Scambi economici con monete alternative all’euro, diplomazia dei popoli, cooperazione, mutualismo, solidarietà, partecipazione popolare e liberazione degli spazi. Con lo sguardo rivolto all’esperienza dei paesi dell’Alba, la ricetta per una nuova Europa del sud proposta dal sindaco di Napoli
di Fabrizio Verde
“Da Sud e dal Sud Europa, può nascere una spinta per la costruzione di un’altra Europa e abbiamo dei segnali rappresentati da alcune esperienze nel sud Italia. Non vorrei apparire presuntuoso, ma il mio percorso politico e amministrativo nella città di Napoli si inserisce in questo discorso”. A pochi giorni dalla polemica scoppiata nel corso della trasmissione di Massimo Giletti “L’Arena”, nel corso della quale il “giornalista” e Matteo Salvini hanno insultato Napoli, definendola “città indecorosa”, l’AntiDiplomatico ha incontrato il sindaco Luigi de Magistris per una chiacchierata sui temi di politica internazionale e sul ruolo da protagonista che la città di Napoli vuole giocare nella costruzione di un’Europa alternativa possibile. De Magistris ha ribadito che le (indecorose, quelle si) politiche neo-liberiste dell’Europa si possono sconfiggere anche guardando all’esperienza recente dei paesi dell’ALBA bolivariana.
L’intervista
– Nonostante l’oggettiva insostenibilità e le previsioni di una sua fine imminente, l’Euro è ancora la moneta di riferimento per i 18 paesi membri. Non crede che l’esperienza recente greca dimostri che l’Euro sia destinato a durare per un periodo prolungato, data l’impossibilità per un paese singolo che non sia la Germania, di ‘staccare la spina’. E proprio per questo non crede sia giunto il momento di iniziare a ragionare in termini di ‘Europa del Sud’, immaginando in un lasso temporale di medio-lungo periodo, una nuova organizzazione in grado di sostituirsi all’Unione Europea e alla zona Euro, basata su altri modelli macro-economici e altri valori di riferimento? A suo giudizio potrebbe essere l’ALBA latinoamericana, modello d’integrazione basato su solidarietà e giustizia sociale, il modello da seguire?
Sicuramente c’è bisogno della costruzione di un’altra Europa. L’Europa si è preoccupata in cinquant’anni e più di costruire in particolare la globalizzazione monetaria, finanziaria ed economica, non preoccupandosi di costruire quella dei diritti, delle persone e nemmeno di consolidare quella della solidarietà e della lotta alle disuguaglianze. Quindi da Sud e dal Sud Europa, può nascere una spinta per la costruzione di un’altra Europa e abbiamo dei segnali rappresentati da alcune esperienze nel sud Italia. Non vorrei apparire presuntuoso, ma il mio percorso politico e amministrativo nella città di Napoli si inserisce in questo discorso. Penso all’esprienza di Tsipras in Grecia, penso all’esperienza di Podemos a Barcellona. Credo che il sud Europa debba provare a costruire modelli non solo sociali, culturali e politici, ma anche economici diversi. Quindi finanche il tema della moneta, secondo me, non dev’essere un tabù. Nel senso di costruire scambi economici fondati su monete alternative o comunque che vanno ad aggiungersi all’Euro. Senza per questo andare a fare una guerra di religione sull’Euro e la moneta unica, ma sicuramente con l’anelito di costruire modelli economici dal basso, con un’economia vicina alle comunità locali e che quindi non sia eterodiretta dalle grandi centrali della finanza e delle banche internazionali, quindi fondata sulla cooperazione, il mutualismo, la partecipazione popolare, il crowdfunding, su altre modalità di partecipazione alla vita collettiva attraverso la costruzione del concetto di bene comune che contiene al suo interno anche modelli economici alternativi.
Quindi, io credo che dall’Europa del sud stia venendo una spinta forte verso la costruzione di un’altra Europa.
