La notte tra il 21 ed il 22 di luglio del 2001, a Genova, nella scuola Diaz-Pertini, durante i giorni delle manifestazioni contro il G8, una moltitudine di esseri umani venne aggredita ancora nel sonno.
Molti furono picchiati e seviziati con grossi manganelli detti “tonfa”, mentre ancora erano imbozzolati nei propri sacchi a pelo, calpestati da oltre 346 stivali di uomini in divisa della Polizia italiana di Stato (1), minacciati, insultati, fatti oggetto di gravi sevizie e dolorose lesioni.
La chiamarono perquisizione, cercavano corpi di reato.
Dalle porte della Scuola “Diaz-Pertini” furono invece portati fuori 63 corpi umani, la maggiorparte in barella, negli ospedali di Genova.
A Melanie Jonasch, studentessa di archelogia di 28 anni, frantumarono la scatola cranica, massacrarono di contusioni le spalle e le natiche; al giornalista inglese Mark Covell fratturarono la mano sinistra, otto costole e perforarono il polmone lasciandolo in coma per alcuni giorni, perse ben 19 denti.
Dicannove fu anche il numero delle persone che invece furono portate nella Caserma Bolzaneto ed ebbero sorte forse peggiore: insulti, sevizie, violenze sessuali. Ma questa è un’altra storia, un altro processo delle violenze di stato di Genova 2001.
Per giustificare quella perquisizione trasportarono fittiziamente nella scuola delle bottiglie molotov già in possesso delle forze dell’ordine, addebitandone falsamente il possesso alle vittme dormienti della Diaz, nonchè degli attrezzi e del materiale che presero da un vicino cantiere. Oltre alle violenze la calunnia e la falsità.
La corte italiana che ebbe a trattare e giudicare in primo grado, il Tribunale Penale di Genova, scrisse in sentenza che “Ciò che invece avvenne al di fuori di ogni regola e di ogni previsione normativa ma anche di ogni principio di umanità e di rispetto delle persone è quanto accadde all’interno della Diaz Pertini. […. ] deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati” (2).
Pochi tra i colpevoli subirono per intero le conseguenze penali. Molti dei danni dovettero essere risarciti dal pubblico erario. Alcuni tra i responsabili salvati dalla prescrizione dei reati.
Il capo della Polizia, Arturo Manganelli, nomen omen, quando venne emessa la sentenza di condanna della Corte di Cassazione, il 6 luglio 2012, dichiarò al Secolo XIX, quotidiano genovese, che in linea di premessa era comunque «orgoglioso di essere il capo di donne e uomini che quotidianamente garantiscono la sicurezza e la democrazia di questo paese » e che sentiva di «rispettare il giudicato della magistratura e il principio costituzionale della presunzione d’innocenza dell’imputato, sino a sentenza definitiva: per questo, l’istituzione che ho l’onore di dirigere ha sempre ritenuto fondamentale che venisse salvaguardato a tutti i poliziotti un normale percorso professionale, anche alla luce dei non pochi risultati operativi da loro raggiunti. Ora, di fronte al giudicato penale, è chiaramente il momento delle scuse ai cittadini che hanno subito danni e anche a quelli che, avendo fiducia nell’istituzione-polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato.»(3).
Qualche comportamento errato.
Per le pandette giuridiche, quanto accaduto alla scuola Diaz Pertini di Genova poteva essere qualificato vera e propria tortura. Le corti italiane si spogliarono del problema. La nostra legislazione non ha mai varato, in barba agli accordi internazionali vincolanti per l’Italia, il reato di tortura.
Uno di coloro che subirono le nerbate quella notte di inizio estate, Arnaldo Cestaro, un pensionato veneto manifestante che nel 2001 aveva 62 anni, non si è mai dato per vinto e ha presentato ricorso contro l’Italia alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Questo Tribunale internazionale non ha nulla a che vedere con l’Unione Europea. Esso è stato istituito tra tutti gli Stati Europei che hanno firmato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Una sorta di bill of rights con valenza internazionale in cui sono sanciti i diritti fondamentali della persona umana che gli stati e gli uomini debbono rispettare con la massima sacralità.
