Oggi in Italia si parla troppo poco del conflitto ucraino. Così poco che sembra che il problema sia stato risolto da solo. Comunque, per fortuna esistono ancora giornalisti che non si fidano solo delle fonti “ufficiali” e preferiscono vedere la realtà con gli occhi propri. Uno di loro è il famoso vignettista italiano Vauro Senesi che è appena rientrato da Sloviansk ed ha raccontato a “La Voce della Russia” del suo ultimo viaggio in Ucraina.
E’ stata la Sua iniziativa di fare questo viaggio cosi impegnativo e anche pericoloso?
“E’ stata una mia iniziativa ed è stata accolta benissimo dal Fatto Quotidiano, il giornale per cui lavoro. La cosa che mia ha spinto è stato l’incredibile silenzio su questa guerra, su questo dramma che si sta svolgendo nel cure dell’Europa. Parlo naturalmente dell’incredibile silenzio occidentale”.
Perché, a Suo avviso, la stampa europea e molto spesso anche quella italiana raccontano la guerra in Ucraina a senso unico, evitando di mettere alla luce le storie vere della gente comune? Che fine ha fatto la lodata liberta d’espressione? E’ possibile in qualche modo riempire questo “vacuo” informativo ?
“La risposta che posso dare è che io ci ho provato. E’ evidente che una buona parte dei media italiani e occidentali sono al servizio dei grossi poteri finanziari internazionali, occidentali e americani. Per cui le poche informazioni che vengono passate non sono nemmeno informazioni, sono pura propaganda. Io non ho trovato niente di meglio che andare sia dalla parte dell’Ucraina sia dalla pare dei filorussi per cercare di raccontare quello che vedevo. Non è facile, però spero che questo viaggio sia stato utile ad aprire gli occhi almeno ad una parte dell’opinione pubblica italiana”.
Che cosa L’ha colpito di più a Sloviansk? Potrebbe raccontarci qualche testimonianza?
“Da Sloviansk a Pervomaisk e Lugansk – quello che appare immediatamente e tragicamente evidente è che da parte di Kiev c’è un disegno pianificato di pulizia etnica nel Donbass. Altrimenti non si spiegherebbe perché sono colpite in modo sistematico tutte le infrastrutture civili di questa aria – gli ospedali, le scuole, le centrali elettriche e idriche e le fabbriche. Resulta evidente che l’obiettivo di Kiev è di svolgere una pulizia entica – cacciare le popolazioni russofone del Donbass, creando per loro delle condizioni impossibili di vita”.
Ha avuto la possibilità di vedere in quali condizioni vivono gli sfollati?
“No perché da Rostov sono praticamente subito entrato nella Novorossya a Lugansk. Ho avuto però purtroppo la possibilità di vedere in che condizioni di vita vivono le popolazioni che sono rimaste nel Donbass: senza acqua, senza elettricità, con scarsità di cibo. Sono rimasto molto colpito, almeno nell’area di Lugansk, dalla grande solidarietà che l’armata kozaka del Don offre alla popolazione. Oltre alla difesa si occupa di distribuire acqua e cibo”.
E’ riuscito invece a pescare qualche informazione riguardo la tragica scomparsa del fotografo italiano Andrea Rocchelli? Dopo la sua morte a maggio dell’anno scorso non si parla più dell’ indagine…
“Ero un grande amico di Rocchelli e questa domanda mi colpisce molto. Due anni fa a Kiev avevamo fatto insieme con Andrea Rocchelli un servizio sulla situazione dei bambini che ancora nascono con le conseguenze (leucemie e tumori) del disastro di Chernobyl e della disastrosa situazione sanitaria rispetto questo problema. Quindi, con Andrea c’era un legame molto forte. Io sono stato nel punto in cui Andy è stato ucciso. Era stata colpita prima l’automobile di Andy e del suo amico russo di cui purtroppo non ricordo il nome e me ne scuso. Il punto esatto in cui sono stati colpiti era una fabbrica italiana fra l’altro vicino al policlinico di Slovyansk. Dalle testimonianze che ho potuto raccogliere è emerso che la collina da cui sono stati sparati colpi di mortaio in quel momento era in mano alle forze ucraine”.
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