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Postcapitalismo. I limiti del capitale visti dal mondo dei dati

di Nique la police

da http://www.senzasoste.it/

A più di un decennio dall’uscita di testo ormai classico di Colin Crouch, Postdemocrazia (Laterza, 2003) ci risulta uscirà in Italia tra qualche mese la traduzione di un libro di John Mason, Postdemocracy uscito lo scorso anno per Allen Lane, la casa editrice dei celeberrimi Penguins. Il testo di Mason è stato recensito dalle principali testate britanniche, tra cui il Financial Times per mano di Gillian Tett. Paul Mason non è un accademico in senso stretto, a differenza di Colin Crouch, è responsabile delle notizie economiche di Channel 4 News, giornalista del Guardian e visiting professor all’università di Wolverhampton. Più che uno studioso marxista inglese del ‘900 ricorda figure all’incrocio di diverse discipline e competenze come Jane Chapman, regista e ricercatriche che ha scritto una stimolante Comparative Media History che purtroppo non è arrivata nel nostro paese. Nell’attesa dell’uscita del testo in italiano risulta così interessante delineare alcuni elementi di analisi. Uscendo, fin da subito, da prevedibili schemi di recezione.

Utilità

Il testo di Mason, di un giornalismo economico colto, diretto, didascalico e gradevole nello stile, una volta tradotto potrebbe fare sicuramente bene al dibattito culturale e politico in lingua italiana. Il quale ha subito forti fenomeni di regressione e di provincializzazione, nonostante seri tentativi di innovazione, fin dall’inizio degli anni ’90. Questo perchè la storia non è obbligata a muoversi ed essere leggibile secondo gli alfabeti esistenti: le società cambiano asse, le innovazioni disorientano, miriadi di pratiche silenziose mutano la morfologia della composizione sociale ignorando completamente imperativi etici ed equilibri economici.

Vale la pena di soffermarsi su questi aspetti per un paio di punti essenziali che toccano Postdemocracy: non è un testo che assegna un qualche ruolo futuro ad un ceto politico immobile, tendente alla rendita di posizione ed identitario; non è un testo morale. Il moralismo è il riflesso culturale integralista dei paesi secolarizzati di fronte alle crisi e alle trasformazioni che disorientano profondamente. Il moralismo si impone nei paesi secolarizzati così come, negli altri, si manifesta l’integralismo religioso: è il tentativo di imporre e inventare norme mentre forze, di cui non afferri nome e senso, ti disgregano il mondo circostante facendolo diventare nulla. Paul Mason in questo è molto utlle perchè va direttamente alla sostanza: parla di cicli economici, tecnologie, innovazioni squilibri ed equilibri sistemici. Una ventata di aria fresca.

Certo, Mason esce con un titolo che ha un suffisso Post- particolarmente urticante per molta recezione nazionale. Già la recezione del concetto di postmoderno, a suo tempo, ha generato equivoci impressionanti anche se, forse, inevitabili. Lo stesso Lyotard scrisse chiaramente che, sul concetto di postmoderno, ci era concentrati troppo sul tema della crisi delle grandi narrazioni. Ma in Italia si lo ridusse lo stesso a un problema di psicologia sociale, o di estetica, una questione epocale oggi più chiara che mai: la performatività delle tecnologie e dell’economia non aveva più bisogno, per riprodursi, del supporto della politica, dei partiti e delle istituzioni. Di qui l’incredulità verso le grandi narrazioni, naturalmente collegate alla politica e alle scienze sociali, incapaci di governare chi faceva, ormai in solitario, la materialità del mondo: la performatività delle tecnologie e dell’economia.

Altra serie di equivoci, più intimoriti dal suffisso Post- dopo un quarto di secolo di egemonia della cultura postmoderna, si sono generati con il concetto di postdemocrazia. Il lavoro di Crouch è una sorta di genealogia della presa del potere politico delle élite, nelle società neoliberali, rilevabile tramite il governo dello spettacolo. I tentativi di aggirare il problema posto da questa genealogia, nei commenti affascinati quanto atterriti della recezione di Crouch, non lo hanno minimamente rimosso. E chi governa lo spettacolo continua a governare la politica. E chi pensa, con grave errore antropologico, che lo spettacolo sia solo un rapporto sociale verticale, deve prenderne atto: chi è al potere se ne fa tranquillamente una ragione. Mason si può così leggere utilmente, rimuovendo qualche ostacolo cognitivo. Del resto il pensiero innova solo se questi ostacoli cognitivi li rimuove.

Il testo

Per rimuovere ostacoli cognitivi niente di meglio che andare alla lettera di quanto scritto. Quando il testo di Mason, tradotto, arriverà al lettore italiano farà l’effetto di una previsione depositata da un notaio. Conterrà infatti (pagine 20-21) delle considerazioni sull’inefficacia strutturale dei Quantitative Easing alla Draghi a partire dal primo Qe della banca federale americana, per arrivare ai comportamenti della banca centrale giapponese. In Mason si riporta infatti la condivisibile convinzione, presente in filoni di analisi anche estremamente diversi tra loro, che stampare moneta non significa far ripartire l’economia ma alimentare la finanziarizzazione della società (p.21-22). Il tutto per far ripartire, successivamente, i valori azionari. Mason ha il proprio modo per arrivarci, non solo sorretto dalla comparazione storica dei dati che, in quanto giornalista economico, ha a disposizione. Ma anche dalla propria lettura di un intreccio ben noto a tanti studiosi, non solo di economia del ‘900: quello tra Marx e Kondratiev. Intreccio che secondo Mason significa analizzare il lungo periodo che va dalla rivoluzione industriale a Lehman Brothers con due lenti: quelle della teoria delle crisi (Marx) e quella dei cicli lunghi di innovazione (Kondratiev).

23510_a_largeSenza entrare nella sterminata e controversa letteratura dei rapporti tra i due, Mason fa un uso diverso di Kondratiev, ad esempio, di quello fatto a suo tempo da Ernst Mandel: non per annunciare una nuova crisi ma per far emergere gli elementi di innovazione compresenti alla crisi. In questo senso, Mason ha gioco facile, all’inizio di Postcapitalism, a entrare in una delle sue tesi principali, descrivendo un mondo dove il botto di Lehman Brothers convive con il lancio dell’Iphone o del motore Hybrid: come negli anni ’30 crisi sistemica e innovazione tecnologica sono intrecciate e indipendenti. E non solo perchè senza l’evoluzione tecnologica la finanza globale, per come la conosciamo, non sarebbe mai esistita. Per Mason, l’assenza a sinistra di comprensione dell’importanza dei processi innovativi, alla quale ha fatto da controcanto una troppo insistita evidenziazione dei processi di crisi, ha impedito ad esempi, dagli anni ’50 di introdurre nella teoria politica della sinistra mainstream l’emergere dell’informatica. Per cui la silenziosa rivoluzione informatica, diviene “invisibile” (p.48) alla sinistra, assieme ad un altro elemento portante della rivoluzione conservatrice degli ultimi decenni del ‘900: la ristrutturazione completa dei rapporti sociali dovuta, tra gli anni ’60 e ’70, a un problema mortale per il capitalismo ovvero alla “fine del rapporto tra crescita della produttività e crescita dei salari (p.58).

Mason, in queste pagine, è molto attento a far emergere le innovazioni che sopravvivono ai cicli e alle crisi. Oltre che a sintetizzare, in modo efficace, quanto descritto, in termini altrettanto efficaci, in molti testi critici del mondo angloamericano: dopo il fordismo il debito muove una economia, a basso tasso di crescita, grazie al credito facile. Ma muove, soprattutto, un universo finanziario che, pero’, mostra limiti strutturali esplodendo continuamente in bolle. Per Mason però la convivenza tra capitalismo, innovazione e crisi, visto che quest’ultima non si sta risolvendo, ha una ben precisa conseguenza globale: “l’information technology ci sta portando fuori dal capitalismo” (p. 63). Questo perchè, in Mason, lo sviluppo delle tecnologie porta ad un piano di produzione dove i beni sono riproducibili a prescindere dall’economia di mercato. Perchè tanto più il lavoro si fa gratis, intrecciandosi con l’evoluzione tecnologica, tanto più i livelli produttivi sono in grado di riprodursi in assenza di salario.