All’articolo 3, la Convenzione dei Diritti dell’Uomo sancisce che “Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti” (5). Arnaldo Cestaro ha tratto a giudizio l’Italia affermando che i fatti di Genova violarono la sostanza di questo divieto e che lo Stato non ha sufficientemente operato per reprimere le violazioni a tale principio.
La Corte Europea ha dato ragione a Cestaro.
La pronuncia è importante perchè condanna l’Italia in quanto latitante sul tema della tortura. L’ordinamenteo italiano non ha mai introdotto una specifica fattispecie penale per sanzionare la condotta di tortura. Tutto ciò sebbene l’Ordinamento italiano avrebbe dovuto essere tra i primi a farlo: l’esperienza della Resistenza e la Costituzione del 1948 lo esigevano sicuramente, sia politicamente che giuridicamente.
Importante è capire il perchè, soprattutto alla luce dei rapporti tra autorità, potere e repressione politica che hanno interessato episodi come Genova 2001, ma che continueranno ad interessare negli anni successivi il conflitto sociale: dall’occupazione di unità abitative alle manifestazioni contro le grandi opere.
E’ necessario affrontare alcuni passaggi logici della motivazione per bene comprendere quali sono le contraddizioni messe in luce dall’arresto giurisprudenziale di Strasburgo.
Innanzitutto la Corte mette in luce come il concetto di “tortura” vada differenziato dai semplici “trattamenti inumani e degradanti” parimenti vietati dall’art. 3 della Convenzione sui Diritti dell’Uomo. Per realizzare la tortura occorrono due condizioni: da un lato l’inflizione di sofferenze di gravità indiscussa, dall’altro la volontà deliberata di intimidire, punire, ottenere una confessione, da una persona detenuta per qualunque titolo: “tutti gli atti per i quali un dolore o delle sofferenze sono inflitte ad una persona al fine di ottenere delle ammissioni, al fine di punirlo o di intimidirlo”(6).
La Corte poi passa all’esame del caso concreto, sulla base anche dell considerazioni e dei fatti assunti dalle corti italiane nei tre gradi di giudizio. Osserva che la stessa Corte di Cassazione italiana ha qualificato le violenze della Diaz-pertini come atto punitivo e di rappresaglia evidentemente volto a provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica delle vittime. La curia europea rileva poi che “il ricorrente è stato aggredito con calci ed a colpi di manganello del tipo “tonfa”, considerato potenzialmente letale, che tali violenze gli hanno causato fratture multiple che hanno costretto il Cestaro ad un ricovero per quattro giorni, con una prognosi di più di quaranta giorni e successivi interventi chirurgici. Il ricorrente ha poi riportato un’invalidità permanente del braccio e della gamba destra. Sotto questo profilo, i giudicanti non esitano a ritenere gravi le violenze inflitte: “Le sensazioni di paura ed angoscia suscitate nel ricorrente non possono essere sottovalutate. Si è fatta irruzione in un alloggiamento notturno, il ricorrente è stato svegliato per il brutale rumore dell’irruzione della polizia. Oltre ai colpi subiti, egli si vide addosso una moltitudine di agenti che percuotevano brutalmente gli altri occupanti dell’alloggio notturno senza alcuna apparente ragione” (7).
