Gli interrogativi più urgenti investono se ci troviamo ad assistere proprio al preludio di una guerra più ampia in Medio Oriente e quale potrebbe essere la tempistica per una tale esplosione di violenza.
Per ora, sembra che un confronto militare più esteso non sia imminente, nonostante le indicazioni che la Siria ha puntato suoi missili contro Israele, (dopo aver annunciato che gli attacchi costituiscono una “dichiarazione di guerra”), e che Israele ha posizionato intercettori e chiuso al traffico civile lo spazio aereo nel suo nord.
Domenica sera, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rafforzato gli avvertimenti e poi è partito per la Cina, dopo diverse ore di consultazioni con funzionari governativi.
Tuttavia, nonostante tutte le speculazioni, poco è stato confermato intorno ai raid aerei, che a quanto pare hanno avuto luogo il venerdì e la domenica mattina.
In realtà, il primo turno di attacchi è stato tenuto segreto per quasi un giorno da tutti i soggetti coinvolti, quando le notizie sono state fatte trapelare ai giornalisti da funzionari statunitensi.
Si è ritenuto che gli attacchi abbiano colpito depositi di missili terra-terra, che anonimi funzionari statunitensi e israeliani citati dai media internazionali hanno sostenuto essere sul punto di venire trasferiti all’organizzazione di attivisti libanesi Hezbollah.
Vi è un certo disaccordo, comunque, se questi missili erano i Fateh-110 di fabbricazione iraniana o gli Scud-D prodotti dalla Siria, o entrambi. Anche altri armamenti, come i missili modernissimi anti-aereo e anti-nave di produzione russa, sono stati indicati come possibili bersagli del raid, e si crede che un simile attacco a gennaio abbia preso di mira batterie antiaeree di SA-17 di fabbricazione russa.
Inoltre, si suppone che Israele abbia testato un nuovo missile aria-terra, lo Spice-2000, [1] e abbia condotto incursioni sopra lo spazio aereo libanese con uso di droni comandati a distanza.
Gli analisti ritengono che questo sia servito ad Israele per proteggere gli aerei da guerra israeliani dalle difese antiaeree siriane, e per inviare un messaggio all’Iran sulle potenzialità belliche israeliane.
Tra le più importanti domande senza risposta vi è quella del rapporto intercorso tra Stati Uniti e Israele in questa operazione.
Una scuola di pensiero sostiene che gli attacchi sono stati un messaggio degli Stati Uniti consegnato per mezzo degli aerei da guerra israeliani al regime del presidente siriano Bashar al-Assad conseguente al presunto uso di armi chimiche contro i ribelli.
Si sostiene che è impossibile colpire direttamente depositi di armi chimiche senza che le stesse rilascino grandi quantità di tossine nell’ambiente, e questo è il motivo per cui gli Israeliani hanno colpito una parte considerevole di missili del regime siriano, ritenuti veicoli principali per lanciare e diffondere gas velenosi.
Per di più, è possibile che, come ha affermato sul quotidiano Ha’aretz l’espertissimo analista israeliano Zvi Bar’el, “la Russia e gli Stati Uniti abbiano un accordo non dichiarato circa le linee rosse per intervenire in Siria: fin tanto che gli Stati Uniti non forniscono armi ai ribelli siriani, la Russia non rende attivo il suo sostegno militare per il regime.” [2]
La non immediata risposta pubblica della Russia agli attacchi suggerisce che, se il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha usato l’aviazione israeliana per bacchettare Assad in modo da evitare un confronto più importante, questa operazione è arrivata a buon fine.
In ogni caso, per motivi complessi, per quanto l’opinione generale mondiale sia che Israele, a differenza degli Stati Uniti, è assolutamente “responsabile della protezione” dei ribelli siriani, siamo in presenza di un caso in cui un attacco israeliano comporterebbe molto meno conseguenze in Medio Oriente di un’aggressione diretta statunitense, e questo sarebbe più consono all’agenda di Obama.
Secondo un recente rapporto del New York Times, il discorso di Obama della “linea rossa” dell’anno scorso era stato un indebito errore grossolano, [3] ed è quindi ipotizzabile che Obama abbia cercato di riparare il danno, e quindi tentato di scoraggiare Assad dall’attraversare qualsiasi limite “rosso”, nel modo meno eclatante possibile.
[N.d.tr.: Il 22 agosto 2012, in un suo discorso Obama aveva dichiarato che per il momento gli Stati Uniti non prevedevano un intervento militare in Siria, ma che “l’uso di armi chimiche cambierebbe” la loro strategia.
“Fino ad ora non ho dato l’ordine di intervenire militarmente, ma se ci accorgeremo dello spiegamento e dell’utilizzo di armi chimiche, questo cambierebbe i miei calcoli”, ha affermato Obama, sottolineando come la questione preoccupa non solo Washington ma anche i suoi più stretti alleati nella regione, in primis Israele.
“Se si passerà questa linea rossa – ha affermato – le conseguenze saranno enormi.”
“Non possiamo sopportare una situazione nella quale armi chimiche o biologiche cadano nelle mani di persone malvagie”, ha aggiunto il presidente Usa, per il quale “noi siamo stati estremamente chiari col regime di Assad, ma anche con altre forze presenti nella regione”.
Per questo, “gli Stati Uniti continueranno a sorvegliare la situazione da vicino”.]
