Menu

Parla Askapena: “Trionfi la tenerezza dei popoli”

Unai di Askapena, ci racconta l’attacco contro l’internazionalismo basco. E perché li vorrebbero in galera.

Il movimento internazionalista basco è sotto attacco della repressione poliziesca. Cinque anni dopo la retata contro la piattaforma Askapena, l’Audiencia Nacional –il tribunale politico spagnolo- ha chiesto la dissoluzione della storica organizzazione internazionalista, di due imprese che si dedicano al commercio giusto, e di Askapeña: un’associazione culturale legata alla piattaforma che fomenta il modello popolare delle tradizionali feste di Bilbao. Inoltre, i giudici chiedono sei anni di carcere per cinque militanti già detenuti nella retata del 2010. Tra questi, c’è Unai Vázquez, giovane di Barakaldo -un paesino a due passi da Bilbao e con una forte tradizione operaia- che ci ha rilasciato un’appassionata intervista, cui una piccola parte è già stata pubblicata su “Il Manifesto”. Dopo il comunicato di solidarietà che abbiamo fatto arrivare ai compagni e alle compagne basche, pubblichiamo l’intervista completa. Ripercorriamo la storia di Askapena e di un processo politico che non è ancora finito, contestualizzando gli ultimi fatti nel delicato momento politico che vive questo popolo d’indigeni radicato nel cuore montuoso del Vecchio Continente.

Un internazionalismo rivoluzionario, lungo più di un quarto di secolo.

“Quando nacque il nostro movimento nel lontano 1987, già era vivace la solidarietà internazionalista basca. Dal Nicaragua, al Salvador, al Guatemala, le insurrezioni rivoluzionarie in Centroamerica ricevettero sin dall’inizio il nostro appoggio. Ma solo successivamente, a partire dei Comitati di Solidarietà Sandinisti, le differenti visioni dell’internazionalismo diedero vita a organizzazioni di diversa natura. Da una parte, il dibattito di quegli anni sancì la nascita di varie ONG che istituzionalizzarono una concezione assistenzialista della solidarietà. Dall’altra, nacquero organizzazioni come Askapena, che invece vedono la solidarietà come atto d’unione, una costruzione comune del cammino verso l’emancipazione -popolo a popolo, lotta a lotta-. La visione di Askapena si basa sulla convinzione che un passo in avanti di qualsiasi popolo sottomesso nel cammino per la sua liberazione nazionale e/o sociale, rappresenta una vittoria contro l’oppressione anche qui in Euskal Herria. Non vediamo l’internazionalismo come noi europei che andiamo a insegnare il cammino, o a dare ad altri popoli qualcosa che non hanno. Per noi la solidarietà è un ponte tra processi e lotte distinte, ma unite da un orizzonte strategico comune. Quindi, sin dagli anni ’80, costruiamo relazioni di solidarietà e mutua tenerezza, d’andata e ritorno, basate su un’idea orizzontale dell’internazionalismo. Costruiamo sentieri a doppio senso, per rompere l’isolamento politico e mediatico che l’imperialismo vorrebbe imporre ai movimenti rivoluzionari.

Da ventotto anni, ininterrottamente, brigatisti e brigatiste di Askapena vanno in tutto il mondo. Dall’America Latina, al Sahara, alla Palestina, ma anche qui in Europa, andiamo in Italia, per esempio. Infatti, non c’è bisogno di oltrepassare chissà quali confini per costruire relazioni d’amicizia popolare; proprio qui dietro, in Catalogna o in Andalusia, portiamo la nostra solidarietà ai popoli rinchiusi nella nostra stessa gabbia: lo Stato spagnolo. Il compito delle brigate è conoscere la lotta di un popolo, e far conoscere lì quella del nostro, tessendo così una ragnatela solidale oltre i confini nazionali che rafforza la lotta contro il nemico comune: il sistema capitalista, neoliberista e patriarcale. Lotta comune che si esplicita, per esempio, nelle battaglie contro le multinazionali, che opprimono -spesso dietro lo stesso nome- popoli diversi. O che stuprano e saccheggiano terre lontane ma amiche, come l’America Latina, con firme create proprio qui, in terre basche.