Il collegio di Strasburgo rileva inoltre “l’assenza di qualsiasi causalità tra la condotta del ricorrente e l’uso della forza da parte degli agenti di polizia”. Quando venne percosso, il Cestaro era stato sbattuto a mani alzate contro un muro, a sottolineare l’impossibilità di una qualsiasi minimamente accennata resistenza da parte sua. Nessun preavviso del’irruzione era stato d’altra parte fornito. (8)
Ancora i giudici rilevano come l’irruzione fu giustificata dalla necessità di procedere ad una perquisizione per identificare supposti appartenenti ai “black-bloc” asseritamente autori di devastazione e saccheggio nella città, nonchè di sequestrare elementi di prova e corpi di reato ed attribuirli alle persone identificate. A tal proposito rileva come “le modalità operative seguite in concreto non sono per niente coerenti col fine dichiarato dalle autorità: la Polizia ha fatto irruzione sfondando i cancelli e le porte di accesso della scuola, ha percosso ripetutamente e senza discriminazione alcuna la totalità degli occupanti ed ha ammucchiato tutti insieme i loro effetti personali senza nemmeno cercare di identificare i rispettivi proprietari”(9).
La Corte non manca poi di rilevare i tentativi di insabbiamento deliberatamente posti in essere dalla stessa Polizia: ha tentato in tutti i modi di cancellare le prove video dell’irruzione, messo di fronte da alcuni giornalisti alle numerose macchie di sangue visibili nell’edificio, il capo dell’ufficio stampa della polizia ha falsamente, deliberatamente ed odiosamente sostenuto che erano dovute alle ferite che i manifestanti avevano riportato nelle asserite loro scorribande di devastazione e violenza del pomeriggio. Le stesse molotov mostrate come rinvenute nella scuola la sera dell’irruzione furono definitivamente giudicate come operazione scellerata di mistificazione e calunnia.
L’irruzione avvenne poi durante la notte tra il 21 ed il 22 aprile, quando le devastazioni ed i saccheggi erano già terminati nel tardo pomeriggio e nulla di simile si era ripetuto all’interno di quella scuola. Anche a supporre che qualche casseur avesse trovato rifugio all’interno della scuola, non risulta che nessuno tra gli occupanti della scuola abbiano posto in essere un qualsiasi comportamento suscettibile di porre qualcuno in pericolo (e tantomeno i poliziotti che fecero irruzione in grande numero e ben armati). Risulta dagli atti che la polizia ebbe tutto il tempo di organizzare l’asserita perquisizione e che non ci fu alcuna necessità di agire d’urgenza per tamponare imprevisti sviluppi. Dunque la “tensione” che il governo italiano ha posto come elemento condizionante le trasgressioni del limite non appare essere dovuta ad altro che ad una deliberata decisione di procedere a degli arresti mediatici con modalità opertive non conformi all’esigenza di proteggere i valori tutelati dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. (10)
In conclusione, le violenze, oltre che gravi, furono deliberatamente volte all’intimidazione, alla colpevolizzazione mediatica di un numero indisciminato di manifestanti che occupavano la scuola, indipendentemente dalla loro reale colpevolezza di qualcosa.
Per questi motivi – come si suol dire nelle sentenze – quella notte alla Diaz entro in campo la tortura somministrata dalla Polizia dello stato italiano, quella tortura vietata e condannata da ogni vigente e vincolante convenzione internazionale.
La Corte rileva inoltre come molti dei reati di lesioni aggravate (per le quali vi furono 19 condanne sia in primo che secondo grado) sono stati dichiarati prescritti in cassazione. I reati inerenti i tentativi di insabbiametno e calunnia vennero prescritti addirittura prima della sentenza di appello.
Ciò è avvenuto anche perchè, in violazione degli impegni internazionali che obbligano lo Stato Italiano a perseguire ogni violazione dell’art. 3 della Convenzione, non si è mai dato corso nel nostro diritto interno all’entrata in vigore di un reato specifico che sanzionasse le condotte di tortura. La Corte non manca di ricordare che il divieto di tortura è un principio fondamentale ed inderogabile neppure nelle più gravi situazioni di necessità dello Stato, come la lotta al terrorismo (11).
Tale ultima mancanza dice e spiega molto.
