La strategia negoziale della leadership di Syriza ha fallito. Ma non è ancora troppo tardi per evitare una sconfitta totale
Cominciamo con un fatto che dovrebbe essere indiscutibile: venerdì il governo greco è stato trascinato in un accordo con l’Eurogruppo che equivale ad una precipitosa ritirata.
Il regime del memorandum sarà prorogato, l’accordo sul prestito e la totalità del debito sono riconosciuti, la “supervisione”, altra parola per indicare il governo della troika, sarà continuata sotto altro nome, e vi sono ora ben poche possibilità che il programma di Syriza possa essere attuato.
Un fallimento così totale non è, e non può essere, una questione di fortuna, o il risultato di una tattica mal concepita. Esso rappresenta la sconfitta di una linea politica ben precisa che ha ispirato la strategia del governo.
L’Accordo di Venerdì
Nello spirito di un mandato popolare per il rovesciamento del regime del memorandum e la liberazione dal debito, la parte greca è entrata nel negoziato respingendo la proroga dell’attuale “programma”, concordato con il governo Samaras, e rifiutando la tranche del prestito di 7 miliardi di €, ad eccezione del profitto di 1,9 miliardi di € sui titoli greci, a cui aveva diritto.
Non acconsentendo a nessuna procedura di controllo o di valutazione, il governo greco ha richiesto un “programma ponte” di transizione, della durata di quattro mesi, senza misure di austerità, per garantire la liquidità e attuare almeno una parte del suo programma, mantenendo il bilancio in pareggio. Ha inoltre chiesto che i creditori riconoscessero la non sostenibilità del debito e la necessità di un immediato nuovo ciclo di negoziati in tutta Europa.
Tuttavia l’accordo finale equivale ad un rifiuto di tutte queste richieste, una per una. Inoltre, comporta un altro insieme di misure volte a legare le mani del governo e a contrastare qualsiasi misura che possa comportare una rottura con le politiche del memorandum.
Nella dichiarazione dell’Eurogruppo di venerdì, il programma esistente viene definito come un “accordo”, ma questo non cambia assolutamente nulla di essenziale. La “proroga” che la parte greca ora richiede (secondo il “Master Financial Assistance Facility Agreement”) deve essere eseguita “nel quadro del regime esistente” e mira alla “conclusione positiva della revisione, sulla base delle condizioni previste dall’attuale accordo”.
E’ anche chiaramente affermato che:
“solo l’approvazione della conclusione della revisione sulla proroga dell’accordo da parte delle istituzioni … consentirà qualsiasi erogazione della tranche in sospeso dell’attuale programma EFSF e il trasferimento dei profitti del SMP 2014 [questi sono i 1,9 miliardi di rendimenti sui titoli greci ai quale la Grecia ha diritto]. Entrambi sono ancora soggetti all’approvazione da parte dell’Eurogruppo.”
Così la Grecia riceverà la tranche che aveva inizialmente rifiutato, ma a condizione di attenersi agli impegni dei suoi predecessori.
Quello a cui ci troviamo davanti allora è una riaffermazione del tipico atteggiamento tedesco di imporre – come condizione per qualsiasi accordo e per ogni futura erogazione dei finanziamenti – il completamento della procedura di “valutazione” da parte del meccanismo tripartito (che sia chiamato “Troika” o “istituzioni “) per la supervisione di ogni accordo passato e futuro.
Inoltre, per rendere chiaro che l’uso del termine “istituzioni” al posto del termine “troika” è una questione di pura facciata, il testo ribadisce in maniera specifica la composizione tripartita del meccanismo di controllo, sottolineando che le “istituzioni” includono anche la BCE ( “in questo contesto ricordiamo l’indipendenza della Banca Centrale Europea“) e il Fondo Monetario Internazionale (“abbiamo anche concordato sul fatto che il FMI avrebbe continuato a svolgere il suo ruolo“).
Per quanto riguarda il debito, il testo afferma che “le autorità greche ribadiscono il loro impegno inequivocabile a onorare i loro obblighi finanziari nei confronti di tutti i loro creditori in maniera piena e tempestiva.” In altre parole dimentichiamoci qualsiasi discussione di “tagli”, “riduzione del debito,” per non parlare della “cancellazione della maggior parte del debito “, come previsto nell’impegno programmatico di Syriza.
Qualsiasi futura “riduzione del debito” è possibile solo sulla base di quanto proposto nella decisione dell’Eurogruppo del novembre 2012, vale a dire una riduzione dei tassi di interesse e una rinegoziazione delle scadenze, che, come è ben noto fa poca differenza sull’onere del servizio del debito, perché influisce solo sul pagamento degli interessi, che è già molto basso.
Ma questo non è tutto, perché per il rimborso del debito la parte greca ora accetta pienamente lo stesso quadro delle decisioni dell’Eurogruppo del novembre 2012, al tempo del governo tripartito di Antonis Samaras. Esso comprendeva i seguenti impegni: 4,5% di avanzo primario dal 2016, privatizzazioni accelerate, e la creazione di un conto speciale per il servizio del debito – al quale il settore pubblico greco deve trasferire tutti i proventi delle privatizzazioni, gli avanzi primari, e il 30 % di ogni eventuale ulteriore eccedenza.
E’ anche per questa ragione che il testo di venerdì cita non solo gli avanzi di bilancio, ma anche i “proventi dei finanziamenti.” In ogni caso, il cuore del memorandum-rapina, vale a dire la realizzazione di avanzi primari scandalosi e la svendita del patrimonio pubblico allo scopo esclusivo di riempire le tasche dei finanziatori, rimane intatto. L’unico accenno a un allentamento della pressione è una vaga assicurazione che “le istituzioni, per l’obiettivo di avanzo primario del 2015, terranno conto delle circostanze economiche.“
Ma non era ancora sufficiente che gli europei respingessero tutte le richieste greche. Dovevano, in ogni modo, legare il governo di Syriza mani e piedi per dimostrare in pratica che, qualunque risultato e profilo politico di governo possa venir fuori dalle elezioni, nel quadro europeo esistente nessuna inversione di austerità è realmente fattibile. Come ha dichiarato il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, “non ci può essere alcuna scelta democratica contro i trattati europei.”
E la disposizione in tal senso si svolgerà in due modi. In primo luogo, come indicato nel testo: “Le autorità greche si impegnano ad astenersi da qualsiasi cancellazione delle misure e modifiche unilaterali delle politiche e delle riforme strutturali che potrebbero avere un impatto negativo sugli obiettivi di bilancio, la ripresa economica e la stabilità finanziaria, così come valutato dalle istituzioni.“
Quindi nessuno smantellamento del regime del memorandum (“cancellazione delle misure”), e nessuna “modifica unilaterale”, e in effetti non solo per quanto riguarda le misure che comportano un costo di bilancio (come ad esempio l’abolizione delle tasse, l’aumento della soglia di esenzione fiscale, l’aumento delle pensioni e l’assistenza “umanitaria”), come era stato affermato inizialmente, ma in un senso molto più ampio, includendo tutto ciò che potrebbe avere un “impatto negativo” su “la ripresa economica e la stabilità finanziaria”, sempre secondo il giudizio decisivo delle “istituzioni”.
Inutile dire che questo è rilevante non solo per la reintroduzione di un salario minimo e il ristabilimento della legislazione sul lavoro che è stata smantellata in questi ultimi anni, ma anche per le modifiche del sistema bancario che potrebbero rafforzare il controllo pubblico (non una parola, naturalmente , per i “beni di proprietà pubblica”, come indicato nella dichiarazione di fondazione di Syriza).
Inoltre, l’accordo prevede che:
“i fondi finora disponibili nell’ Hellenic Financial Stability Fund (HFSF) devono essere detenuti dall’ European Financial Stability Facility (EFSF), esenti da diritti da parte di terzi per tutta la durata della proroga MFFA. I fondi continuano ad essere disponibili per la durata della proroga MFFA e possono essere utilizzati solo per la ricapitalizzazione e la risoluzione bancaria. Essi saranno erogati solo su richiesta da parte della BCE/SSM.”
Questa clausola mostra come non sia sfuggita all’attenzione degli europei che il programma di Salonicco di Syriza afferma che “il capitale per il settore pubblico e un organismo intermediario e il capitale per la costituzione di banche a destinazione specifica, per un importo complessivo dell’ordine di € 3 miliardi, verrà fornito mediante il cosiddetto ‘cuscinetto’ per le banche del HFSF di circa 11 miliardi di €.“
In altre parole, addio a qualsiasi idea di utilizzare i fondi HFSF per obiettivi orientati alla crescita. Qualunque illusione ancora esistesse in merito alla possibilità di utilizzare i fondi europei per scopi diversi dai rigidi obiettivi per i quali erano stati stanziati – e ancor più che questi fondi possano essere posti sotto la giurisdizione del governo greco – è stata così completamente fugata.