Nella realizzazione del lavoro internazionalista, le brigate di solidarietà sono sicuramente uno dei nostri strumenti più potenti, ma non l’unico. Non bisogna dimenticare il lavoro di tessitura che svolgiamo internamente al movimento popolare basco. Con seminari, incontri, attività, spazi di condivisione e dibattito per fomentare e consolidare relazioni internazionaliste; campagne di solidarietà con processi rivoluzionari, o di denuncia contro l’imperialismo.

Prendiamo l’esempio delle battaglie contro il Fracking. Occorre rendere visibile ai movimenti sociali che non si lotta contro il Fracking solo qui in Euskal Herria, ma che ci sono diverse lotte in giro per il mondo. Diverse esperienze che possono e devono alimentarsi a vicenda per raggiungere la vittoria. Anche per questo, Askapena nasce come un’organizzazione settoriale, nel senso che punta specificamente sull’internazionalismo come strumento rivoluzionario. Questo non vuol dire isolarci dal nostro contesto politico. Anzi, il nostro è un internazionalismo complice e integrato con il movimento indipendentista e socialista.”

La criminalizzazione della solidarietà internazionalista.

Proprio per questo, come il movimento popolare basco in generale, anche Askapena soffre storicamente la diffamazione mediatica mirata a legittimare l’operato della repressione. Evidentemente, le nostre relazioni con settori rivoluzionari, sebbene siano principalmente uno strumento di conoscenza e scambio mutuo d’esperienze, hanno dovuto affrontare la sistematica intossicazione portata avanti dai mezzi d’informazione affini al potere economico. Nel 2007, per esempio, il giornale franchista ABC fece una potentissima campagna di criminalizzazione delle nostre relazioni con la Coordinadora Simón Bolívar in Venezuela. Scrissero che l’obiettivo delle nostre brigate era “trovare nuove rifugi in regimi amici per i pistoleros” di ETA. Va poi detto che, anteriormente alla retata del settembre 2010, s’intensificò la campagna contro il nostro lavoro internazionalista. Circa un anno e mezzo prima, infatti, le oligarchie mediatiche (anche quelle teoricamente di sinistra, come il País) cominciarono a incrementare la produzione di notizie false per criminalizzare la nostra organizzazione.

Intanto, ETA dichiarava la sospensione dell’attività armata e –anche se non era ancora la tregua definitiva- già si percepiva l’aprirsi di una nuova tappa di lotta per l’organizzazione armata. Ma proprio a partire da quel momento, il movimento popolare soffrì una serie di retate che colpirono, prima di noi, il movimento giovanile e l’organizzazione Ekin. Era lo Stato che rifiutava la tregua. Ma soprattutto un ulteriore segnale che i colpi sferrati dallo Stato non erano mossi da una “logica antiterrorista” –come dichiaravano-, ma da una logica mirata a reprimere le rivendicazioni sociali delle molteplici organizzazioni del popolo basco. Proprio quando veniva a mancare la “scusa” del terrorismo, si smontava la retorica dello Stato, secondo cui senza l’attività armata tutti i cammini erano possibili e fattibili. La brutale repressione verso il movimento basco non cesso, anzi s’intensificò.

Per quanto riguarda Askapena, a me ed altri sette militanti ci portarono in carcere la notte del 27 settembre 2010. Uscimmo solamente alcuni mesi dopo su cauzione e con l’obbligo di firma giornaliera. Fortunatamente non ci torturano. Dico fortunatamente perché eravamo più o meno quindici prigionieri politici baschi in quella prigione, a Sud di Madrid, e io ero l’unico a non aver subito torture. Mi sentivo quasi male, come privilegiato, vedendo le conseguenze psicologiche e fisiche che soffrivano gli altri compagni. Perché qui nei Paesi Baschi non essere torturato -specialmente in quei cinque giorni di “incomunicazione” che permette la legge spagnola- è diventata l’eccezione e non la regola. Comunque, non sfuggimmo alle minacce, e quando devi affrontare cinque giorni senza possibilità di comunicazione, sono difficili da affrontare psicologicamente.”

