Le note che seguono sono un contributo che i compagni di ROSS@ di Napoli offrono all’attenzione degli attivisti politici e sociali e di quanti, nei movimenti sociali ed oltre, sono interessati ad un confronto pubblico circa una possibile relazione con l’esperienza politica, e soprattutto amministrativa, incarnata dall’amministrazione comunale di Luigi De Magistris.
Una premessa di metodo e di sostanza.
Partiamo da un dato che, di fatto, costituisce il preambolo al ragionamento politico che proponiamo. Una premessa fondamentale altrimenti non comprenderemmo l’anomalia e la specificità del “caso napoletano” nell’ambito del quadro politico nazionale. Riteniamo, infatti, che questa discussione deve essere interpretata ed analizzata considerando le diversificate articolazioni che si registrano nelle varie aree metropolitane. Per cui gli esiti politici che proponiamo ed a cui alludiamo non costituiscono, in nessun modo, una sorta di modello valido in altri contesti politici e territoriali.
Siamo quasi al termine del mandato amministrativo della vicenda della sindacatura di Luigi De Magistris e possiamo affermare che questa esperienza si è connaturata come un interessante punto di resistenza (anche se prevalentemente sul versante istituzionale) al corso antisociale degli ultimi governi che si sono succeduti (Berlusconi, Monti, Letta e Renzi) i quali, pur con accentuazioni diverse, hanno proseguito nei loro affondi politici e materiali fondati sulle politiche dell’austerity.
Non era questo un dato naturale e scontato se – a distanza di quasi cinque anni – osserviamo la maggioranza politica e i profili politici dei soggetti che costituivano la prima fase dell’amministrazione di Luigi De Magistris.
In quel periodo negli equilibri dell’amministrazione pesavano culture politiche ed interessi materiali i quali, sul piano politico, immaginavano una possibile riedizione del centro/sinistra e, su quello pratico, prospettavano una sorta di compromesso dinamico con le direttive di tagli e penalizzazioni che provenivano dai governi nazionali.
Una condizione che derivava dall’esito materiale delle elezioni, che avevano chiuso il lungo ciclo di Bassolino/Jervolino, ma che risentiva, oggettivamente, di un contesto politico nazionale in cui una certa “sinistra” era ancora subalterna e desiderosa di una relazione con il Partito Democratico.
Con il trascorrere del tempo tale situazione è andata evolvendosi delineando nuovi scenari.
La realtà – però – o meglio, il corso della crisi e l’incidere, sull’area metropolitana di Napoli, dei fattori derivanti dall’immanenza degli input che provenivano dall’Unione Europea si è incaricata di produrre una oggettiva chiarificazione politica ed un conseguente primo sparigliamento degli equilibri che costituivano la prima amministrazione di Luigi De Magistris.
L’abbandono dell’assessore al bilancio, Riccardo Realfonzo (ma anche del manager dell’ASIA, Raphael Rossi), è stato il primo segnale di come l’impatto con le questioni derivanti dalla generale imperante centralità della filosofia dell’austerity produceva le prime divaricazioni tra chi era disposto a piegarsi ai diktat del governo e dell’Unione Europea e chi – in questo caso Luigi De Magistris – provava a resistere nella difesa dei livelli occupazionali dell’Azienda/Comune e del complesso dei servizi sociali che vengono ancora erogati.
Inoltre anche in materia di “sicurezza” si produceva una rottura con l’allora assessore, Giuseppe Narducci, il quale informava la gestione dei suoi campi di competenza con una interpretazione repressiva verso i settori della marginalità sociale e con una logica securitaria.
Non è un caso che in quella fase il corpo dei vigili urbani era retto da un ex generale dei carabinieri, Luigi Sementa, il quale era noto per le sue guasconate pubbliche contro giornalisti poco restii alla logica delle intimidazioni e per il suo plateale accanimento contro mendicanti, ambulanti e cortei dei disoccupati. Nel contempo era completamente assente sui temi più propriamente attinenti alla gestione di un moderno corpo di vigili urbani in una metropoli come Napoli (gestione traffico, vigilanza antiabusivismo, tutela ambientale,).
Da quel periodo l’amministrazione comunale è entrata in una continua fibrillazione derivante dalle posizioni di contrarietà all’azione dei vari governi che De Magistris ha dovuto assumere per non essere costretto ad ingoiare la politica dei tetti di spesa, del continuo taglio dei trasferimenti economici agli enti locali e degli inviti ad esternalizzare/privatizzare le società partecipate afferenti al Comune.
Inoltre anche su altri significativi temi – la ristrutturazione urbanistica e territoriale di Bagnoli e di Napoli est, la gestione del Patrimonio, la questione della governance del porto, le politiche ambientali ed il tema della possibile costruzione di un inceneritore a Gianturco – l’amministrazione ha dovuto impegnarsi, su più fronti, (Governo nazionale – Regione Campania) per respingere scelte che avrebbero costituito un autentico regalo per i poteri forti economici e per la loro rete affaristica e clientelare interessata alla realizzazione di provvedimenti antipopolari.
Non è questa la sede per una dettagliata rassegna degli atti politici ed amministrativi dell’intera esperienza della giunta De Magistris ma – al netto di un bilancio più compiuto e particolareggiato che pure dovrà essere realizzato – il dato politico che ci interessa evidenziare è la posizione controcorrente, nelle dinamiche dello scontro, che l’esperienza De Magistris ha rappresentato in questa particolare fase della congiuntura politica della città e del paese.
Tale concreta dimensione politica, questa sedimentazione di umori, di scelte politiche e di orientamenti culturali – insomma questi rapporti di forza – sono il punto di partenza per qualsiasi discussione ed azione politica organizzata che si pone, non astrattamente, il rompicapo della possibile rappresentanza, anche istituzionale, degli interessi dei settori popolari della città.
Naturalmente – ed è sempre utile ripeterlo non formalisticamente – la relazione, il confronto, la critica ed anche le eventuali sinergie tra forze politiche e sociali, movimenti di lotta ed esperienze istituzionali, per quanto ci riguarda, possono materializzarsi con una precondizione necessaria ed indispensabile: l’autonomia e l’indipendenza dei soggetti e la non confusione di ruoli e di compiti che, di volta in volta, si assumono nelle dinamiche pubbliche.
Spesso, negli anni passati ma anche recentemente, in questa, delicata e scivolosa, dialettica si sono ingarbugliati i temi e le funzioni in campo e si è prodotta, non solo inconsapevolmente, un inquinamento politico dei temi e delle ragioni sociali che si intendevano interpretare e rappresentare.
ROSS@ intende prendere parola e, nella misura delle sue forze, agire, in connessione con altri soggetti politici, sociali e sindacali per costruire a Napoli e nell’intera area metropolitana le migliori condizioni possibili per una alleanza politico/sociale contro l’austerity, contro il complesso delle politiche del padronato e di Renzi e, soprattutto, contro i diktat dell’Unione Europea.
Un compito pratico che non intende configurarsi come una “appendice” del ruolo di Luigi De Magistris ma – anzi – intende andare oltre i limiti e le pur accertate incongruenze politiche ed amministrative di questa esperienza. Nessuna suggestione, quindi, di riedizioni di “amministrazioni amiche in salsa napoletana” ma un analisi concreta di una anomalia che si è prodotta e che vive a Napoli e nella sua area metropolitana.
Con questa premessa presentiamo alcuni punti di ragionamento che abbiamo accorpato e sintetizzato, per una evidente comodità di discussione, sui quali auspichiamo un dibattito largo, unitario ma chiaro nei contenuti e negli approdi verso cui si intende incamminarci.
Un inquadramento politico necessario.
La decisione di ROSS@ di impegnarsi, in occasione delle prossime elezioni amministrative, in sostegno al sindaco uscente Luigi De Magistris merita un inquadramento strategico complessivo perché è un dato tutt’altro che scontato per una forza radicalmente antagonista al quadro politico dato come la nostra impegnarsi elettoralmente in appoggio dell’esperienza amministrativa della terza città d’Italia, quindi una metropoli nel “ventre della bestia” dell’imperialismo europeo.
Dato l’impianto politico fondante di ROSS@, basato sulle parole d’ordine dei NO all’UE, all’Euro e alla N.A.T.O., la domanda di fondo cui rispondere è semplice: perché riteniamo coerente con tali premesse politiche appoggiare un’amministrazione che, in effetti, non è espressione di una soggettività politica che le condivide appieno?
Noi riteniamo di sì e lo facciamo, per davvero, basandoci su un’analisi senza veli e concreta della situazione concreta, che si è determinata a Napoli alla fine dell’esperienza del centrosinistra tradizionale coi 5 anni di consiliatura di De Magistris
Innanzitutto bisogna rimarcare che l’esperienza amministrativa napoletana, da un punto di vista di classe, è imperniata non sulla classe lavoratrice, bensì sulla piccola borghesia e riflette appieno la condizione e l’attitudine politica di questo strato sociale allo scoccare degli 8 anni di crisi nel contesto di una città che già in precedenza era una vera e propria bomba sociale e la cui grande borghesia è ancora più disgregata e priva di una qualsiasi ipotesi di egemonia rispetto a quello del resto d’Italia.
Come abbiamo ribadito in premessa, dopo una prima fase in cui il riferimento politico dell’amministrazione era rappresentato dalla ricostruzione di un centrosinistra in chiave più progressista e moralizzata rispetto a quanto proposto dal PD di allora, in una sorta di ennesima riedizione del girotondismo le cui capitali dovevano essere proprio Milano, Napoli e Cagliari (sindaci “arancioni” si definivano allora, in una sorta di non sappiamo quanto volontario richiamo alle nefaste “rivoluzioni colorate” di segno reazionario che insanguinano a scadenza regolare i paesi dell’est), l’incedere della crisi, segnato dai sempre più pervasivi meccanismi di “pilota automatico” a guida europea che hanno schiacciato in particolar modo gli enti locali, ha modificato le carte in tavola facendo divergere in direzioni politiche completamente opposte, non a caso, le due città.
Da un lato Milano, cuore del padronato italiano e città dal reddito medio di livello “europeo” (inteso come nucleo duro dell’UE), ha visto un’evoluzione della propria amministrazione come modello di gestione del territorio su misura per le esigenze del grande capitale, in termini di gentrificazione e repressione; dall’altro, l’amministrazione napoletana, su impulso particolare del Sindaco, ha avuto una forte svolta a sinistra, specie a seguito dell’accerchiamento politico di cui è stata fatto oggetto con le vicende della sospensione per via della cosiddetta Legge Severino, del commissariamento per la cosiddetta riqualificazione di Bagnoli e della procedura di pre-dissesto cui è stato sottoposto il Comune dalla Corte dei Conti.
Specie da quest’ultima vicenda, che rappresenta un po’ la dimostrazione pratica del “pilota automatico” cui sono sottoposti gli enti locali per esigenze di bilancio, l’amministrazione ne è uscita senza mettere in atto alcuna iniziativa anti-sociale di quelle che gli venivano imposte e/o suggerite (licenziamenti, svendita del patrimonio, dismissione delle aziende partecipate ecc.), questo anche grazie alla saldatura cercata e messa in atto con il sindacalismo conflittuale, molto attivo in questi comparti.
Sulla stessa linea, poi, è avvenuta la saldatura con i movimenti che da anni si battono contro la gestione a fini speculativi e per un recupero popolare dell’area dell’ex-Italsider di Bagnoli/Coroglio e con tutti gli altri movimenti di lotta della città, che trovano nell’amministrazione un valido interlocutore, pur nella reciproca e necessaria autonomia. Una opposizione, quella contro il commissario, Salvo Nastasi, imposto autoritariamente da Renzi che rappresenta un punto d’onore politico della battaglia dell’amministrazione di Luigi De Magistris.
