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La posta in gioco nella guerra alla Siria

Un dibattito a Roma il prossimo 3 ottobre cercherà di fare il punto sulla situazione in Siria e i pericoli di guerra nel Mediterraneo dove, per la prima volta in venti anni di aggressioni e invasioni, gli Stati Uniti e i loro alleati sono stati costretti a fermare i motori dei bombardieri già pronti a partire per la Siria. Un fatto epocale che la dice lunga sulla debolezza di una superpotenza che all’egemonia perduta cerca di sostituire sempre più la propria supremazia militare, scontrandosi però con resistenze crescenti e trasversali. L’opinione pubblica, interna e internazionale, non crede più alla propaganda sulle guerre umanitarie e a bugie malamente fabbricate per giustificare avventure militari basate sui più biechi interessi imperialisti. Soprattutto, sul suo cammino, per la prima volta dalla fine della ‘guerra fredda’, Washington non solo ha trovato lo scarso entusiasmo della maggior parte dei paesi aderenti all’Unione Europea, ma anche la strenua contrarietà di Mosca e Pechino. Che stavolta si è manifestata in maniera assai più consistente che in passato. Anche perché è chiaro a tutti che il vero obiettivo di Washington è l’Iran, e in prospettiva l’isolamento di Mosca.

Per ora l’accordo sulla consegna delle armi chimiche siriane raggiunto con Damasco grazie al ruolo attivo del governo russo sembra aver scongiurato l’ennesima aggressione militare. Ma sentiamo ogni giorno ripetere che i piani di attacco sono pronti e che Parigi e Washington li metteranno in atto appena, dicono, le condizioni imposte alla Siria saranno violate.

Può un paese imperialista sempre più indebolito dalla competizione globale accettare di rinunciare alla supremazia in Medio Oriente, accelerando il proprio declino? Nuove potenze regionali attivissime nel sostegno ai ribelli jihadisti come la Turchia o l’Arabia Saudita rinunceranno a sfruttare la guerra civile in corso a Damasco per allungare le proprie mani sul paese e accrescere la propria egemonia nell’area?

Tentare di rispondere a queste domande vuol dire partire dall’analisi concreta della realtà di un mondo scosso dalla competizione tra blocchi e rifuggire quindi una chiave di lettura, sempre più diffusa a sinistra, che continua a non tenere sufficientemente conto dei cambiamenti epocali prodotti da un’accelerazione della storia che, in altre epoche, ha portato a disastrosi conflitti globali.

Abbiamo bisogno oggi di basare le mobilitazioni contro la guerra su un’analisi corretta e sofisticata dei rapporti di forza e del contesto internazionale che permetta a tutti di evitare di prendere posizioni basate su considerazioni mitologiche – quelle sui ribelli ‘rivoluzionari’ o su un presunto carattere socialista della Siria, per intenderci – invece che sulla realtà dei fatti.

Che ci parla di alcuni paesi forti che in nome del controllo di risorse sempre più limitate e dell’isolamento degli avversari non hanno esitato in questi anni a distruggere gli apparati statali dei paesi ‘canaglia’, a tribalizzare la mappa del Medio Oriente, a scatenare conflitti devastanti che dureranno per decenni. In definitiva a disgregare interi paesi che non erano in grado di controllare, ora combattendo ora sostenendo le forze dell’integralismo islamista, comprese quelle che si richiamano ad Al Qaeda.

Ma in questo contesto, se Obama o Hollande decidessero di far partire l’attacco contro la Siria potremmo trovarci davanti non alla consueta grave ma circoscritta operazione bellica che abbiamo conosciuto in passato in Iraq o in Libia, in Jugoslavia o in Afghanistan. Ma ad una miccia che potrebbe provocare l’esplosione di tutto il Medio Oriente e del Mediterraneo, se non di un conflitto su larga scala con il coinvolgimento di altre grandi potenze stufe di subire gli assalti di Stati Uniti e Francia.

Se ne discuterà a Roma giovedì 3 ottobre, (ore 17, presso la sala di Via Galilei 53) con Giorgio Cremaschi (Ross@), Marco Santopadre (Rete dei Comunisti), Giulietto Chiesa, Mostafa El Ayoubi (caporedattore della rivista “Confronti”) e il collettivo Militant insieme alla Rete dei Comunisti promotori dell’iniziativa.

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