Spiega molto perchè, nonostante quest’ultima dura condanna che ha posto l’Italia fuori dalla civiltà, nessuno nel governo pare procedere, con la spesso declamata corsia veloce, ad introdurre il reato. La redazione di Contropiano, efficacemente etichettava tale atteggiamento come “passione tutta italica della tortura” (12).
Accanto alle violenze della Diaz e di Bolzaneto, altri episodi mettono in luce il rapporto antidemocratico tra autorità e libertà che è sempre stato tollerato e mantenuto negli apparati statali.
Sembra che in tali apparati istituzionali dello Stato, pur nato dopo la Resistenza, non sia mai stato inoculato il vaccino contro le violenze e le torture patite durante il periodo fascista. Importanti personaggi politici antifascisti morirono dopo orribili torture o dopo inumana detenzione in carcere: dal professor Leone Ginzburg ad Antonio Gramsci. Moltissimi furono torturati.
Eppure, ad uno sguardo obiettivo, gli apparati delle forze dell’ordine e della sicurezza repubblicana sono sempre rimasti al centro di innumerevoli contestazioni per le violenze spesso intervenute nei confronti di dissidenti politici. Come se una parte del nostro Stato, pur nato dall’antifascismo, non sia mai veramente divenuto antifascista.
A tutto ciò sicuramente contribuì una certa continuità mai interrotta con i funzionari del passato regime: dal famigerato Questore di Milano ai tempi della morte di Pinelli, Marcello Guida, al quale il Presidente Sandro Pertini rifiutò di stringere la mano perchè già direttore del confino di Ventotene, per giungere ai funzionari di polizia o dell’esercito implicati nel sostegno agli ustascia come Giuseppe Pieche, reclutati e riciclati nelle istituzioni dietro influenza dell’OSS. Di ciò ho parlato nel mio articolo “Il Governo che avremo il prossimo 25 aprile” (13).
All’intoccabilità delle zone grigie in cui la libertà perde il suo nome ed il suo significato ha certamente contribuito anche l’ambiente giudiziario. Non sempre ci sono stati i processi alle forze dell’ordine che sono stati celebrati a Genova. Torna ancora alla mente la campagna giudiziaria contro il movimento No-Tav, all’interno della quale spicca la recente e patente ingiustizia nei confronti di Marta Camposano.
Marta, attivista notav, durante una manifestzione è stata fermata dopo essere stata travolta e gettata a terra da una violenta carica delle Forze dell’Ordine. Dopo il suo fermo, ha denunciato di esser stata brutalmente immobilizzata, palpeggiata nelle parti intime, percossa violentemente al volto, insultata. Nel corso delle indagini riconobbe perfettamente e precisamente gli autori dei fatti. A più di un anno di distanza, il Giudice delle Indagini Preliminari di Torino, accogliendo la richiesta di archiviazione dei P.M. Rinaudo e Padalino (che già portano avanti le accusa in numerosi processi contro attivisti del movimento) ha deciso che il procedimento non deve più proseguire, nessun processo, nessuna verifica, nessun’altra indagine.