Fatto il processo materiale, per Mason, è fatto anche il piano del soggetto. E qui siamo in pieno vintage anni ’90, ripescando Stuard Brand, uno dei creatori del Media Lab del Mit, e i networked individual (p.64). La descrizione dei networked individual, versione ventunesimo secolo, è una vera e propria fenomenologia sociale del primato della Londra metropolitana come chiave di spiegazione dei rapporti sociali egemoni. A Mason basta orientare lo sguardo in metropolitana per vedere soggetti –per quanto di diversa estrazione sociale e di differente composizione lavorativa- accumunati da alcune precise caratteristiche: individualità connesse tecnologicamente da una rete che non è solo fisica ma anche fatta di rapporti sociali (p.65). I networked individual – combinati in modo differente ma accumunati dal fatto di essere individui entro una rete tecnologica e sociale- sono in Mason il soggetto sociale e, assieme, la forza produttiva di una società che sta in una zona grigia tra finanziarizzazione della società e postcapitalismo. Stiamo parlando, in Mason, di una società ineguale nell’accesso alle informazioni necessarie per prendere decisioni (p.65), ma anche strutturata secondo la potenza delle reti e qui, dal riferimento pioneristico anni ’90 a Stuart Brand, si passa a citare direttamente Benkler.

Yochai Benkler, autore di un La ricchezza della rete che è stato un grosso successo nel decennio precedente, veste il ruolo del teorico della potenza sistemica della quale sono portatori i networked individual. Una occasione di rilettura, magari complessa, di Benkler offerta dallo stesso Mason: infatti si parla di due riflessi, differenti e contradditori, della società delle reti. Il primo è Amazon –dove si tengono accelerazione della innovazione tecnologica, evoluzioni della scienza della logistica, alto sfruttamento e un modello di mercato in grado di stare sullo stesso piano delle mutazioni del consumo- il secondo è Wikipedia. Un modello quindi tecnologico, reticolare, cooperativo (p. 69-70). Essendo chiara, in Mason, la scelta del modello Wiki per le società del futuro ci sono, in Postcapitalism, almeno due considerazioni che seguono 1) che la scienza, secondo la lettura del frammento di Marx proposta da Negri e Virno (p. 72-3) si impone come principale paradigma produttivo (di qui i modelli, opposti, Amazon e Wikipedia 2) l’esplosione della scienza come principale fattore produttivo “corrode il valore” (p.75) rende possibile sempre minori profitti proprio a causa dell’accelerazione produttiva presente nella potenza tecnologica.

La rilettura di Gorz, in Mason, a questo punto si fa necessaria. E si parla del Gorz che sostiene che il lavoro stia perdendo centralità sia nei processi di sfruttamento che di resistenza. In quelli di sfruttamento (p.89) perchè la forza produttiva detta scienza tende a rendere il lavoro una presenza sempre più trascurabile. Quelli di resistenza perchè, visto l’impoverimento cognitivo del lavoro (basta vedere la composizione dei nuovi occupati negli Usa) è evidente che la resistenza, che ha bisogno di alto tasso cognitivo, si fa altrove. Non sono certo nuove le considerazioni di Mason sul declino della “fabbrica come campo di battaglia” (p. 90). Di qui, in Mason, l’ascesa definitiva dei networked individual intesi come un paradigma sociale e produttivo che tende a riprodursi anche nella differenza di ciò che fa individual e di ciò che fa network (p. 102).

Una volta definito il declino del lavoro, l’ascesa dei networked individual (come convergenza di crisi del lavoro, evoluzione tecnologica e aggregazione sociale) si tratta, per Mason, di prendere il toro per le corna. Questo gesto per sui si chiama affermare l’insostenibilità della società della finanziarizzazione dell’economia assumendo l’importanza della produttività tecnologica come elemento di produzione di ricchezza, e di legame sociale, a prescindere dalla crisi del valore. Si tratta quindi, in Mason di affarerae tra rivoluzione tecnologica, dei comportamenti e stasi della società finanziarizzata, cinque principi di transizione 1) limitata volontà umana nella complessità sociale 2) limiti ecologici allo sviluppo 3) la messa in discussione non è solo dei ruoli economici ma sociali 4) capacità di aggredire i problemi tutti gli angoli, visto che anche le reti possono essere agenti di cambiamento 5) massimizzare il potere dell’informazione e la performance dei dati (p.126-129). Una volta stabilita l’accettazione, e l’egemonia, sociale di questi punti in Mason si attiva la possibilità di un vero e proprio processo di transizione al post-capitalismo. Dove lo stato non deve essere un monopolio ma agire come wikipedia, espandendo il lavoro cooperativo finanziandolo con il reddito di cittadinanza (p.130) verso l’estinzione dei monopoli. A quel punto lo sgonfiamento delle bolle finanziarie diviene naturale, mancando i presupposti sociali della finanziarizzazione delle società. Nel finale del testo persino l”un per cento della società viene liberato dal regime di oppressione dal quale si colloca al vertice”.