Si può guardare alle esperienze latinoamericane, ai movimenti popolari del Sudamerica, a quelle esperienze politiche che si sono contraddistinte nel corso della storia. Credo che ci sono delle similitudini, fondate sulla sete di giustizia, sulla lotta alla disuguaglianza, sulla voglia di libertà, di andare contro gli oligopoli, contro le eterodirezioni. Noi non vogliamo essere né eterodiretti, né mantenuti, né assistiti. I popoli del sud questa forza devono avere: quella di fondare il proprio riscatto sulla voglia di autodeterminazione, di autogestione, sul concetto di appartenenza alla propria terra, che significa riscatto e non vincolo di schiavitù e subordinazione. Secondo me solo dal sud del mondo può venire una rivoluzione di questo tipo.
– Uno dei pilastri fondamentali dell’ALBA è il Venezuela bolivariano, una realtà a cui lei ha mostrato in più occasioni vicinanza e solidarietà. Ritiene possibile per Napoli, come fece la città di Londra nel 2007, trovare un accordo di collaborazione con questo paese per ricevere carburante a prezzo scontato – in modo da abbassare le tariffe del trasporto pubblico per i meno abbienti – in cambio di know-how?
Un accordo tra la città di Napoli e il Venezuela fu oggetto di colloqui importanti tra me e l’ex Console venezuelano a Napoli. Lavorammo anche alla stesura di un protocollo, che fece passi in avanti importantissimi sino ad arrivare a un accordo tra la città di Napoli e il governo venezuelano, che poi si arenò perché c’era bisogno di avere il via libera da parte del Ministero degli Esteri. Proprio qui in Italia, questo accordo si arenò perché venne detto che le città non potevano fare accordi diretti con governi. Però devo dire, questa è una notizia, che ci stiamo riprovando. Un mese fa circa ho avuto un incontro con l’Ambasciatore venezuelano a Roma, un incontro molto importante e proficuo, dove abbiamo rinsaldato rapporti per iniziative culturali e politiche, e dove abbiamo deciso di riprendere vigorosamente la possibilità di firmare un accordo. I nostri uffici sono nuovamente al lavoro per cercare di ottenere il via libera da parte del nostro governo. Sarebbe una gran bella cosa connettere i porti direttamente, connettere la nostra città al Venezuela. Realizzare esattamente quello che noi volevamo scrivere nel protocollo d’intesa: petrolio in cambio di know-how, sia in ambito tecnologico per l’industria, sia in ambito culturale.
– Dal 3 ottobre in Italia, Spagna e Portogallo è in corso la «Trident Juncture 2015» (TJ15) – «la più grande esercitazione Nato dalla caduta del Muro di Berlino» nella definizione data dallo U.S. Army Europe, in cui il Comando delle forze congiunte NATO di Napoli avrà un ruolo chiave. Lei si è immediatamente schierato contro questa politica aggressiva e di guerra, dichiarando il Porto di Napoli ‘area denuclearizzata’. Cos’altro può fare lei come Sindaco in opposizione all’aggressività della NATO e la città di Napoli in generale per promuovere una politica di pace nell’area mediterranea?
Dobbiamo innanzitutto partire dalla Costituzione italiana nata dalla Resistenza al nazifascismo. L’Italia ripudia la guerra, articoli 10 e 11, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Napoli ha la promozione della pace come elemento costitutivo della città, e noi come amministrazione lavoriamo in quella direzione: mentre altri innalzano mura nella civile Europa, noi non ne costruiamo. Anzi lavoriamo per costruire ponti di pace e per abbattere confini. La nostra città è sempre più una città di abitanti e non di cittadini: visto che il paese non riesce a dare la cittadinanza a chi nasce in Italia noi andiamo oltre e siamo la città degli abitanti. Tutti quelli che vogliono venire a Napoli trovano un luogo di accoglienza, solidarietà e fratellanza. Da questo punto di vista ci vogliamo caratterizzare, come una città che costruisce relazioni diplomatiche dal basso che vanno verso la non-violenza e la non aggressività.
