale della Tiburtina (circa sei milioni di mc) può essere individuata come area strategica per un piano complessivo di riqualificazione dove eventualmente collocare le compensazioni.
Edificare vicino al ferro case vuote
Ulteriore questione, che è giusta nel principio ma non lo è stata mai in pratica, è che le nuove grosse edificazioni si devono trovare in prossimità di grossi nodi viari e di comunicazione su ferro; in poche parole, invece, si strumentalizza questo tipo di vie di comunicazione per aumentare la cementificazione. Comunque è noto che almeno 12 milioni di metri cubi di attività residenziale e non residenziale sono lontani dal ferro. Inoltre le aree urbane già servite oggi da linee su ferro, sono ugualmente congestionate dal traffico per gli enormi pesi insediativi esistenti e non reggerebbero ulteriori incrementi edilizi.
Sulla carta le nuove stanze e cubature fanno aumentare gli abitanti nella città e quindi nei singoli municipi: in alcune zone di ventimila, in altre di cinquantamila e così via in maniera spropositata. Bene che vada si otterrà per una parte lo spostamento da una zona all’altra della città, per un’altra, che è poi la stragrande maggioranza, assisteremo ad una operazione finanziaria d’investimento speculativo, dal momento che, come ho già detto prima, gli abitanti del comune di Roma si attestano a circa 2,4 milioni.
Gli standard
La questione degli Standard è una questione di primaria importanza. Difatti il calcolo degli standard deve essere effettuato sulla base della popolazione reale a cui devono sommarsi gli standard dovuti alle previsioni dell’eventuale incremento demografico (gli standard non devono essere calcolati sulla base della popolazione teorica). Così come il parametro di 120 mc per abitante insediabile, preso a riferimento dalla proposta di Piano, va rivisto e adeguatamente rapportato alle specifiche condizioni insediative.
La tutela della città storica
La città storica ed il centro storico devono contenere l’obbligatorietà del Piano di Recupero per ogni progetto di demolizione e ricostruzione, anche se riferito ad edifici singoli o di parziale ampliamento. Deve altresì essere estremamente limitato il cambio di destinazione d’uso con il fine di tutelare la residenzialità popolare, le botteghe artigianali e quelle storiche.
La mobilità e l’area metropolitana
Per quanto riguarda la mobilità, tema fortemente sentito da tutti i cittadini, si deve esigere che gli interventi di nuova costruzione e di grande impatto siano conseguenti alla realizzazione della prevista mobilità su ferro. Un punto irrinunciabile è la cancellazione della “dorsale tirrenica” e del collegamento infrastrutturale con la nuova Fiera di Roma, per un evidente e catastrofico impatto ambientale sulle aree protette (riserva statale del litorale e riserva naturale regionale di Decima-Malafede) e sulle aree agricole del settore sud della città. La previsione dell’asse Eur-Viale P.Togliatti indicano una soluzione assolutamente pericolosa per l’impatto su aree di elevato interesse pubblico e di valore ambientale, in netto contrasto con la recente tutela delle suddette aree.
L’alternativa a tutto ciò è che il nuovo PRG sancisca una svolta a favore delle infrastrutture viarie e dei servizi, contro coloro che vogliono continuare a mangiare territorio, nonostante la già precaria situazione di collasso urbanistico, come per esempio nel municipio ottavo (70% d’edificazione abusiva) e per altri versi nel municipio dodicesimo (un’espansione edilizia come da territorio di conquista). Un elemento di sconnessione e di parzialità si evince dalla limitata messa in relazione del nuovo PRG con il Piano Regolatore Sociale, il PROIMO (Programma interventi sulla mobilità) e l’Area Metropolitana. La dimensione metropolitana del Piano è solamente evocata e molte centralità sono contraddittorie se non inutili (per es. Acilia, Tor Vergata, Santa Maria della Pietà) . I 19 Municipi di Roma, vere e proprie città nella città, ed i Comuni della Provincia con la loro forte interrelazione con il Comune di Roma, necessitano di una proposta urbanistica articolata e unitaria connessa alle problematiche ed alle sofferenze della più vasta area provinciale ed in particolare con i comuni della cintura di confine della metropoli romana.
La mobilitazione dei cittadini
Un altro Piano per la città di Roma è possibile se guarda alla rivalutazione delle sue qualità, della sua storia, della sua memoria e delle sue vocazioni, dei migranti, dei rom, dei bambini esclusi dalla città, delle tecnologie, degli spazi d’incontro e di relazione tra gli abitanti, e se tutto questo insieme entra di diritto nell’elaborazione urbanistica.
Dare la parola ai cittadini, sentire le loro idee, i loro sentimenti, la loro creatività vorrebbe dire capovolgere il senso della questione: se la partecipazione democratica è il fine, il Piano è il mezzo per rendere concrete le idee.
Due azioni di protesta visibili, organizzate del movimento della Rete per il PRGP, sono state le occupazioni dell’Ufficio dell’assessore Morassut per richiedere la proroga dei termini e sottolinearne l’importanza ai fini della partecipazione popolare.