Commento

Visto che il nostro scopo è fornire la scheda di un testo, ponendo delle condizioni di analisi che vadano ben oltre gli ostacoli cognitivi e non un saggio sull’autore, ci si può permettere una certa sintesi .Di una cosa bisogna essere grati a Mason: di aver costruito un testo agile, sul crinale di processi epocali, senza aver insistito ossessivamente sul concetto di crisi. In epoca di bolle finanziarie. E di essere tornato sull’importanza dell’innovazione tecnologica in atto, nonostante le bolle, e delle possibili soluzioni. Oggi spesso la lettura di crisi e innovazione tende ad essere entropica per cui ogni innovazione è vista solo come un semplice risvolto della crisi. Quando non la semplice preparazione ad una crisi successiva.

Il testo, riprendendo i temi di Second Machine Age (Brynjolfsson e McAfee, 2014) pone un problema ineludibile alle nostre società: la velocità della sostituzione tecnologica dei posti di lavoro è maggiore rispetto alla velocità della loro creazione. In Mason questo scenario pone tre certezze: la scienza e la tecnologia come principali forze produttive; il networked individualism come base sociale della trasformazione; i punti di transizione, verso il postcapitalismo, per il governo dei processi di trasformazione. E qui se il testo è complessivamente utile, per capire i problemi, è molto gracile rispetto agli stessi problemi che solleva. Lo stesso Newton dei Principia Mathematica si spaventò di fronte alla vastità dei problemi ai quali stava dando accesso. Non è così per il suo connazionale, e nostro contemporaneo, Mason che con troppa disinvoltura pone dei principi di transizione, da una società all’altra, che sembrano tratti dalle slide sulle policy aziendali piuttosto che da un qualsiasi indirizzo politico che si vuole epocale.

Mason si sforza molto, nell’analisi dei processi di crisi e di innovazione, di dimostrare l’ineluttabilità del postcapitalismo. Ma già nel ‘900 il socialismo, dato per ineluttabile non solo a sinistra, non si è compiuto in occidente nonostante le diagnosi di inevitabilità. Non esistono regimi imposti dal destino tecnologico, non a caso nella storia esistono le catastrofi. Un regime, sia politico che di produttività tecnologica, si afferma solo a causa di profonde, convulse scosse. Ci sono poteri globali che declinano, nuovi poteri che si affermano e non accade mai che la transizione, specie in una società tecnologica e per questo socialmente esplosiva, sia eventualmente senza scosse. Solo impadronendosi del governo di queste scosse, sapendo anche governare le convulsioni, è possibile traghettare le società da un regime all’altro. Figuriamoci se si è di fronte alle continue implosioni delle finanza, che regola la società anche in Mason, e che fa presa sul pianeta in modo tecnologico, forte quanto inedito nella sua vastità (dimensione che solo il rattrappirsi delle culture politiche permette di non vedere nella sua spaventosa estensione).

Insomma, Mason manca di una propria presa della Bastiglia, a fronte di un vecchio regime finanziario, senza mai riuscire a dimostrare che, nel nostro mondo, i regimi cambiano senza aver bisogno di un 14 luglio 1789. Certo, conosciamo le critiche più scontate ovvero che Mason non fa vedere “come” cambiare o verso dove. Questo è chiaro anche solo scorrendo il libro. Il punto è chiedersi se si ha una concezione della società, delle tecnologie, dei punti di crisi della finanza all’altezza degli scenari che viviamo. Mason ce l’ha. Certo, rischia di essere usato come l’ennesimo testo a giustificazione del reddito di cittadinanza. Non che il reddito di cittadinanza, ci mancherebbe, non sia giusto. Anzi, Mason, come altri, ne pone l’ineluttabilità partendo dalla stessa evoluzione del rapporto tra tecnologia ed economia. Solo che, se preso come misura di riforma sociale, il reddito di cittadinanza rischia di trovarsi nella condizione di una nuova Speenhamland. Ovvero la misura massificata a sostegno del reddito presa in Inghilterra sotto la spinta dei primi feroci morsi della rivoluzione industriale. All’epoca capitalismo e regime paternalistico della protezione sociale non potevano però stare assieme più di tanto: nel 1837 le leggi di Speenhamland furono abolite e il lavoro fu immesso nella dinamica della domanda e dell’offerta. Una discesa agli inferi del popolo inglese, durata qualche decennio, dalla quale ci fu uscita solo con l’esistenza di una strutturata classe operaia.