Dare messaggi che possano portare atti concreti e speranze laddove c’è guerra. Questo è quello che ho cercato di fare sulla questione mediorientale tra Palestina e Israele, cerchiamo anche di farlo tessendo rapporti con la comunità russa sul piano culturale. A noi non interessa schierarci in questa nuova guerra fredda, e non solo fredda, noi vogliamo essere amici del popolo americano, ma allo stesso tempo amici del popolo russo. Costruire relazioni diplomatiche dal basso e rapporti forti tra le nostre comunità. Credo che sia stato molto significativo, aver con una delibera di giunta dichiarato il porto di Napoli de-nuclearizzato. Un atto molto importante, motivato, a cui ha fatto seguito un ordine del giorno nell’Autorità Portuale perché noi non vogliamo che nel Porto di Napoli entrino sommergibili a propulsione nucleare o che ci siano portaerei con armamenti nucleari. Siamo contro le esercitazioni militari di qualunque tipo e soprattutto di questo tipo – si tratta della più imponente dalla caduta del Muro di Berlino – nel nostro Golfo, che dev’essere il Golfo del turismo, dei naviganti, dell’accoglienza; il Golfo del recupero del mare, della preservazione della fauna ittica. A noi interessa costruire una città dell’accoglienza, multietnica, capitale del Mediterraneo che prova a costruire connessioni affinché il Mar Mediterraneo torni a essere un mare non insanguinato. Un mare azzurro e non rosso sangue.
– Mentre diktat europei e politiche ultraliberiste svuotano le istituzioni elettive, Napoli continuerà a puntare sulla democrazia partecipativa?
Sempre con maggiore forza. Nell’ultimo anno e mezzo c’è stata una grande accelerazione in quella direzione. Crediamo nelle esperieze di autodeterminazione dal basso, guardiamo con grande interesse, per esempio alla questione di Kobane. Guardiamo con interesse alla liberazione di spazi che erano andati abbandonati o che non erano considerati più di nessuno. Abbiamo sostenuto non intaccandone per nulla l’autonomia, perché io credo molto al concetto di autonomia in tutti i sensi, anche in politica, ad esperienze tipo l’ex OPG a Materdei, ma penso anche alle altre esperienze come il Giardino Liberato sempre a Materdei, Santa Fede Liberata nel Centro Storico, l’Asilo Filangieri, Villa Medusa e altre esperienze. Noi crediamo che queste non sono azioni di occupazione illegale, violenta, di spazi della nostra città, ma processi caratterizzati da veri e propri connotati di liberazione di spazi abbandonati.
L’amministrazione non è conflittuale con tutto questo, anzi. La vera rivoluzione è quella di tornare in qualche modo all’agorà di un tempo e alle origini. Vale per l’acqua, non a caso siamo l’unica città d’Italia che ha attuato il referendum sull’acqua pubblica. Vale per la terra, l’appartenenza al territorio, il recupero degli spazi abbandonati, la cura del patrimonio paesaggistico-monumentale e storico che abbiamo in base all’articolo 9 della nostra Costituzione. Vale per l’aria, volendo eliminare l’emergenza rifiuti, terra dei fuochi e veleni sprigionati per anni. Per fare questo serve un movimento di popolo, una partecipazione dal basso. Non si tratta di operazioni che puoi calare dall’alto. Noi diamo la nostra spinta, diamo la nostra energia, ma non basta: a questa rivoluzione interna alle istituzioni, si deve accompagnare una rivoluzione popolare, di riscatto, con grandi energie e grande creatività.
Credo che Napoli, lo dico senza presunzione, in questo momento sia un laboratorio. Non penso in Italia ci sia nulla di simile, un percorso comune dell’autonomia che viene fatto da chi rappresenta la città perché eletto democraticamente e quindi non nominato e chi sta facendo politica dal basso con la demcorazia partecipativa. Penso che in Italia, in questo momento, rappresentiamo un laboratorio civico e polItico.
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