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L’occidente, i jihadisti “buoni” e quelli “cattivi”

L’articolo che riproduciamo è di Alberto Negri, de Il Sole 24 Ore, e una volta tanto le cose vengono chiamate con il loro nome, e si fanno “nomi e cognomi” senza utilizzare categorie generiche. Un vero e proprio miracolo per la stampa mainstream (anche se Negri ci ha abituato a interventi simili, degni di nota).

L’Occidente e l’Islam dopo Charlie Hebdo, tutti i nodi vengono al pettine

Alberto Negri – Il Sole 24 Ore del 15 gennaio 2014

Quella di Parigi è una storia sbagliata, una storia di periferia con tre giovani che hanno ucciso e si sono fatti uccidere con un biglietto di andata e ritorno dalle banlieue ai campi di addestramento mediorientali della Jihad. Sui loro cadaveri oggi si disputano le rivendicazioni del massacro. Al Qaeda e lo Stato islamico appaiono come litigiosi azionisti di una multinazionale del terrore: sembra volerla spuntare Ayaman al Zawahiri, il successore di Osama bin Laden, concorrente e rivale del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Ma la trama della vicenda c’è già e forse anche il finale, che potrà essere sorprendente ma forse non più di tanto.

Storia di un’ipocrisia dell’Occidente e dei suoi alleati musulmani 
Questa è la storia di un’ipocrisia francese e occidentale con la complicità degli stessi alleati musulmani che ora fanno finta di risentirsi per quanto accaduto e imputano all’islamofobia europea di essere la responsabile degli attacchi, come fa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sostenitore al pari di Hollande e di Sarkozy, di Obama e di Cameron, della guerra in Siria, dei bombardamenti in Libia, di un gioco pericoloso sfuggito di mano, esattamente come sfuggì di mano negli anni ’80 l’Afghanistan dei mujaheddin, lanciati a combattere l’Impero Rosso e poi diventati talebani e qaedisti. Ma qualcuno si ricorda ancora della passeggiata a Bengasi e Tripoli di Sarkozy, Cameron ed Erdogan, per raccogliere gli applausi di un trionfo effimero, salvo poi voltare le spalle al disastro che avevano combinato?

Quando il governo turco richiamò i jihadisti da inviare in Siria 
Proprio Erdogan fece arrivare in Turchia migliaia di combattenti libici da inviare in Siria, accompagnati da tunisini, algerini, marocchini, ex reduci afghani, ceceni e yemeniti: l’internazionale dei jihadisti doveva servire ad annientare il regime alauita di Damasco. 
Sarebbero bastati pochi mesi, raccontavano, per far fuori l’allampanato figlio di Hafez, alleato da 40 anni di Mosca e Teheran: ma le storie sbagliate, come si vede, nascono anche da calcoli sbagliati.

Perchè c’è una jihad “buona”, che serve i nostri interessi, e una “cattiva” che fa di testa sua e obbedisce soltanto in parte ai suoi sponsor arabi, il cui obiettivo è tenere lontano gli islamisti da casa loro e mantenere in piedi monarchie assolute, anti-democratiche, gestite in genere da una sola famiglia ed élite ristrette che si fanno scudo dell’Islam con l’applicazione rigida delle leggi coraniche, punendo sistematicamente ogni parvenza di opposizione e di libera espressione del pensiero.

La jihad buona, i finanziamenti puliti ad Al Qaeda 
Questa jihad “buona” ha imbastito una guerra per procura in Siria – nata dai devastanti errori del regime di Assad – con l’illusione di manovrare gruppi come Jabat al Nusra, il Fronte islamico, sponsorizzati da Al Qaeda, dal Qatar, dai sauditi, dai turchi. Qualche esempio. In settembre Jabat al Nusra sequestra sul Golan siriano, ai confini con Israele, una quarantina di caschi blu delle Fiji: nessuno ci fa caso ma il Qatar paga 40 milioni di dollari di riscatto, per liberarli. Un bel modo, veloce e pulito, per finanziare Al Qaeda alla luce del sole e con qualche ringraziamento dell’Onu.

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