La Sconfitta della strategia “Euro Positivo”
Da parte greca si può forse credere di aver raggiunto qualcosa che vada oltre la notevole creatività verbale del testo? Teoricamente sì, nella misura in cui non ci sono più riferimenti espliciti alle misure di austerità, e le “modifiche strutturali” di cui si parla (riforme amministrative e un giro di vite sull’evasione fiscale) non appartengono a questa categoria, modifiche che naturalmente hanno bisogno di un controllo incrociato con l’elenco delle misure che sono previste venir fuori nei prossimi giorni.
Ma dato che l’obiettivo degli scandalosi avanzi di bilancio è stato mantenuto, insieme con la totalità dei meccanismi di vigilanza e valutazione della troika, qualsiasi idea di allentamento dell’austerità appare priva di contatto con la realtà. Le nuove misure, e, naturalmente, la stabilizzazione di quanto “acquisito” finora col memorandum, sono una strada a senso unico, nella misura in cui il regime attuale prevale, viene rinominato e perpetuato.
È chiaro da quanto precede che nel corso dei “negoziati”, con il revolver della BCE puntato alla testa e il conseguente panico bancario, le posizioni greche hanno subito un collasso quasi totale. Questo aiuta a spiegare le innovazioni verbali (“istituzioni” invece di “troika”, “attuale accordo” invece di “regime attuale”, “Master Financial Assistance Facility Agreement” invece di “Memorandum, ecc). Simbolica consolazione o ulteriore inganno, a seconda di come le si guardi.
La domanda che emerge, ovviamente, è come siamo arrivati a questa sconcertante situazione. Come è possibile che, solo poche settimane dopo il risultato storico del 25 gennaio, abbiamo questo contrordine del mandato popolare per il rovesciamento del memorandum?
La risposta è semplice: ciò che è crollato nelle ultime due settimane è una specifica scelta strategica che sosteneva l’intera linea di SYRIZA, soprattutto dopo il 2012: la strategia che escludeva “mosse unilaterali”, come la sospensione dei pagamenti e, ancora di più, l’uscita dall’euro, e sosteneva che:
§ sulla questione del debito, una soluzione favorevole per il debitore può essere trovata con il concorso del creditore, sul modello degli accordi di Londra del 1953 per i debiti della Germania – ignorando, naturalmente, il fatto che le ragioni per cui gli alleati si comportarono generosamente verso la Germania non sono in alcun modo applicabili agli europei di oggi nei confronti del debito greco, e più in generale del debito pubblico degli ultra-indebitati paesi membri dell’UE di oggi.”
§ il rovesciamento del memorandum, l’espulsione della troika, e un diverso modello di politica economica (in altre parole l’attuazione del programma di Salonicco) potrebbe essere attuato a prescindere dall’esito dei negoziati sul debito e, soprattutto, senza attivare alcuna vera reazione da parte degli europei, al di sopra e al di là delle minacce iniziali, che sono da respingere come un bluff. Infatti, la metà dei finanziamenti per il programma di Salonicco era previsto provenire da risorse europee. In altre parole, non solo gli europei non avrebbero dovuto reagire, ma avrebbero anche generosamente finanziato delle politiche opposte a quelle che loro stessi avevano imposto negli ultimi cinque anni.
§ infine, lo scenario “euro positivo” presupponeva l’esistenza di alleati di una certa rilevanza a livello di governi e / o istituzioni (il riferimento qui non è al sostegno da parte di movimenti sociali o altre forze di sinistra). I governi di Francia e Italia, i socialdemocratici tedeschi, e, infine, in una vera e propria frenesia di immaginazione, lo stesso Mario Draghi, sono stati di volta in volta invocati come potenziali alleati.
Tutto questo castello in aria è crollato nel giro di pochi giorni. Il 4 febbraio la BCE ha annunciato la sospensione della principale fonte di liquidità delle banche greche. Il deflusso di capitali, che aveva già avuto inizio, ha rapidamente acquistato dimensioni incontrollabili, mentre le autorità greche, temendo che una tale reazione avrebbe segnato l’inizio del Grexit, non hanno adottato la minima misura “unilaterale” (come ad esempio l’imposizione di controlli sui capitali).
Le parole “cancellazione” del debito e persino “riduzione” sono state respinte nel modo più categorico possibile dagli istituti di credito, che si sono infuriati al solo udirle (con la conseguenza che sono state quasi immediatamente ritirate dalla circolazione). Invece del loro rovesciamento, è venuto fuori che l’unico elemento “non negoziabile” era quello di mantenere il memorandum e la supervisione dalla troika. Non un solo paese ha sostenuto le posizioni greche, al di là di alcune cortesie diplomatiche da parte di chi voleva che il governo greco riuscisse almeno a salvare minimamente la faccia.
Temendo il Grexit più dei suoi interlocutori, completamente impreparata di fronte alla contingenza assolutamente prevedibile di una destabilizzazione bancaria (arma classica del sistema internazionale da quasi un secolo di fronte ai governi di sinistra), la parte greca è sostanzialmente rimasta senza strumenti di contrattazione di sorta. Si è trovata con le spalle al muro e senza scelte valide a sua disposizione. La sconfitta di venerdì era inevitabile e segna la fine della strategia di “una soluzione positiva all’interno l’euro”, o per essere più precisi “una soluzione positiva all’interno dell’euro a tutti i costi.”
Come Evitare una Sconfitta Totale
Raramente una strategia è stata confutata in modo così inequivocabile e così rapidamente. Manolis Glezos di Syriza ha quindi giustamente parlato di “illusione” e, mostrandosi all’altezza della situazione, ha chiesto scusa al popolo per aver contribuito a coltivarla. Proprio per lo stesso motivo, ma al contrario, e con l’aiuto di alcuni media locali, il governo ha cercato di rappresentare questo risultato devastante come un “successo negoziale,” confermando che “l’Europa è un’arena di negoziati”, che si sta “lasciando dietro le spalle la Troika e il memorandum” e altre affermazioni simili.
Timorosa di fare ciò che Glezos ha osato fare – vale a dire riconoscere il fallimento della sua intera strategia – la leadership del governo sta tentando un insabbiamento”, o “scambiando la carne per il pesce”, per citare un detto popolare greco.
Ma presentare una sconfitta come un successo è forse peggio della sconfitta stessa. Da una parte perché si trasforma il discorso del governo in politichese, in una serie di luoghi comuni e banalità che hanno semplicemente lo scopo di legittimare a posteriori qualsiasi decisione, trasformando il nero in bianco; e dall’altro perché prepara il terreno, ineluttabilmente, per le prossime, più definitive, sconfitte, perché confonde i criteri attraverso i quali il successo può essere distinto da una sconfitta.
Per fare il punto ricorrendo a un precedente storico ben noto a sinistra, se il trattato di Brest-Litovsk, col quale la Russia sovietica stabilì la pace con la Germania, accettando enormi perdite territoriali, fosse stata proclamata come una “vittoria”, non c’è dubbio che la Rivoluzione d’Ottobre sarebbe stata sconfitta.
Se, dunque, vogliamo scongiurare una seconda, e questa volta decisiva, sconfitta – che metterebbe fine all’esperimento della sinistra greca, con conseguenze incalcolabili per la società e per la sinistra all’interno e all’esterno del paese – dobbiamo affrontare la realtà e parlare la lingua dell’onestà. Il dibattito sulla strategia deve essere ripreso, senza tabù e, sulla base delle risoluzioni congressuali di Syriza, che da qualche tempo si sono trasformate in innocue icone.
Se Syriza ha ancora ragione di esistere come soggetto politico, come forza per l’elaborazione di una politica di emancipazione, per dare un contributo alla lotta delle classi subordinate, deve compiere lo sforzo di avviare un’analisi approfondita della situazione attuale e trovare il modo per superarla.
“La verità è rivoluzionaria”, per citare le parole di un famoso leader che sapeva di cosa stava parlando. E solo la verità è rivoluzionaria, ora possiamo aggiungere, con l’esperienza storica che abbiamo acquisito da allora.
* Stathis Kouvelakis è membro della direzione nazionale di Syriza e docente di filosofia al Kings College di Londra
(da http://vocidallestero.it)
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