Tutto ciò ha creato un clima tale in città da far sì che essa sia diventata la “capitale dei movimenti”, dove trovano spazio occupazioni a fini politici, abitativi, sociali e culturali, le quali ravvivano il quadro cittadino, dando vita ad un embrione di democrazia partecipata (al di là della concezione formalistica della stessa che segnava i primi mesi di amministrazione) e rendendolo un’obiettiva anomalia rispetto al quadro normalizzato del resto d’Italia, in primis delle altre grandi città (si pensi a Milano, di cui si è già parlato, Roma, commissariata da prefetti e poliziotti, e Bologna dove gli occupanti di case e strutture sono spesso sgomberati e repressi).
Ovviamente non bisogna illudersi, questi sono elementi che riguardano una parte ancora minoritaria della classe lavoratrice e dei settori popolari della città che, stretti dalla crisi, continuano ad essere spoliticizzati come accade ovunque; tuttavia, d’altra parte, non si può trascurare il fatto che essi costituiscono un “humus” entro il quale le forze di classe possono agire, avendone l’agibilità, per far fiorire un movimento di massa molto più ampio che affronti l’intero arco delle contraddizioni sociali.
Accanto al rapporto con i movimenti appena descritto, De Magistris ha col tempo sviluppato, seppur in maniera non sistematica, dei riferimenti internazionali interessanti, quali i paesi dell’ALBA, specie nei rapporti fra istituzioni e movimenti sociali (inoltre con il Venezuela era in piedi un tentativo di intavolare un rapporto bilaterale, bloccato dal Ministero degli Esteri) e altre esperienze europee poi rivelatesi molto meno interessanti, come Syriza e Podemos.
Accanto a ciò, il Comune di Napoli si è reso anche protagonista di singoli atti di solidarietà con la causa palestinese e contro la tendenza alla guerra (la delibera sulla denuclearizzazione del porto di Napoli nei giorni che hanno preceduto il corteo No Trident e l’adesione alla giornata No War del 16 gennaio scorso indetta dalla Piattaforma Sociale EUROSTOP).
Sono da registrare, inoltre singoli atti di solidarietà con la causa palestinese come la concessione della cittadinanza onoraria ad Abu Mazen.
ROSS@ ha un giudizio critico verso la linea di condotta dell’Autorità Nazionale Palestinese ma questo atto è stato importante per il suo carattere fortemente simbolico contro i rigidi schemi della politica istituzionale che in questo settore sono tutti subalterni al ruolo di Israele e della sua funzione colonizzatrice nell’area mediorientale. In questo contesto, anche l’inaugurazione della sede consolare ufficiale della Federazione Russa a Napoli è stata colta in pieno dall’Amministrazione, proprio nel pieno della campagna delle sanzioni alla stessa Federazione da parte dell’Unione Europea , quale costruzione di un ponte di pace verso un pezzo fondamentale del mondo, dal quale, sia come lavoratrici e lavoratori, sia come turisti, si muovono verso Napoli e la Campania decine di migliaia di persone. Ed ancora la concessione della cittadinanza onoraria al leader del PKK, Abdullah Ocalan, e la sottoscrizione di un Accordo tra il Sindaco di Napoli ed il co-presidente del Cantone di Kobane sono atti che segnano positivamente il profilo di questa amministrazione.
I richiami alle esperienze progressiste estere di cui si è appena parlato, hanno portato, inoltre, De Magistris a sviluppare una sorta di ideologia delle autonomie in base alla quale Napoli potrebbe amministrarsi facendo leva sulle proprie risorse interne e autogestirsi da sola.
Questo dato se da un lato è riflesso del suo isolamento politico e dà impulso al carattere di anomalia dell’esperienza amministrativa, dall’altro può rompere ogni dinamica di autonomismo forte (non devolviamo nulla allo stato centrale e facciamo tutto da soli) e dar luogo ad atti amministrativi innovativi, quali l’eccessivo ricorso al terzo settore per coprire la mancanza di fondi atti a garantire servizi pubblici (sui quali, invece, va fatta la battaglia politica contro lo stato centrale e l’UE, anche a costo di sfondare i vincoli di bilancio), con tutti gli annessi e connessi che ciò comporta in termini di necessario incrudimento dello scontro.
Il quadro ideologico dell’amministrazione napoletana che si è provato a delineare si configura, come si può capire immediatamente, come profondamente inorganico e anche, in parte contraddittorio, non avendo, essa, alcuna area politica di riferimento (cosa di cui, sbagliando, Luigi De Magistris se ne fa vanto) e, quindi, un’intellettualità organica cui fare riferimento. Tale condizione è conseguenza, in massima parte, al deserto politico della sinistra storica di questi anni e alla mancanza di organizzazioni degne di questo nome le quali avessero funzione di orientamento nella crisi e nella scomposizione della classe lavoratrice, la quale agisce con particolare profondità, nell’area urbana di Napoli per la particolarità che questa riveste nella divisione internazionale del lavoro.
Ovviamente ciò non è privo di conseguenze. Anzi questa condizione è foriera di continue oscillazioni da parte dell’amministrazione, la quale costantemente si deve dibattere nella contraddizione tra la propria vocazione a difendere gli interessi popolari, maturata con l’incedere della crisi (e quindi non ancora strutturata), e la necessità di tenere un profilo “istituzionale”, e quindi non essere conseguente fino in fondo con tali premesse.
Naturalmente sappiamo, materialisticamente, che l’esito di tale contraddizione (conflitto di classe su scala metropolitana) non è affatto scontato, come ovvio.
Qui entra in gioco l’ipotesi di rappresentanza degli interessi del blocco sociale antagonista. Riteniamo che chi, come noi, adotta il metodo di lavoro di porre propri obiettivi politici generali, ovvero la rottura radicale con il proprio imperialismo, condensata dalle parole d’ordine “No UE, NO Euro, No N.A.T.O.”, per ricostruire un’ipotesi di transizione socialista, non agitandoli soltanto in maniera ideologica, non possa esimersi dal curare le scadenze elettorali elaborando la giusta tattica e, nella fattispecie sostenere, pur con un proprio autonomo punto di vista, la candidatura di Luigi De Magistris in vista delle prossime elezioni comunali.
Si tratta di valorizzare il valore di anomalia positiva insito in quest’esperienza, di dare l’agibilità al sindacalismo conflittuale ed ai variegati movimenti di lotta di giocarsi una partita autonoma all’interno della città per proteggere ed ampliare gli standard occupazionali (senza alimentare il collateralismo sindacato-amministrazione o, addirittura, sindacato-sindaco nella pratica sindacale quotidiana, tenendo chiara la differenza dei ruoli) e, perché no, anche per parteciparne agli indirizzi strategici e, in generale, per svolgere una funzione che tenga ferma la barra degli interessi popolari pur nella limitatezza dei poteri degli organi dell’ente comunale.
Questa nostra attitudine non è imperniata alla abituale logica della “limitazione del danno” cui ci hanno abituato i partiti della sinistra storica, bensì, date le premesse politiche degli ultimi anni di amministrazione, c’è la possibilità concreta di aprire spazi di agibilità politica riguardo la rappresentanza del blocco sociale.
Ovviamente, non sarà una passeggiata e il percorso politico sarà accidentato.
Le contraddizioni sono tante e sono state in parte delineate e, in ogni caso, l’appoggio all’amministrazione sarà, eventualmente, in ogni momento revocabile in maniera momentanea o definitiva (in Consiglio Comunale e nelle piazze).
In ogni caso la nostra condizione fondamentale è mantenere il carattere di rottura rispetto alle compatibilità dettate della troika, l’autonomia rispetto al quadro politico padronale, la priorità assoluta degli interessi popolari rispetto ai vincoli di bilancio, l’implementazione reale di meccanismi di partecipazione popolare (senza, ovviamente, pretendere di creare modelli perfetti).
Permanendo tali condizioni (il che sarà dettato anche da eventi non dipendenti da noi), l’esperienza napoletana può davvero qualificarsi come parte di quel fronte popolare che,ora, attraverso la campagna EUROSTOP, i compagni di ROSS@ da sempre evocano come step iniziale per la costruzione di un movimento che davvero può alludere alla rottura dell’Unione Europea a favore della creazione di un’alternativa euro/mediterranea.
Tale progetto politico può essere favorito anche dalla posizione geografica della città e dalle connessioni che essa consente di creare. Inoltre, il proseguimento di un’amministrazione di questo tipo potrebbe avere impatto sul panorama politico nazionale, nel senso che potrebbe aprire uno spazio di rappresentanza politica che, al momento, a parte Napoli, nel resto d’Italia è sostanzialmente precluso dall’imperante normalizzazione, dal ruolo di collettore di ogni tipo di dissenso assunto dal M5S e dai residui del continuismo istituzionalista di ciò che residua della sinistra radicale storica.
Per queste motivazioni non ci interessa condividere questa esperienza in una Lista che al suo interno ed alla cui direzione sono collocate quelle espressioni della Sinistra rinunciataria e sconfitta degli ultimi anni.
La sinistra cui noi vogliamo dare vita, è sinistra di classe, socialmente ed ambientalmente sensibile alle grandi contraddizioni del nostro tempo, autenticamente meridionalista, senza nostalgie per carrozzoni clientelari di nessun genere, anzi determinata a costruire, anche con lo sganciamento tra diritto al reddito e diritto al lavoro, condizioni di effettiva presa di coscienza delle classi oppresse e depredate di se stesse.
Una Sinistra che guarda al blocco sociale e non alle alchimie politiciste ed, in sintesi, profondamente compatibiliste con gli attuali rapporti sociali vigenti.
Del resto anche il richiamo – tutto formale se non addirittura strumentale – ad alcune esperienze di tipo “municipalistico” di altri paesi ci appare come una sorta di foglia di fico utile ad ammantare strumentalmente una proposta senza progetto.
Un discorso a parte andrebbe aperto sul perché il Partito Democratico – partito sistema della troika – trova così grandi difficoltà nelle elezioni comunali non solo ad esprimersi come tale, ma addirittura a trovare i candidati sindaci (Napoli è capofila anche di questa tendenza, con la riproposizione di Bassolino e l’eterna querelle sulle Primarie).
Ma su questo è necessaria un’elaborazione più puntuale che tenga corpo di come le contraddizioni e le questioni che si addensano nella nostra città dilaniano anche le forme tradizionali del ceto politico di comando provocando frantumazioni e scomposizioni di tipo inedito.
Alcuni aspetti di programma su cui confrontarci auspicando elaborazioni e contributi più specifici da elaborare e raccogliere in work in progress:
a) l’idea e la qualità di città dentro la moderna crisi urbana:
Una delle forme in cui la politica può diventare città è il progetto della manutenzione urbana. Questa pratica (tematizzata in Italia da Gianfranco Dioguardi) può essere volano dell’occupazione, modalità per una città antica come Napoli di guardare alla sua storia, di gestire il suo rapporto con l’assetto idrogeologico e vulcanico, di creare una continua partecipazione democratica riguardo al suo assetto.
Napoli è una città antica, che la Natura ha illuminato ma ha anche devastato. Un vulcano ancora attivo, una caldera puteolana sull’orlo dell’esplosione le cui immagini vengono continuamente rimosse nell’inconscio e nell’imprevidenza.
Napoli è una città che si è continuamente costruita svuotando la collina sulla quale giace. E questo svuotamento l’ha resa elastica e porosa, in modo da adattarsi ai terremoti che s sono succeduti nel tempo.
Tuttavia questa istintiva duttilità è stata spesso sfruttata e frustrata dall’avidità di una classe dirigente profondamente antisociale che al tempo stesso è stata anche incapace di svolgere il suo compito storico.
Da questa vera e propria sventura storica partono le ferite che attraversano la città e la ricongiungono con le sue martoriate periferie e con la conurbazione dei comuni dell’area metropolitana.
La manutenzione urbana concepisce la città come un tutto in perenne interazione con le parti e dove passato e presente si sovrappongono dinamicamente. Essa può partire dalla rispondenza delle strutture edili della città con il rischio sismico e dunque da una mappatura della situazione degli edifici della città, spesso fatiscenti e ad alto rischio per chi ci abita. Già questa mappatura sarebbe una grande occasione di impiego per i giovani di questa città. L’intervento successivo sarebbe volto ad assicurare una maggiore sicurezza sismica degli abitati e anche questo sarebbe un volano per l’occupazione e per un generale miglioramento della qualità cittadina dell’area metropolitana.
In un secondo momento si potrebbe pensare ad una mappatura culturale ed artistica della città che sappia catalogare quell’immenso museo a cielo aperto che è Napoli. Da qui si potrebbe pensare ad un continuo processo di manutenzione della città, manutenzione che sarebbe anche un continuo riadattamento del vecchio nei confronti del nuovo ed un misurarsi del nuovo rispetto al vecchio.
Tale esigenza di armonizzazione urbanistica tra la storia della città ed il suo futuro risulta importante in quanto questo confronto più che vincolare la città al suo passato tenderebbe possibile un filo unitario che assicuri anche la razionalità dell’intervento architettonico ed urbanistico. Con la frenesia dell’innovazione tecnologica, il passato non è più un periodo da cui ci si può distanziare ma è di volta in volta il nostro presente.
Quindi il senso storico non è più un vincolo ma uno strumento per dare ritmo al cambiamento, un ritmo rispettoso dei bisogni dei più deboli, dei lavoratori, dei bisogni specificamente umani, perché sia sempre più un cambiamento agito e non più subito e dettato dai tempi della parossistica accumulazione capitalistica.
b) la centralità della Questione Sociale nella lotta alla criminalità organizzata.
Dopo decenni di evidenti fallimenti di tutte le strategie anticamorra basate esclusivamente sulla centralità degli aspetti repressivi e militari è ora – particolarmente a Napoli e nella sua area metropolitana – di affermare che non è possibile sconfiggere definitivamente il crimine organizzato se non si da la giusta centralità alla Questione Sociale ed alle sue ricadute concrete.
I nostri quartieri – quelli della periferia ma anche quelli collocati al centro della città (Forcella, la Sanità, i Quartieri Spagnoli) – e l’ intero nostro territorio metropolitano continuano ad essere un area in cui tutti gli indicatori statistici, compresi quelli governativi, segnalano la forte permanenza di tassi di disoccupazione, di lavoro nero, malsano e malpagato e delle variegate forme di degrado umano e materiale altissimi, oltre ad un elevatissimo tasso di abbandono scolastico.
Basta scorrere le cronache quotidiane e si assiste ad una perversa spirale di morte, di lutti, di miseria morale ed esistenziale, di assenza di diritti e di democrazia e – soprattutto – avanza la paura ed il terrore che modifica stili di vita e relazioni sociali ed umane.
Alla abituale disoccupazione di tipo strutturale, che da sempre permane nel Sud Italia, si sono aggiunte tutte le variegate gamme della cosiddetta arte di arrangiarsi la quale – al di là di ogni formalismo nominalistico e di presunto folkore – sono riconducibili alla complessa filiera economica della criminalità organizzata.
Lo spaccio di droga, il racket, la prostituzione, il circuito delle scommesse, il contrabbando, la filiera dell’industria del falso e quella dell’usura sono – comunque – consistenti rivoli economici che se da un lato garantiscono una sorta di reddito e di salario a consistenti settori di popolazione dall’altro sono meccanismi economici per la criminalità ma anche – e questo dato bisogna ribadirlo – per ampi settori della cosiddetta economia legale che, come hanno evidenziato anche alcune inchieste giudiziarie, continua ad essere intrecciata ed integrata con l’economia criminale.
Infatti è dalla accertata commistione tra l’economia “legale” e quella “illegale” che nasce quella economia/grigia che, a Napoli, coinvolge gran parte della società cittadina e regionale creando quella commistione, anche culturale, che alimenta il crimine nelle sue infinite manifestazioni.
Con questa premessa, di metodo e di sostanza ROSS@ ha sostenuto le mobilitazioni di questi mesi in città ed il protagonismo di associazioni, parroci e gruppi giovanili che in molti quartieri si sono ribellati al clima di paura e di imbarbarimento dilagante.
In tal senso siamo persuasi che ogni tentativo di ostacolare seriamente la criminalità deve avere al centro la Questione Sociale e la battaglia per affermare la sua materiale centralità nella società.
Nei mesi scorsi in Campania è stata avviata da un ampio arco di forze politiche e sociali una significativa iniziativa che intendiamo sostenere la quale, se ben articolata e generalizzata in tutti i territori, può suscitare quegli anticorpi sociali che possono ostacolare la diffusione della camorra e delle sue lusinghe attrattive nei confronti delle giovani generazioni.
E’ stata elaborata una proposta di Legge di Iniziativa Regionale per istituire un Reddito Minimo Garantito (www.redditominimocampania.org) la quale ha suscitato interesse e mobilitazione attorno ad uno snodo fondamentale della lotta alla precarietà, alla disoccupazione ed all’esclusione sociale.
Una proposta di legge costruita dal basso, attraverso meccanismi di discussione condivisi e collettivi, che vuole offrire un elemento di dignità certo e di possibile riscatto economico alle migliaia di giovani e meno giovani che soffrono la condizione della disoccupazione, dell’espulsione dal circuito produttivo e dei micidiali effetti del complesso delle politiche economiche e sociali del governo le quali – al Sud soprattutto – hanno ulteriormente peggiorato le condizioni di vita e di lavoro dei settori popolari.
Una proposta che – almeno nelle intenzioni nostre e di tutti i promotori – vuole essere un vero e proprio antidoto collettivo, di carattere culturale, materiale e di prospettiva, alle suggestioni che la criminalità muove verso le giovani generazioni le quali – nell’inferno delle nostre periferie e nel degrado dei nostri quartieri – possono abboccare al fuorviante fascino dei codici camorristici.
L’obiettivo del Reddito Minimo Garantito, come è descritto nell’articolato legislativo approntato e su si sono raccolte oltre le 10000 firme necessarie, si colloca oltre l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali il quale, a seguito dei tagli del governo e dei diktat economici dell’Unione Europea, è sempre più ristretto a poche figure sociali ed esclude consistenti fasce di disoccupazione e di settori popolari colpiti dai fenomeni ascrivibili alle nuove povertà metropolitane.
Lottare – quindi – contro la criminalità e contro la camorra, battersi affinché nei nostri quartieri non scorra più sangue è un obbiettivo che tutti dobbiamo assumere e praticare da subito.
Ma questo impegno se non vuole diventare, anche inconsapevolmente, un vuoto esercizio di retorica o di ipocrisia deve caratterizzarsi socialmente per liberare i quartieri dalla paura, dalla miseria, dal degrado e per favorire un vera rinascita popolare.
c) Economia, società, politica
Lo scenario, dentro la crisi complessiva del sistema- Italia, strozzato, anche nei suoi strutturali deficit, dal rigore finanziario della UE per il Sud/Italia e per Napoli è molto pesante.
Sono stati questi dati a spingere vari esperti a parlare di una chiara tendenza alla desertificazione industriale e produttiva del nostro Meridione.
Ciò significa che anche l’ enfasi che impulsata da Renzi e dallo stesso Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, sul basso livello d’ impiego delle risorse provenienti dai Fondi Strutturali è eccessiva e fuorviante sia perché questi Fondi, soprattutto dopo l’ allargamento ad Est dell’ Unione Europea, sono insufficienti, sia perché non sono accompagnati da una politica economica di tipo espansivo.
Naturalmente siamo interessati ad una gestione trasparente dei Fondi in questione per le importanti attività che ne possono derivare ma siamo altresì impegnati, unitamente al sindacalismo conflittuale ed ai movimenti di lotta, affinché l’uso dei Fondi Europei sia orientato ad una forte finalizzazione sociale.
Su quest’ aspetto il Comune di Napoli dovrà svolgere una funzione di pressione, di condizionamento e di indirizzo – anche attraverso strumenti vertenziali – verso la Regione Campania e verso il collaudato sistema di interessi affaristico che, da sempre, utilizza queste risorse a scapito dei settori popolari.
Nelle nostre denunce politiche riportiamo spesso dati riferiti alle percentuali d’ impiego di spesa per investimenti delle imprese “pubbliche” nazionali, per quelle locali la situazione è anche peggiore perché il divario tra le due macroaree del Paese è maggiore:
al Sud, infatti c’è soltanto il 14,8% del totale degli investimenti delle imprese pubbliche locali che in termini assoluti significa 1 miliardo di euro e 259 milioni contro i 7 miliardi e 248,8 miliardi del Centro-Nord.
Abbiamo riportato l’ insieme di questi dati anche per comprendere in maniera più approfondita il contesto socio-economico in cui vengono a cadere gli ulteriori tagli/accorpamenti alle Società Partecipate – particolarmente sul versante regionale – che se non sono attivamente contrastati aggravano una situazione già pesante.
In questo contesto la futura amministrazione di Napoli sarà chiamata a compiti ed a scelte dirimenti: o si accetterà la filosofia dell’austerity e delle privatizzazioni oppure, in forme e con modalità anche di tipo inedito, occorrerà trovare le forme, in sintonia con le mobilitazioni sociali, di rompere con la gabbia dei tetti di spesa, dei presunti “patti di stabilità” e dell’insieme di norme che strangolano le amministrazioni locali, le condizioni di vita e di lavoro degli addetti e la generale qualità dei servizi sociali da erogare.
In questo ragionamento concreto si colloca la debolezza strategica del prevalente utilizzo del cosiddetto Terzo Settore.
Per le politiche sociali, riprendendo anche qui un metodo d’ analisi una volta familiare alla sinistra, partiamo da qualche dato strutturale per comprendere un divario particolarmente forte in termini di risorse umane e finanziarie nel settore del privato sociale che determina un diverso ruolo dello stesso rispetto all’ intervento pubblico in tale campo.
Le fonti SVIMEZ ci segnalano che nel Centro-Nord sono 555000 unità addette al “no profit”, contro circa 126 mila al Sud (appena il 18,5% del totale, largamente inferiore al peso percentuale della popolazione meridionale); nelle Regioni Centro-settentrionali le entrate delle istituzioni “no profit” sono di oltre 56 miliardi di euro, le uscite di 49,7 miliardi, nelle aree meridionali, invece, non raggiungono gli 8 miliardi con uscite di circa 4 miliardi di Euro.
Questi dati determinano una situazione inequivocabile: la debolezza del privato sociale al Sud comporta che il welfare pubblico, a differenza che al Centro-Nord, ha un ruolo nemmeno parzialmente sostituibile nella garanzia dei diritti di cittadinanza.
Perciò, riteniamo paradossale ed allarmante che organismi gestionali di diritto pubblico come le Aziende Speciali dei servizi alla persona siano più diffuse al Centro-Nord che al Sud
I dati descritti sono stati alla base della nostra opposizione ad ipotesi di “spacchettamento” di “Napoli Sociale” e della richiesta di una sua trasformazione in Azienda Speciale su cui abbiamo intenzione d’ insistere.
Sugli interventi da fare nei servizi a rete c’è molto da discutere e da approntare.
Sicuramente la costruzione di ABC (Acqua Bene Comune), la società di servizio idrico, è un punto fermo sia per quanto riguarda l’importante settore e sia come valore fortemente simbolico all’indomani di una vittoria referendaria che viene costantemente attaccata e svuotata da molti (specie del Partito Democratico) che, demagogicamente, blaterano di acqua come bene comune mentre, in realtà, brigano per privatizzare-esternalizzare-appaltare il servizio.
Non è un caso che Luigi De Magistris non ha avuto dubbi nello schierarsi, assieme ai movimenti di lotta, contro il recente disegno di legge dell’amministrazione regionale di De Luca il quale, con un lessico ammantato di bugie punta, di fatto, alla privatizzazione dell’acqua a scala regionale.
Su molti di questi temi specifici – come ROSS@ – abbiamo, assieme ad altri compagni, costruito, circa un anno fa, un interessante Convegno nell’ambito della campagna politica del Controsemestre Popolare (contro la presidenza italiana dell’Unione Europea) ai cui atti richiamiamo .
Intanto, per comodità di esposizione e di sinteticità, sottolineiamo alcuni elementi guida che non compongono, assolutamente, un programma compiuto ma sono elementi di linea che servono per evidenziare il taglio sociale e programmatico della nostra partecipazione alla campagna elettorale.
Difesa del lavoro, difesa del diritto alla mobilità, qualità ambientale, tutela del diritto all’abitare e alla fruizione di efficienti servizi sociali sono l’architrave di una amministrazione attenta ai settori popolari e non all’imperante logica dell’impresa e del mercato.
Per il trasporto pubblico locale, pensiamo che insieme a quello del ciclo dei rifiuti, sia uno dei settori dove occorre maggiormente ragionare in un’ ottica metropolitana.
Da ciò la proposta di Azienda Unica di Trasporto per la mobilità che potrebbe passare anche per una ristrutturazione della holding napoletana in quanto l’ accorpamento del trasporto su gomma e di quello su ferro ha una sua convenienza quando sono all’ interno di un’ unica Azienda, invece, non creano “economie di scala” quando sono in Aziende diverse sia per la notevole differenza dei costi fissi tra le due tipologie di trasporto (nel trasporto ferroviario, com’è noto, i costi fissi sono maggiori di quello su gomma) sia perché molto più difficilmente possono mettersi in comune fattori produttivi delle diverse produzioni.
Insomma, “l’attenta analisi da parte delle Regioni nella definizione dei perimetri dei bacini territoriali ottimali” e, aggiungiamo, dei lotti non sembra essere stata attuata dalla Regione Campania soprattutto perché, per motivi ideologici ed economici si è scartata l’ ipotesi, sicuramente più conveniente dell’ affidamento in house per l’ area metropolitana.
L’ esempio dell’ Azienda Unica metropolitana per il TPL è significativa del fatto che noi non siamo per una “difesa statica” delle Partecipate, che non abbiamo obiezioni di principio sugli accorpamenti, tuttavia essi non debbono essere un paravento dietro cui tagliare servizi e produrre esuberi.
Diversamente si pone la questione del rapporto tra i vari segmenti del TPL per la politica tariffaria che ha una sua autonomia e che, tendenzialmente, deve sempre mirare ad integrazioni tariffarie per favorire l’ utenza e, da questo punto di vista, la pur imperfetta esperienza di UNICO non andava abbandonata come si è concretizzato negli ultimi mesi. Altro aspetto della nostra proposta, cui pure facciamo riferimento nel citato materiale preparatorio del Convegno è quello che si “salti” il passaggio dei trasferimenti nel bilancio regionale per farli affluire direttamente a quello della Città Metropolitana e del Comune di Napoli.
Ciò, allevierebbe la situazione finanziaria delle aziende dei trasporti dovuta anche al ritardo dei trasferimenti che li espone alle spese delle anticipazioni bancarie.
Del resto, questa è una richiesta che, ad esempio, di recente, la Conferenza Unificata, nella seduta dello scorso 25 settembre, ha portato avanti rispetto all’ afflusso delle risorse provenienti dai mutui per l’ edilizia scolastica e l’ edilizia residenziale universitaria “nell’ ottica dell’ accelerazione e semplificazione”.
Non vorremmo che un Governo che parla a destra e a manca di “semplificazione” dimenticasse un punto simile, altrimenti si potrebbe pensare che si voglia mantenere anche per questa strada le Aziende pubbliche del trasporto in una situazione di difficoltà finanziaria facendo un ulteriore favore al sistema delle banche che lucrano su interessi e commissioni.
La questione del passaggio alla dimensione della Città Metropolitana dalla precedente dimensione della Provincia, ha permesso di non fare politiche di taglio dei posti di lavoro e di provare a riorientare in direzione sociale la missione di settori, che nel primitivo disegno andavano sciolti, come la Polizia Provinciale riconvertita nella lotta ai roghi tossici e non sciolta come prevedevano precedentemente.
Inoltre su temi come le politiche socio/assistenziali (vedi la vicenda di Napoli Sociale), la difesa dell’apparato industriale (la questione Alenia non solo a Nola ma anche a Capodichino, il superamento della precarietà nell’arcipelago del Privato/Sociale, l’accesso ai Fondi Europei, la positiva conclusione delle Vertenze dei lavoratori dei Consorzi di Bacino e dei Precari Bros, particolarmente nel fondamentale comparto della tutela ambientale, saranno punti discriminati su cui si misurerà e valuterà l’azione dell’amministrazione.
Ed ancora, sempre a difesa dell’occupazione, della qualità del lavoro, dei diritti dei giovani, degli immigrati e delle fasce popolari della città:
1) studiare tutte le possibilità creative del diritto e dell’amministrazione per bloccare ulteriori insediamenti della grande distribuzione sul territorio, anche aprendo conflitti istituzionali con Regione e Provincia sul punto;
2) qualificare e svecchiare, con nuovi concorsi il personale della macchina comunale spezzando anche il blocco neo/corporativo e clientelare, tra settori della burocrazia ed organizzazioni sindacali complici, annidato a Palazzo San Giacomo;
3) controllare rigorosamente la catena di appalti e subappalti a tutela dei diritti contrattuali delle e dei lavoratrici/lavoratori;
4) la cultura, partendo dagli enormi giacimenti presenti sul territorio, come risorsa economica, lavorando per non perdere una parte dei 100 milioni di Euro per il centro storico allargato di Napoli. Un uso che non sia concretizzato esclusivamente come singole ristrutturazioni di palazzi, ma con un disegno integrato e complessivo di intervento tra edilizia pubblica e privata;
5) valorizzare per davvero, riconoscendo loro legittimità di esperienze che si emancipano dalla logica mercantile più classica, le esperienze autogestionarie a seguito di occupazioni, che costellano la realtà napoletana e metropolitana;
6) una gestione pubblica, non aziendalistica, già nella scelta del management, partecipata con strumenti nuovi tra utenti e lavoratori, delle società partecipate, recuperando per questa strada anche il gap tra le promesse di promuovere la partecipazione diffusa e le scarsissime, concrete realizzazioni;
7) il recupero dell’Albergo dei Poveri, quale moderna officina delle arti e dei mestieri sottraendolo agli appetiti del partito del cemento e della lobby dei costruttori. Una politica metropolitana per il diritto all’abitare estendendo e generalizzando i contenuti della delibera dell’amministrazione comunale recentemente approvata anche a seguito della lotta degli inquilini del complesso “Opera Pia Franciosa” del quartiere Ponticelli seguita dal sindacato ASIA/USB;
8) turismo sociale, di qualità, a rete, coinvolgendo appieno giovani laureati, guide turistiche, appassionati del proprio territorio, e fasce sociali deboli che cercano il reinserimento sociale;
9) la città, piazzette, fontanine, monumenti, piccoli musei, centri sociali, biblioteche, scuole, asili nido e facoltà universitarie, gestita a misura dei suoi abitanti, dai suoi abitanti, oltre ogni ristrettezza burocratica e di fondi per avviare, per davvero, quella fruizione sociale e quell’agorà metropolitano che è il dato costitutivo per vivere correttamente la metropoli, rifuggendo da egoismi, razzismi, forme di sessismo, omofobia ed exnofobia;
Ci fermiamo, qui, perché questo documento non è né il libro dei sogni, né un programma rivoluzionario ma, molto più modestamente, un contributo, ancora da articolare ed arricchire ulteriormente, per sostanziare una attitudine di classe nella prossima campagna elettorale napoletana.
Alleghiamo, infine, una Scheda sulla discussione, non semplice, attorno agli snodi afferenti i temi della democrazia partecipata e le forme del protagonismo popolare. Anche su tale, complesso, tema facciamo un avvertenza preliminare, rivolta prima di tutto a noi stessi: su questo terreno, che concepiamo non come una dotta astrazione ma come uno spazio di lotta reale, non esistono modelli prefigurativi da emulare o da assumere in toto. Esistono soglie culturali e politiche da raggiungere e strumenti organizzativi da sperimentare anche attraverso esperienze nuove ed inedite.
La democrazia partecipativa
Al momento della sua elezione a sindaco della città di Napoli, Luigi De Magistris ha rappresentato per molti cittadini una speranza di maggiore partecipazione democratica e di maggior controllo dal basso delle decisioni politiche ed amministrative del Comune. Alle elezioni comunali si presentò anche la lista “Napoli è tua” che ottenne un buon consenso e che rappresentava un po’ i pasdaran di questo nuovo corso, i quali entusiasti si misero all’opera per realizzare questa sorta di piccola utopia politica.
Ovviamente però il rapporto con la realtà ha disilluso molti e questo ha provocato anche defezioni politiche di una certa importanza che hanno portato addirittura alla formazione di nuovi gruppi consiliari. Alla base di tale processo possiamo individuare essenzialmente due ragioni tra loro apparentemente alternative ma che in realtà sintetizzate e bilanciate tra di loro possono darci qualche indicazione sia per fare un’analisi del primo mandato di De Magistris sia di precisare qualcosa sulle condizioni che possono consentire a Luigi De Magistris di giocarsi una opzione decorosa per un secondo mandato.
La prima ragione è che De Magistris rappresenta, sostanzialmente, un orientamento essenzialmente populista in cui ai proclami tendenzialmente di sinistra (in parte realizzati nel corso dei cinque anni) corrisponde però una gestione plebiscitaria all’insegna dell’istinto e dell’umoralità. Questa gestione era tesa, allo scopo di mantenere un consenso trasversale e non facilmente rappresentabile, a scavalcare i vincoli tecnici che il proprio staff (a dire il vero privo di quello slancio capace di superare gli stretti argini del compatibilismo) tendeva a porgli nel corso della sua azione amministrativa. Al tempo stesso la tendenza plebiscitaria, invece di promuovere una reale partecipazione democratica dal basso, creava una sorta di consenso acritico a tutto vantaggio dell’amministrazione escludendo alcune voci critiche.
La seconda ragione (che determina storicamente la prima rivelandone aspetti inediti) è che il consenso attorno a De Magistris non era indipendente dall’ideologia legalitaria che favoriva l’adesione al partito a cui egli si era inizialmente collegato ovvero l’Italia del Valori di Antonio Di Pietro. Tale ideologia voleva in qualche modo applicarsi a tappeto a tutti i processi che caratterizzano la società di oggi mettendo nello stesso calderone la corruzione politica, la delinquenza organizzata, il piccolo cabotaggio del sottoproletariato urbano, l’azione sindacale tesa alla tutela dei diritti dei lavoratori del settore pubblico e l’azione dei movimenti che cercano di stabilire un nuovo rapporto tra istituzioni e società civile.
L’intuizione di De Magistris, grazie anche alla collaborazione di Alberto Lucarelli e la sua concezione dei beni comuni, è stata che una interpretazione strettamente legalistica dell’amministrazione dovevo piuttosto essere sostituita da una pratica di dialogo con i movimenti sociali e con la possibilità di partecipazione dal basso anche legata alla valorizzazione di spazi pubblici generalmente abbandonati o mal utilizzati. Il “tradimento” di parte di una quota del suo elettorato e di alcuni soggetti a lui legati dalla prima ora amministrativa è stato anche la conseguenza di questa svolta/mutamento/avanzamento politico.
Il punto però è che questo dialogo rischia di diventare una nuova forma di consociativismo che, sia pure ben lontano da quello che favorisce la corruzione sia della società che del livello istituzionale, costituisce un problema dal momento che potrebbe alimentare una nuova forma di dipendenza della società dalla politica se, a partire dagli stessi movimenti di lotta, non prende corpo una nuova stagione di protagonismo incardinato ad una rigorosa autonomia ed indipendenza politica e culturale.
De Magistris, la sua esperienza politica ed amministrativa è, dunque, ad un bivio: o il suo populismo avvolgente renderà anche la sua base stordita dall’ovatta istituzionale e dunque incapace di riformare la società e di generare autentico consenso verso il suo tentativo innovatore oppure dovrà trovare una sintesi tra la capacità di intuire istintivamente i processi di rinnovamento e quella di stabilire nuove regole trasparenti per la gestione dei processi sociali. L’abbraccio avvolgente del suo populismo dovrà fare posto ad una maggiore autonomia dei soggetti in campo e ad una maggiore rilevanza del conflitto nello stabilire un nuovo diritto del Comune.
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