Ci sono molte indicazioni che l’attacco sia stato accuratamente pianificato da molto tempo, ed esistono alcuni indizi che gli Stati Uniti abbiano partecipato attivamente alla pianificazione. Secondo un rapporto della Reuters pubblicato il mese scorso, le scuse in marzo di Israele alla Turchia con la mediazione statunitense erano orientate precisamente verso un tale attacco, dal momento che gli Israeliani e i Turchi conducevano insieme esercitazioni a rischio calcolato di conflitto aereo sulla Siria e Libano in recenti occasioni. [4]
Anche la tempistica di una esercitazione a “sorpresa” israeliana nel nord, con inizio alcuni giorni prima degli attacchi, suggerisce che i raid erano stati accuratamente predisposti, come indicato di recente da una dichiarazione pubblica di Hezbollah sul pericolo di una guerra nelle prossime sei settimane.
Data la lunga serie di colloqui fra funzionari statunitensi ed israeliani che da ultimo hanno visitato le rispettive capitali, e il sostegno espresso dalla Casa Bianca per il diritto di Israele “a prendere le misure ritenute necessarie per proteggere il suo popolo”, è difficile credere che Obama sia rimasto sorpreso dall’operazione.
D’altra parte, però, alcuni analisti ritengono che gli attacchi israeliani metteranno pressione sulla Casa Bianca per coinvolgere direttamente gli Stati Uniti in Siria, e …contro la volontà di Obama.
Questo è, in buona sostanza, ciò che domenica il senatore statunitense John McCain ha dichiarato a “Fox News”.
E questo, il caporedattore della rivista Foreign Policy Magazine, Blake Hounshell, ha messo in evidenza eloquentemente in un’analisi pubblicata sabato:
“I sostenitori dell’intervento si saranno chiesti: se le difese aeree siriane sono così resistenti, come i funzionari degli USA vanno affermando, perché Israele è stato in grado di violarle tanto facilmente? Naturalmente, una “no-fly zone” richiede uno sforzo molto più difficoltoso e rischioso di un raid sporadico, ma ci si può aspettare che questa distinzione importante venga cancellata.” [5]
È intuitivo che Israele vorrebbe attirare gli Stati Uniti in un conflitto contro la Siria, se non altro perché questo distoglierebbe l’attenzione dell’opinione pubblica statunitense dall’Iran – e, come l’influente società di intelligence Stratfor ha sostenuto all’inizio di quest’anno, questo potrebbe anche servire agli interessi iraniani, in una qualche misura. [6]
Alla vigilia delle elezioni presidenziali iraniane del mese prossimo, il comportamento violento di Israele contro il più importante alleato arabo di Teheran potrebbe influenzare la politica interna iraniana e costringere i leader iraniani ad essere ancora meno accomodanti nei prossimi cicli di negoziati sulle questioni del nucleare.
Si discute se questo irrigidimento potrebbe essere in parte motivato da considerazioni geo-strategiche: se il regime degli ayatollah perdesse la Siria, sentirebbe un bisogno ancora più forte di un deterrente nucleare per proteggersi dall’essere rovesciato da un intervento straniero.
Se i negoziati sul nucleare con l’Iran, che dovrebbero avvenire dopo le elezioni, fallissero, la maggior parte degli analisti ritiene che gli Stati Uniti sarebbero costretti ad attaccare la Repubblica Islamica.
Mentre è difficile sostenere che Israele tenti di attirare gli Stati Uniti in una guerra contro l’Iran tramite i suoi ripetuti attacchi contro la Siria, la possibilità che ciò accada deve sicuramente aver attraversato le menti dei responsabili politici israeliani che hanno autorizzato le operazioni.
Esistono argomenti credibili, anche se finora sostenuti solo da prove indiziarie, per cui la storia raccontata da Israeliani e Statunitensi circa l’imminente trasferimento di missili a Hezbollah possa stare in piedi. Tra questi argomenti vi è che Assad è in debito con Hezbollah per un contingente consistente di forze inviato a combattere dalla sua parte, e che, inviandoli in Libano, Assad vorrebbe proteggere i suoi missili da eventuali attacchi statunitensi futuri.
L’autorevole analista militare israeliano Ron Ben-Yishai ha fornito alcuni ulteriori rilevanti dettagli in una recente analisi. [7] La logica di questi argomenti ancora tiene, il che significa, cosa in sé preoccupante, che i tentativi di trasferimenti e attacchi aerei mirati sono probabilmente destinati a continuare nel futuro.
Ma soprattutto, per quanto riguarda questi raid, si presentano molte più incertezze che certezze – non meno importante, questi attacchi aiuteranno o danneggeranno la situazione dei ribelli siriani? – e la loro massima segretezza rende ancora più difficile separare la realtà dalla finzione.
Mentre né Assad né Israele sembrano avere un qualche interesse per lo scatenamento di una guerra più allargata, in questa fase, le sorprese sono sempre possibili, e probabilmente ci vorrà un po’ di tempo per valutare il preciso impatto di ciò che sta accadendo.
Note:
1. Uno sguardo sull’arsenale di Israele, Hezbollah, Ynet, 5 maggio 2013.
2. Il dilemma di Assad: addossare ai ribelli l’attacco israeliano o mettere in atto ritorsioni e rischiare una guerra in campo aperto, Ha’aretz, 5 maggio 2013.
3. La linea improvvisata di Obama sulla questione siriana pone gli Stati Uniti in imbarazzo, New York Times, 4 maggio 2013.
4. Israele spera che la collaborazione con la Turchia disinneschi il rischio di “fuoco amico” sulla Siria, Reuters, 17 aprile 2013.
5. Quel momento imbarazzante quando … Israele lancia attacchi aerei contro la Siria, Foreign Policy, 4 maggio 2013.
6. Il dialogo USA-Iran nel secondo mandato di Obama, Stratfor, 5 febbraio 2013.
7. Attacco contro la Siria – Un messaggio all’Iran, Ynet, 4 maggio 2013.
2013 Asia Times Online
di Victor Kotsev , giornalista ed analista politico
Asia Times on-line, Medio Oriente
http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-060513.html
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
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