In un articolo apparso su Resistenze.org, l’elzevirista F. Pessoa ebbe modo di commentare che “Si apprendono scampoli sconvolgenti del provvedimento con il quale il Tribunale ha chiuso il fascicolo sulla vita offesa di Marta. Ipotesi squisitamente discusse in punta di mera logica: Marta sarebbe inattendibile perchè è logicamente contraddittorio ed inammissibile che un appartenente alle forze dell’ordine decida di sfogare la sua libido proprio in un momento di concitazione qual’è quello dell’arresto, e per giunta alla presenza di altri colleghi tenuti astrattamente a denunciare fatti di reato. Secondo il giudice, che è una donna, sarebbe inaudito che ciò possa avvenire. Assurdo ipotizzarlo: dunque Marta non è meritevole di tutela dagli uomini e donne di Tribunale. Mai un dubbio che la violenza possa avvenire più per sfregio ed offesa che per mera libido! Mai un dubbio che l’eventuale malfattore contasse in modo sicuro sulla connivenza od anche solo sull’omertà dei colleghi! Un atto di fede verso un potere che, almeno nei Tribunali, si dovrebbe osar controllare. Eppure, dovrebbero esser noti i numerosi casi in cui gli abusi delle forze dell’ordine si esplicano anche attraverso odiose prevaricazioni sessuali, nella più totale omertà di colleghi presenti. Negli atti processuali del G8 del 2001 a Genova, vi sono “racconti di donne che diventeranno denunce: “stavano lì, a braccia aperte, bloccate contro un muro, immobili da ore, e intorno i poliziotti che le chiamavano “troie, puttane ” e poi urlavano “entro stasera vi scoperemo tutte”, prima di strusciare i manganelli sulle cosce delle ragazze, tanto per far capire bene che aria tirava là dentro. Erano otto, forse dieci, quelle che hanno vissuto l’ incubo della caserma di Bolzaneto.” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/08/07/g8-denunce-di-violenze-sessuali.html ). Per alcuni fatti fioccheranno sentenze divenute irrevocabili: condannato a 12 anni e mezzo di reclusione per stupro l’assistente capo di polizia Massimo Luigi Pigozzi. Questa la decisione della terza sezione penale della Cassazione. Pigozzi, già condannato a tre anni e due mesi per le violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto nei giorni successivi al G8 di Genova del 2001, dovrà anche risarcire una delle vittime delle violenze sessuali avvenute durante il servizio prestato in quella occasione presso la Questura di Genova.” (14).
Nella stessa occasione, con riferimento alla tutela dei diritti spesso sbandierati ma inermi, altro elzevirista, Nevoeiro, aveva modo di ricordare: “Miriadi di convegni sulle donne vittime di violenze e soprusi sponsorizzati dalle migliori firme, patrocinati da ogni istituzione, dalla piccola circoscrizione alla presidenza del consiglio, talk show con le scarpette rosse, conferenze stampa con le parlamentari delle opposte fazioni schierate a falange contro la violenza di genere. Donne violate, nella carne e nella mente, sempre in cima ai pensieri di quei benpensanti che scendono in piazza a milioni, attirati come le api al miele, se c’è da solidarizzare con chi si sente umiliata dall’idea che il corpo femminile sia strumento a sostegno del divertimento dell’imperatore. Ma nulla da fare quando la donna non ci sta, se dimostra coraggio, se la sua ribellione varca l’uscio della questione di genere; un kapò sarà sempre pronto a ricacciarla indietro oltre le reti, a rammentarle che lo status di vittima bisogna meritarlo, non basta essere donna e avere subìto violenza, occorre prima di tutto accettarle quelle reti. Se la vittima fronteggia il potere, lo accusa, lo sbugiarda, lo sbeffeggia, perde il diritto di essere accettata come vittima ai cui piedi stendere un ipocrita tappetto rosso, e diventa mostro da escludere, da allontanare”.(15)
Da Pinelli e Pulsinelli, alle mai chiarite gesta dei reparti antiterrorismo negli anni settanta, passando per Genova 2001, per arrivare alle violenze valsusine sui manifestanti Notav documentate nell’Operazione Hunter (15), alla tanto orrenda quanto orrendamente archiviata violenza sessuale su Marta Camposano, il leit motiv della sinfonia del potere sembrano ancora essere le parole dell’ineffabile “dottore”, funzionario di polizia della pellicola di Elio Petri Un cittadino al di sopra di ogni sospetto: “L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite… L’uso della libertà, che tende a fare di qualsiasi cittadino un giudice, che ci impedisce di espletare liberamente le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della legge che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata; ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”. (17).
