L’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha ricostruito e concluso con una serie di mandati di cattura venticinque anni di attentati all’ambiente, che chiamano in causa il ciclo delle ecomafie conosciute attraverso le dichiarazioni dei pentiti e le perizie degli esperti, perizie che hanno quantificato il danno al territorio e indicato una data per la catastrofe: il 2064, quando il percolato accumulato nelle discariche precipiterà nella falda inquinando acqua, terra, vegetazione, animali, uomini.
L’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Anita Polito ed eseguita dagli uomini della Dia di Napoli, contiene un elemento di novità. Per la prima volta il reato di disastro ambientale è stato contestato a un capomafia, Francesco Bidognetti, condannato all’ergastolo perchè ritenuto uno dei capi del cartello casalese. Con lui, ci sono anche il cugino Gaetano Cerci, l’avvocato Cipriano Chianese e il subcommissario per l’emergenza rifiuti Giulio Facchi, nei cui confronti però l’ordinanza è stata rigettata. Insieme, hanno ipotizzato la Dda e il gip, i quattro hanno scientificamente pianificato e attuato dal 1989 ai giorni nostri il traffico di rifiuti chimici e industriali dal Nord alla Campania.
In questi carichi di morte che hanno attraversato da nord a sud il paese, ci sono ad esempio le 30.600 tonnellate provenienti dall’Acna di Cengio, smaltiti nelle discariche di Villaricca, Giugliano e Parete attraverso la società Ecologia 89, una società a totale capitale camorristico fondata nel 1989 e alla cui gestione partecipavano anche altri boss dei casalesi, come Francesco Schiavone-Sandokan e Antonio Iovine.
I fatti ricostruiti nel documento del gip Polito – cinquecento pagine che riassumono la storia più drammatica della Campania – sono tutti già noti, oggetto di altri processi che vedono contestati i reati fine e le singole violazioni. Noti anche i protagonisti della vicenda, a partire da Cipriano Chianese, che per gli stessi fatti è sotto processo presso la Corte di Assise di Napoli, fino a Gaetano Cerci, una sorta di ambasciatore del clan (e della massoneria controllata da Licio Gelli, di cui era una sorta di rappresentante) presso i produttori di rifiuti tossici, e Giulio Facchi, uno dei protagonisti dei guasti della gestione emergenziale fino al 2003. Ma di nuovo, e di importante, c’è la lettura unitaria del fenomeno, con la ricostruzione ragionata dei fatti che hanno segnato la gestione dei rifiuti in Campania. E con l’attribuzione codificata dei ruoli di ciascuno: organizzatori della programmazione ed esecuzione criminale delle ecomafie.
Secondo la coraggiosa giornalista di inchiesta de Il Mattino, Rosanna Capacchione (più volte minacciata e a rischio) “Bidognetti aveva fornito l’appoggio camorristico. Cipriano Chianese, prima titolare della Setri, quindi della Resit srl, società che gestivano le discariche ubicate su un’area di 21,4 ettari, assieme al capoclan e a Cerci, sarebbe stato – nella lettura della Dda – il grande ideatore del traffico, che avrebbe portato a interrare negli invasi che non erano impermeabilizzati 806.590 tonnellate di rifiuti, di cui oltre 30mila provenienti proprio dall’Acna. Quella massa di scorie ha prodotto 57mila tonnellate di percolato che lentamente sta contaminando le falde acquifere e che toccherà la punta massima di inquinamento nel 2064, quando giungerà nella falda acquifera sottostante gli invasi Resit. Gli esperti della Procura hanno calcolato che la contaminazione da percolato produrrà effetti nocivi sulle popolazione, in particolare sui bambini, ma anche sull’agricoltura, che in zona è ancora molto praticata, fino al 2080.
Uno dei capitoli dell’ordinanza è dedicato al rapporto Chianese-Facchi, oggetto di trattazione anche nel processo a carico di Chianese e riassunto pure in quello a carico dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Il caso più clamoroso è quello del 2002, quando Chianese bloccò i suoi impianti di smaltimento riuscendo ad ottenere dalla struttura commissariale, e facendo pressione su Facchi, un’autorizzazione per l’apertura, attraverso Resit, di un’altra discarica; da Impregeco e Pomigliano Ambiente, inoltre, con lo stesso sistema ottenne 10 milioni di euro. Soldi finiti nella cassa comune, una ricchezza oggi sequestrata ma che non servirà a restituire la vita alla terra inquinata”.
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