Nelle società contemporanee il reddito di cittadinanza massificato sganciato dal lavoro non può convivere più di tanto con il dominio della finanza: i banchieri centrali finanziano le bolle non i bilanci degli stati. Perché hanno bisogno di dominare il lavoro e sgonfiare la spesa sociale per non esplodere di inflazione. Pongono le condizioni materiali per la schiavitù, di un lavoro a basso prezzo ed alta produttività per fare in modo che la moneta in cui si esprime sia competitiva nelle guerre valutarie, non per il patto sociale dove ad una larga parte di società si concede la libertà dal lavoro. Diventa quindi scorretto, e privo di una visione reale dell’economia che dovrebbe finanziarlo, usare Mason per invocare un reddito di cittadinanza nel capitalismo.

Il reddito di cittadinanza, una volta imposto, non è quindi una misura sociale ma politica. Non prefigura patti o equilibri ma un doppio cambiamento: di regime politico e di paradigma economico. Altrimenti è una testa di ponte che non tiene. Come Speenhamland a suo tempo, si disintegra sotto una grande poderosa spinta del mercato. In questo Mason è importante: lega indissolubilmente, e consapevolmente, reddito di cittadinanza a postcapitalismo. Non solo perché nelle società capitalistiche oggi non c’è spazio per un reddito di massa sganciato dal lavoro. Ma perché l’imposizione del reddito di cittadinanza tiene, economicamente e socialmente parlando, in Mason nel momento ha già determinato la società come qualcosa che è uscito dal capitalismo. Altro che un problema per le simulazioni dei contabili pronti a tirar fuori, tra un’accise e una flessibilità di bilancio, un qualche reddito. O una mera questione di norme da far valere, tra questo o quel sistema del diritto.

La dimensione dei problemi impone alla politica di uscire dal minimalismo: perchè classifica il reddito di cittadinanza come qualcosa che esiste solo come una misura che sposta l’asse, economico e, della società ed il suo stesso regime politico. L’esistenza di un reddito di cittadinanza non è quindi una questione di regime contabile di un regime politico. Non è questione di fondi da trovare ma già questione di una società che esce dal capitalismo nel momento in cui oggi lo eroga. C’è poi il problema di determinare il networked individualism italiano: se l’Italia non è Londra, dove metà del Pil arriva dalla finanza, se il lavoro è disposto in modo diverso che in Inghilterra anche da noi funziona in modo simile. Individualità connesse in rete. Qualcosa di diverso dal primato del lavoro cognitivo, la manipolazione dei segni digitali nel networked individualism italiano viene fatta perlopiù da soggetti al di fuori da prestazioni professionali cognitive, ma anche di molto diverso dal pauperismo sociologico con il quale si rappresenta il paese. Un mondo fatto di poveri, di svantaggiati, di deboli, di classi medie a rischio, di comunità etc: un adattamento di categorie sociologiche di trenta anni fa che non sembra rispondere all’Italia contemporanea e, tantomeno, a quella futura. Per non parlare dell’antiquariato delle categorie politiche (il cui ritorno al concetto di “popolo” rappresenta l’esempio) che emergono in argomentazioni prive di riferimento con gli scenari reali.

Il tutto fa emergere la profonda difficoltà di coniugare il networked individualism con la rigida struttura di classe che permea la società italiana (anche quella inglese e qui sono limiti di Mason). Per quanto il testo di Mason sia quindi gracile, rispetto ai problemi che evoca, i temi che porta sono utili da considerare. Perchè, al di là di alcune questioni enormi che vanno rimosse per comodità espositiva, Mason dice che il ciclo delle crisi e delle innovazioni porta alla riduzione del lavoro a quantità trascurabile e alla necessità del reddito di cittadinanza. Il quale si impone non come misura contabile, di giustizia sociale, di equilibrio sistemico ma di cambiamento di regime economico, di uscita dal capitalismo. O quello o niente, la catastrofe. Per la recezione italiana , al massimo contraddistinta a sinistra da un pallido social-liberismo di una cultura dei diritti molto più evocata che conflittuale, una bella provocazione. Non verrà raccolta. Ma, come sempre, i fatti dimostreranno la testa durissima.

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