Colpire l’internazionalismo per colpire la sinistra indipendentista.

“Ora, quasi cinque anni dopo la retata, sono arrivate le richieste del Tribunale. I giudici difendono la tesi inventata a suo tempo da Baltasar Garzón, per cui ETA non è solamente un’organizzazione che persegue l’autodeterminazione del popolo basco con l’attività armata. Ma un’organizzazione con un apparato politico, sociale, e culturale; di conseguenza, tutte le organizzazioni che difendono un’ideologia socialista e indipendentista sarebbero parte integrante di ETA. La propaganda politica che appoggiò la retata quattro anni fa, per esempio, dipinse Askapena come il braccio internazionale dell’organizzazione armata. Per questo, vogliono mandare in carcere a me e altri quattro militanti, vogliono la dissoluzione del movimento internazionalista, dell’associazione Askapeña con cui partecipiamo alle feste popolari di Bilbao, e la chiusura di due cooperative di commercio giusto.

Ma tutte le relazioni che c’imputano con ETA sono in realtà una scusa. Gli serve giustificare l’attacco contro la nostra solidarietà rivoluzionaria, non assistenzialista, e complice con il processo per il socialismo e l’indipendenza qui nei Paesi Baschi. L’obiettivo dello Stato è quello di annientare un tassello importante del movimento popolare basco, il nostro lavoro internazionalista. E per colpire la sinistra indipendentista, torna una strategia che sembrava più o meno parte del passato, quella delle “illegalizzazioni”, con una logia ancora più aggressiva. Infatti, non chiedono la dissoluzione solo di un’organizzazione politica, ma anche di un’associazione “festiva” e di due cooperative.

La strategia è chiara e va più in là della congiuntura attuale che vive lo Stato Spagnolo. Ovviamente, non sfugge che il riscatto delle “illegalizzazioni” arriva proprio ora che il Partito Popolare, come il Partito Socialista Spagnolo, traballa e in vista delle vicine elezioni statali e nelle comunità autonome- non vuole perdere la massa di voti dell’estrema destra, di cui si accaparra il consenso con la repressione qui in Euskal Herria. Ma la finalità dell’attacco contro Askapena disgraziatamente va più in là della tattica elettorale. E’ la difesa strutturale di un sistema di potere che vuole intimidire e annientare qualsiasi pensiero e percorso dissidente, basco o non. Vogliono azzittire centinaia e centinaia di brigatisti e brigatiste, colpire la nostra idea d’internazionalismo per isolare le rivendicazioni sociali e nazionali della sinistra indipendentista.

Un attacco di un impero in decadenza contro qualsiasi persona organizzata politicamente per costruire una società alternativa. A cui risponderemo con una campagna di solidarietà con tutto l’internazionalismo basco, e continuando con la nostra militanza collettiva, oggi più che mai necessaria. Non sarà certo la repressione dell’imperialismo spagnolo, con le sue minacce di illegalizzazione, a sancire la dissoluzione di Askapena. Scompariremo solo quando l’internazionalismo sarà interiorizzato da tutti settori popolari in lotta: dai sindacati, ai partiti, ai movimenti studenteschi. Quando arriverà questo momento, sì che scompariremo, perché la causa internazionalista non avrà bisogno di un’organizzazione settoriale e specifica: tutto il movimento popolare già l’avrà fatta sua. Ma questo giorno non è ancora arrivato. Fino ad allora, continueremo a lottare per costruire una Euskal Herria internazionalista, giorno dopo giorno, come negli ultimi ventotto anni. Perché “Contro la violenza dei potenti, trionfi la tenerezza dei popoli”.

da http://www.noisaremotutto.org

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *