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Sciopero nazionale nei magazzini Ikea

Gratta il low cost e trovi lo sfruttamento barbaro. Anche se sei un’azienda svedese che fa tanti discorsi green e familistici.

Il primo sciopero nazionale dei negozi Ikea, in corso oggi in tutta Italia, arriva dopo una lunga – molto lunga – incubazione. Frenata fin qui sia dalla precarietà spinta di molti dipendenti, sia dal “familismo” aziendale (un’invenzione del fondatore, Ingvar Kamprad, collaborazionista dei nazisti durante la guerra), sia dal collaborazionismo dei sindacati “complici” (Cgil, Cisl, Uil).

Fin quando l’azieda ha macinato ritmi di crescita degli utili da far impallidire qualsiasi concorrente, c’è stato anche margine per salari decenti, rispettori dei contratti (davvero non eccelsi) vigenti nel commercio, premi di produzione quasi fissi per tutti, maggiorazioni decenti per l’orario festivo.

Ma è bastato che il tasso di crescita – non di perdita! – scendesse intorno al 3% nel 2014 perché l’azienda gialloblu arrivasse alla decisione di disdire il contratto integrativo e tutti gli istituti lì previsti.

Del resto, la proprietà è assolutamente contraria a sprecare anche un centesimo. L’erede che comanda ora, per esempio, ha posto la residenza in Svizzera per protestare contro le tasse troppo alte pagate in Svezia…

Per la ridefinizione del contratto integrativo, Ikea propone infatti di trasformare il premio aziendale fisso in elemento variabile, ridurre “drasticamente” le maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo e definire un nuovo sistema di gestione turni.

Fatti due conti, una perdita salariale intorno ai 100-120 euro per chi, su turni barbari, guadagna quasi 800 euro al mese. Non manca la presa in giro con modalità renziane: l’eliminazione della maggiorazione peril lavoro festivo viene infatti giustificata con “esigenze di maggiore equità”…

Inevitabile dunque dar sfogo all’incazzatura e indire lo sciopero (sullo sfondo, infatti, si profilano con sempre maggiore capacità di rappresentanza i sindacati di base, a apartire da Usb).

Nonostante l’adesione massiccia – in molti magazzini si sfiora o supera il 90% di assenze – i 21 punti vendita in questo paese sono rimasti aperti. La pressione sui precari neoassunti è stata infatti pesantissima, riferiscono voci dall’interno, con minaccia esplicita di “mancato rinnovo” a fine contratto. O anche prima, “grazie” al Jobs Act…

A Bologna, per esempio, nel corso dell’ultimo sciopero locale, quello del 6 giugno, erano entrati a lavorare «18 manager, un contratto a termine e quattro stagisti».

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