La Rete per il PRGP e le associazioni ambientaliste (Italia Nostra, VAS, Lega Ambiente, WWF) hanno segnato una tappa importante del percorso di cambiamento del Piano. Il giorno 14 Novembre 2002 si è tenuta la prima storica manifestazione-corteo, alla quale hanno aderito il PRC e i Verdi che, partita dal Colosseo, si è conclusa in Campidoglio con una assemblea nella quale hanno preso la parola decine di cittadini rappresentanti di altrettanti Comitati e Associazioni territoriali. E’ stato prodotto un documento consegnato ai capi gruppo del consiglio comunale contenente i punti irrinunciabili e anche quattro richieste preliminari fondamentali: a) non procedere alla approvazione e adozione di altri strumenti urbanistici attuativi e grandi progetti urbani, nelle more di adozione del NPRG; b) spostare il termine per votare il NPRG nel Consiglio Comunale previsto entro il 31 Dicembre 2002, per il tempo necessario ad assicurare la massima partecipazione (almeno ulteriori quattro mesi); c) approvare contestualmente al Piano un regolamento della partecipazione che garantisca a tutta la popolazione, il diritto di partecipare ai processi decisionali, progettuali e attuativi, fino alla verifica degli esiti; d) modificare il testo della relazione di Piano, mettendo al primo posto gli obiettivi di miglioramento della qualità della vita dei cittadini, piuttosto che perseguire una presupposta necessità di competere con altre capitali.
Insieme al forte clamore determinato dall’azione della Rete abbiamo trovato altri compagni di strada nell’appello “Nascite in calo, cemento inutile” di cinquanta intellettuali tra cui , per brevità, citiamo solamente Vittorio Emiliani, Maurizio Calvesi, Giuseppe Cederna, Francesca Sancitale, Lucio Villari, Roman Vlad, Antonio Girelli.
Il Partito
Il Partito della Rifondazione Comunista di Roma è stato l’attore principale del ritiro del PRG proposto nella passata Giunta Rutelli dall’Assessore Cecchini. Nella giornata conclusiva del Congresso romano di quest’anno veniva presentato un ordine del giorno firmato da circa cinquanta delegati, nel quale si chiedeva una radicale modifica della proposta del nuovo PRG, pena il nostro voto contrario; tale o.d.g. veniva votato all’unanimità. Contemporaneamente, a livello comunale, il percorso del Piano veniva discusso da un gruppo ristretto a cui partecipavano rappresentanti di tutte le forze politiche di maggioranza del Comune di Roma.
Tutto ciò si concretizza, nel mese di giugno, con l’adozione da parte della Giunta del nuovo PRG con il consenso del gruppo ristretto e della maggioranza della commissione urbanistica del nostro Partito.
Dal momento in cui la documentazione del nuovo piano regolatore veniva resa pubblica, la Rete per il nuovo PRG Partecipato, di cui fanno parte anche tanti nostri compagni e compagne, ha iniziato quell’importante lavoro di diffusione dell’informazione a livello parcellizzato nel territorio metropolitano. Questo ha creato le condizioni per un forte consenso popolare al dissenso verso il PRG, capace di far rivedere e modificare la posizione iniziale del Partito, che, essendo molto sensibile alle istanze che vengono dal basso, ha saputo collocarsi con maggiore determinazione sui “giusti binari” contro il cemento, per la difesa dell’agro romano, per il recupero e per i servizi sociali.
Nel CPF del 16 ottobre è stato approvato all’unanimità l’o.d.g. di adesione alla manifestazione del 14 novembre; conseguentemente si è arrivati al convegno alla Sala Congressi di Via Cavour nel quale si sanciva la contrarietà a questo nuovo PRG nel caso in cui non si determinassero le condizioni per una sua modifica radicale.
Conclusioni
Il ruolo e la mobilitazione di tanti Comitati e Associazioni della periferia dei quartieri di Roma e il sostegno dato dai circoli di Rifondazione al conflitto locale sono stati ancora una volta il volano rivoluzionario della partecipazione, della lotta e del cambiamento. Questa credo sia la strada giusta affinché l’idea di un altro PRG per una città futura policentrica, democratica e solidale, sia possibile.
In sintesi gli oltre settanta milioni di metri cubi, sia quantitativamente che qualitativamente, sono un ulteriore macigno che graverà per decenni sulla nostra città ed in particolare sulle condizioni di vita dei cittadini romani. Roma non merita questo Piano!
Con rinnovata energia e con ottimismo continuiamo a lavorare e ad agire conseguentemente, affinché questo nuovo Piano Regolatore Generale sia veramente partecipato, chiaramente certo e radicalmente compatibile con l’equilibrio socio-ambientale.
l’articolo è tratto dalla dalla rivista “Autonomie”, 2008
p.s. Per leggere e localizzare in maniera dettagliata dove adesso caleranno su Roma i 23 mln di mc delle 64 delibere di Alemanno:
http://www.democraziakmzero.org/2012/12/10/a-roma-piove-cemento/
* Consiglio Metropolitano
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