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Non solo Colosseo. Le mani dei privati sulla cultura: il caso di Civita e Zètema

Una interessante analisi pubblicata a ottobre del 2014 sul sito Wilditaly.net, ricostruisce con informazioni utili e credibili lo stato del patrimonio artistico e culturale del nostro paese, oggetto in questi giorni di sguaiate e strumentali aggressioni ai lavoratori del Colosseo. Nella gestione di musei, beni archeologici e patrimonio artistico è stato dato campo libero ai privati che hanno creato una gestione monopolistica e ridotto al lumicino ogni pubblico beneficio, per le casse e non solo, come dimostrato dalla vicenda della società Electa nella gestione degli introiti del Colosseo. Leggere con attenzione quanto segue.

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Cultura. Un capitolo importante dell’apparato statale, soprattutto quando si constata quanto poco il nostro paese investa in questo settore ( l’1,1% del PIL ).

Vista quindi la morìa di risorse, l’intero comparto soffre inevitabilmente di una crisi che non sembra avere fine.  Tra le vittime, giusto per citare due settori, ci sono i musei e le aree archeologiche.

LA LEGGE RONCHEY. Il 14 gennaio 1993, forse per mettere un freno a questa situazione, si pensò di varare la cosiddetta Legge Ronchey fortemente voluta dal ministro della Cultura a cui deve il nome.

Il provvedimento introduceva una misura importante: per la prima volta si apriva il mercato dei servizi aggiuntivi dei musei e delle aree archeologiche pubbliche (quindi statali) ai privati, dando loro la possibilità di gestirli e di sviluppare imprenditorialità.

La legge non si limita poi solo all’ingresso dei privati nella gestione perché inserisce anche l’opportunità, per lo Stato, di costituire società pubbliche cui affidare la gestione dei servizi, con la stessa efficienza dei privati, e la programmazione negoziata per gli interventi congiunti tra pubblico e privato. 

In poco tempo si è sviluppato quindi, invece di una liberalizzazione del settore, una sorta di monopolio, mascherato da oligopolio, condito da conflitti d’interesse.

Lo scenario, ad oggi, è dominato da pochi grandi soggetti che singolarmente o attraverso associazioni temporanee d’impresa, si dividono la torta dei Beni Culturali dello Stato. Tra i tanti nomi, troviamo: Electa (gruppo Mondadori), PRC Codess, Civita e Zètema.

LA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI. L’attenzione sull’operato di queste e di altre aziende con gli stessi interessi, come ci si poteva aspettare, comincia quasi subito a farsi sentire.

Nel 2005, la relazione della Corte dei Conti “Indagine sulla gestione sui servizi d’assistenza culturale e d’ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura dello Stato” mette in evidenza una grave deriva monopolistica che l’operato di Civita e degli altri soggetti cominciano a imprimere al mondo della cultura: «Da una recente indagine commissionata dal Ministero per i beni culturali, risulterebbe che solo otto società concessionarie gestiscono oltre il 90 per cento dei servizi nei musei, delle quali una soltanto è presente in ben 24 musei, con ricavi che si avvicinano al 24 per cento degli introiti totali».

Nel Libro Bianco “La valorizzazione della cultura fra Stato e mercato”, redatto da Confindustria con la collaborazione di Confcultura nel febbraio 2008, si parla di concentrazioni ancora più gravi, una volta prese in esame le 130 concessioni nazionali. Di queste «le concessioni ad associazioni temporanee di imprese (ATI) risultano essere 108, mentre quelle a raggruppamenti (RTI) sono appena 2 e le restanti 20 concessioni sono individuali. Concentrando l’attenzione solo sulle ATI, 39 (pari al 30%) fanno riferimento ad un unico gruppo imprenditoriale […] e non sono rari anche fenomeni di incrocio tra partecipazioni societarie delle imprese concorrenti e tra membri dei consigli di amministrazione e tra manager delle diverse imprese». 

Oggi, a titolo esemplificativo, vi raccontiamo la storia di due delle quattro aziende che vi citavamo poc’anzi: Zètema e Civita.

ZÈTEMA. Zètema è una società partecipata oggi al 100% da Roma Capitale ed opera da anni proprio in ambito culturale. Leggiamo dal loro sito internet: «una mission votata ad ottenere una fruizione ottimale del patrimonio storico artistico della Città ed un business incentrato sulla gestione di attività e servizi culturali e turistici, oltre che sull’organizzazione di eventi.

L’attività di progettazione, manutenzione e conservazione, e catalogazione per conto della Sovraintendenza Comunale, la gestione della Rete dei Musei Civici, nonché di diversi spazi cittadini dedicati allo spettacolo, alla cultura ed all’accoglienza turistica, sono oggi affidati alle nostre competenze di Società che opera in questo settore già dal 1998».

L’azienda però non è sempre stata pubblica. Nel 1998 infatti, l’anno della creazione, i fondatori erano tre soggetti privati: Acea, Costa Edutainment e Civita. Su quest’ultimo ente torneremo più avanti perché entrerà prepotentemente nella nostra storia.

Giovanna Vitale, dalle colonne dell’edizione online di Repubblica, definisce Zètema “per potere e capacità di spesa”, come “il tredicesimo assessorato di Roma”.

Sul sito dell’azienda c’è una pratica mappa che evidenzia la gestione di numerosi musei, siti archeologici e monumenti, case e luoghi della cultura, centri culturali delle periferie, ludoteche, case dei teatri e della drammaturgia. 

Presidente e Amministratore delegato di Zètema è Albino Ruberti, figlio dell’ex ministro socialista Antonio. Ruberti è anche Segretario generale e Amministratore delegato di Civita Culture.

CIVITA. Nasce nel 1987 grazie al banchiere Gianfranco Imperatori. Il compito che si dà sin dalla sua costituzione è quella di valorizzare la cultura attraverso nuovi modelli di sviluppo

Con il tempo Civita amplia però il suo campo di azione e comincia a mirare alla gestione dei servizi culturali. Nel 1997 parte dalla gestione dei poli museali con la Centrale Montemartini, a Roma.

Nel 1998 c’è la tappa importante della fondazione di Zètema e nel ’99 quella di Civita Servizi, costola di Civita che si occupa proprio della gestione di servizi culturali e che in seguito cambierà nome in Civita Cultura. 

Nel 2000 Civita taglia un nuovo traguardo con l’ingresso nella gestione dei servizi dei Musei Capitolini.

Sergio Rizzo è tra i primi che nel 2003, dalle pagine de Il Corriere della Sera, alza i riflettori sul potere che l’associazione comincia ad avere: «A qualcuno, fra gli invitati alle frequenti presentazioni di libri che si tengono nella grande sala che su quel terrazzo si affaccia, è capitato talvolta di domandarsi: «Ma chi paga?». Per poi immediatamente rimuovere dalla mente quel pensiero, dopo aver letto la sterminata lista dei soci. Comincia dall’Abb, la multinazionale svizzero-tedesca dell’energia, e finisce con Wind, la compagnia telefonica dell’Enel. In mezzo ci sono tutti: Alitalia, Generali, Rai, Mediaset, Philip Morris, Aeroporti di Roma, Capitalia, Bulgari, Poste italiane, Ferrovie dello Stato, Fincantieri, Ibm, Lottomatica, Mediolanum, Telecom Italia. Non mancano alcune fra le principali Fondazioni bancarie. Né qualche editore. Ma nemmeno le Università. Né enti pubblici, come l’Enea o il Consiglio nazionale delle ricerche. In tutto sono la bellezza di 113».

Il 2005 è l’anno delle prime importanti acquisizioni societarie. La prima della lista è Ingegneria della cultura, società che si occupa dei servizi nei musei del Triveneto. Il 13 dicembre 2007 c’è lo “sbarco” in Sicilia, con l’apertura di Civita Sicilia s.r.l. , progetto voluto da Civita, dalla Fondazione Banco di Sicilia e dal Banco di Sicilia – Gruppo Unicredit per gestire i Beni culturali anche nella regione amministrata oggi da Rosario Crocetta.

Passa un anno e Civita Servizi mette un piede in musei come la Galleria Borghese di Roma e la Galleria Nazionale di Urbino, grazie all’acquisizione di una quota azionaria nella società Gebart. Ingegneria per la Cultura nel frattempo cambia nome in “Civita tre Venezie”.

Tempo 12 mesi e Civita raccoglie il capitale di maggioranza di Opera Laboratori Fiorentini, società che gestisce, tra gli altri, la Galleria degli Uffizi.

Poco tempo dopo si rinnovano, in seguito al decesso del fondatore Gianfranco Imperatori, i vertici di Civita. Alla presidenza viene designato Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi e più volte sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Per il ruolo di Segretario Generale viene scelto Albino Ruberti, amministratore delegato di Zètema sin dalla sua fondazione e di Civita Cultura srl (ex Civita Servizi) dal 2006.

Come presidente di Civita Cultura, la scelta ricade su Luigi Abete, Presidente della Bnl e di Cinecittà Studios.

IL CONFLITTO D’INTERESSI. Uno dei problemi che si possono in alcuni casi incontrare quando la gestione di risorse è così imponente, è il classico conflitto d’interesse, che questa volta investe l’uomo chiave di Civita (ente privato) e Zètema (100% Roma Capitale, quindi pubblica): Albino Ruberti.

Ruberti in Civita ricopre, come dicevamo, l’incarico di Segretario Generale. Secondo lo statuto dell’associazione, articolo 10, il Segretario: “è incaricato della gestione e della amministrazione dell’Associazione nei limiti dell’ordinaria amministrazione, con un limite di spesa determinato dal Consiglio di Amministrazione […] è incaricato della custodia dei fondi e del patrimonio dell’Associazione e sovrintende la gestione finanziaria”. Di fatto, quindi, è colui che tiene “i cordoni della borsa”. 

In Zètema, invece, Ruberti è stato promosso recentemente alla carica di Presidente, mantenendo quella di Amministratore delegato. 

Veniamo al caso in questione. Civita mette a disposizione dei cittadini una carta, la Carta Civita, dal costo di 11 euro, per pagare con un prezzo ridotto l’ingresso, in 12 regioni italiane, di musei, siti archeologici e teatri che aderiscono o per usufruire di altri tipi di scontri e promozioni.

Nulla da eccepire, se non fosse che, sul territorio romano, ben 18 su 27 dei musei e siti convenzionati (uno, il Museo della Civiltà del Lavoro, lo hanno chiuso recentemente) sono gestiti proprio da Zètema, società – oggi pubblica – amministrata sempre da Ruberti.

Intendiamoci, ovviamente non c’è nulla di penalmente rilevante in quello che abbiamo raccontato o comunque non sta a noi dirlo. Non è riscontrabile neanche un’incompatibilità di cariche, come dichiarato dallo stesso interessato con una lettera inviata alla Direzione Generale del Campidoglio il 25 luglio 2013.

Cosa rimane allora? Una questione di inopportunità? Attendiamo lumi.

* curatore di Wilditaly.net

 

 

 

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