Pezzi di Stato che sembra non abbiano mai vistto la costituzione del 1948, o se l’han vista, l’hanno considerata una formalità rituale. Pezzi di Stato che da tempo andrebbero smantellati.
*) Enzo Pellegrin, è avvocato penalista a Torino, scrive per il settimanale on-line Resistenze.org. . Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale www.resistenze.org
Note:
1) Sentenza della Corte d’Appello di Genova 18 maggio 2010.
2) Sentenza del Tribunale Penale di Genova 13 novembre 2008.
3) Dichiarazioni del capo della polizia Arturo Manganelli al Secolo XIX 6.7.2012, Il Secolo XIX.
4) Termine in lingua francese, idioma ufficiale della Corte. “Cour Européenne des Droits de l’Homme”, in italiano sovente indicata con l’acronimo CEDU.
5) Il principio è altresì ribadito in altre convenzioni umanitarie internazionali aventi altrettanto valore vincolante e “copertura costituzionale”: l’articolo 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si esprime con il medesimo testo dell’art. 3, con l’aggiunta del termine “crudeli”: “nessuno potrà essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti crudeli inumani o degradanti”. L’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civli e politici del 16 dicembre 1966 egualmente dichiara e specifica: “nessuno potrà essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti crudeli inumani o degradanti. In particolare è fatto divieto di sottomettere una persona, senza il suo libero consenso, ad una perizia medica o scientifica”. Queste disposizioni hanno nel nostro ordinamento valore di legge a “copertura costituzionale”, che li rendono sopraordinati e non derogabili dalla legge ordinaria interna, in virtù del disposto dell’art. 10 Cost. secondo il quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” e dell’art. 11 Cost. secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”
6) CEDU, Cestaro v. Italie, p. 40, laddove si richiamano gli arresti principali della CEDU che hanno dato corpo a tale concetto: EL Masri v. Macedonie n. 39630/09, Ilhan v. Turquie n. 22277/93, e la più famosa Gafgen v. Germania.
7) Cestaro, citata, p. 42. La traduzione è dell’autore.
8) Cestaro, cit. p. 43 (t.d.a.)
9) Cestaro, cit. p. 44 (t.d.a.)
10) Cestaro, cit. p. 46 (t.d.a.)
11) Cestaro, cit. p. 46 (t.d.a.)
12) https://contropiano.org/editioriali/item/30103-la-passione-tutta-italica-per-la-tortura
13) E. Pellegrin, Il governo che avremo il prossimo 25 aprile, resistenze n. 540, 16.4.2015, http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipfd16-016177.htm
14) F. Pessoa, L’anima di Marta richiusa in un cassetto, Resistenze n. 546, 21.3.2015, http://www.resistenze.org/sito/se/le/selefc22-016026.htm.
15) Nevoerio, Summum ius? Papyrus panni., Resistenze n. 546, 23.3.2015. http://www.resistenze.org/sito/se/le/selefc22-016026.htm
16) http://www.notav.info/top/operazione-hunter-il-dossier-completo-isolaimo-i-violenti/ controinchiesta condotta dal movimento no tav concernente gli abusi delle forze dell’ordine durante i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011, nei quali si denunciava altresì l’inerzia della Procura della Repubblica di Torino nei confronti dei fatti denunciati dai manifestanti. La gran parte delle denunce, pur corredate di prove filmate, sono infatti finite in archivio, a cominciare dalla discussa archiviazione dei fatti di violenza sessuale nei confronti di Marta Camposano, nella quale la manifestante aveva compiutamente riconisciuto i poliziotti ed i funzionari che riteneva responsabili dei gravi fatti denunciati.
17) Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, pellicola italiana del 1970, con Gian Maria Volontè , Florinda Bolkan e Gianni Santuccio, sceneggiatura di Elio Petri ed Ugo Pirro, testi reperibili su https://it.wikiquote.org/wiki/Indagine_su_un_cittadino_al_di_sopra_di_ogni_sospetto
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa