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Una primavera francese

Un nuovo movimento contro la deregolamentazione del mercato del lavoro sta prendendo forma in Francia. Da Febbraio, quando il governo del Partito Socialista (PS) di François Hollande e Manuel Valls ha annunciato una proposta di riforma del codice del lavoro (code du travail), un’ondata di proteste ha scosso il paese. Il 9 marzo, 500.000 persone hanno partecipato ad una giornata nazionale di lotta; altri 1.2 milioni alle manifestazioni dei sindacati del 31 marzo; ed il 9 aprile altre decine di migliaia hanno sfilato contro la legge a Parigi ed in altre città della Francia [il 28 aprile sono scese in piazza 500.000 persone, senza contare i grossi cortei del 1 maggio, ndt].

Uno degli aspetti notevoli del nuovo movimento è il numero di città in cui le proteste sono state organizzate: più di 250 il solo 31 marzo. Quel giorno il brutto tempo ha diminuito l’affluenza nella capitale francese. Ma, nonostante la pioggia, centinaia di manifestanti si sono riuniti in serata a Place de la République, nella prima delle occupazioni della “Nuit Debout”.

Nelle settimane seguenti, analoghe Nuit Debout hanno iniziato a comparire lungo tutta la Francia, e in decine di migliaia si sono accalcati a République per partecipare alle assemblee serali.

L’occupazione ha polarizzato l’opinione politica francese. Il filosofo conservatore Alain Finkielkraut ha definito i partecipanti alla Nuit Debout come “fascisti”, per essere stato rumorosamente insultato dopo aver provato ad infilarsi in un’assemblea. La presidente del Fronte Nazionale (FN) Marine Le Pen ha chiesto la repressione del movimento, definendolo una “fonte di violenza e degrado”.

E, proprio questa settimana, l’ex presidente Nicolas Sarkozy ha insultato i manifestanti in un discorso, definendoli “cerebrolesi” e “teppisti”. Senza troppi giri di parole, Sarkozy ha paragonato l’occupazione di République a un “fuoco che mina l’autorità dello stato”.

Tutto ciò arriva in un momento di crescente repressione e violenza poliziesca. Nonostante lo stato di emergenza sia in vigore dagli attacchi del 13 novembre a Parigi, i prefetti avevano finora evitato il divieto totale dei raduni. Ma la sospensione governativa delle libertà civili ha dato alla polizia nazionale francese, nota per la sua brutalità, la luce verde per reprimere gli oppositori alla riforma del lavoro.

I manifestanti sono stati rimpiti di lacrimogeni e violentemente caricati; in molte città, gli attivisti sono stati picchiati e arrestati; anche gli studenti delle superiori sono stati trattati con le maniere forti: alla fine di marzo, il video di uno studente di una scuola di Parigi Nord, picchiato dalla polizia antisommossa, ha suscitato l’indignazione nazionale (portando la procura ad aprire un procedimento contro uno degli ufficiali coinvolti).

Tra la sinistra anglofona, c’è stato un gran scrivere sui manifestanti della Nuit Debout. Molti osservatori hanno evidenziato le somiglianze tra queste manifestazioni e quelle di Occupy Wall Street e degli Indignados in Spagna. Meno attenzione è stata prestata, però, alla lotta che ha lanciato Nuit Debout – il movimento contro la proposta di riforma del Governo francese.

Ciò è sorprendente, perché le due cose sono strettamente connesse: Nuit Debout è emersa dalle proteste contro la riforma del lavoro, ed è stata nutrita dall’energia popolare che queste hanno scatenato. Alla fine, la sua sorte è legata al successo del movimento.

Molto dipende, allora, di quello che accadrà alla proposta di riforma del lavoro. Finora, l’opinione pubblica è stata dalla parte degli oppositori al progetto di legge: secondo un sondaggio di fine marzo, circa tre quarti dei cittadini si oppongono alla proposta di legge, e più del 50% vogliono che la protesta continui.

Con una giornata di lotta chiamata dai sindacati per domani [28 aprile scorso, ndt], e l’inizio del dibattito parlamentare programmato per il 3 maggio, il movimento contro la riforma del lavoro entra in una fase critica.

 

L’inversione della gerarchia

La posta in palio della lotta è alta. La proposta del governo (conosciuta come legge El Khomri, dal ministro del Lavoro Myriam El Khomri) cambierebbe molto del codice del lavoro francese.

Ad esempio interviene sulle regole sull’orario di lavoro dando grande discrezione alle aziende sulla possibilità di superare i limiti sullo straordinario. Attualmente le 35 ore settimanali (sulla carta) consentono di lavorare fino a 10 ore al giorno e 48 ore a settimana. La proposta del governo porterebbe a 12 ore il limite massimo giornaliero “in caso di aumentata attività o per ragioni legate all’organizzazione dell’azienda”.

La legge El Khomri darebbe al ministro del Lavoro il potere di aumentare temporaneamente il limite settimanale fino a 60 ore se richiesto da “circostanze eccezionali”. Contemporaneamente la legislazione ridurrebbe di parecchio la maggiorazione pagata a chi lavora per più di 35 ore a settimana.

Di uguale importanza sono i passi della legge che abbassano il massimo di indennizzo per i “licenziamenti illegittimi”. In Francia, i lavoratori che perdono il lavoro senza “giusta causa” hanno il diritto di fare ricorso ai tribunali del lavoro. Questo significa che se sei licenziato perchè la tua azienda non sta facendo soldi, il tuo datore di lavoro ti deve pagare un indennizzo commisurato con la durata del tuo impiego.

La legge El Khomri vuole abbassare il tetto massimo per gli indennizzi, ed un lavoratore con 20 anni di servizio, ad esempio, finirebbe per riceverne uno corrispondente a 12 mesi di salario.

La legge cambierebbe anche le regole dei licenziamenti, rendendo più facile per le imprese licenziare i dipendenti per ragioni economiche. La legislazione francese richiede che le imprese che vogliono licenziare forniscano una valida giustificazione – con la legge El Khomri la dichiarazione di “motivi economici” sarà sufficiente.

In un altro punto – forse il più controverso – la proposta permetterebbe alle imprese di negoziare “accordi peggiorativi” a livello d’azienda. Questi accordi potranno abbassare gli standard esistenti sui minimi salariali, le ore lavorative, ed altri aspetti del contratto di lavoro. Nel passato, le imprese che volevano rinegoziare queste condizioni dovevano provare che lo facevano per evitare la bancarotta o licenziamenti.

Ora, le aziende che vogliono espandere le loro operazioni o entrare in nuovi mercati possono ottenere dai loro dipendenti nuove concessioni, con accordi anche peggiorativi delle condizioni stabilite dalla contrattazione collettiva o dalle leggi del lavoro esistenti. Inoltre, la legge renderebbe più facile per le imprese firmare accordi con rappresentanti dei lavoratori che non rappresentativi sul posto di lavoro (anche solo con un mandato del 30% della forza lavoro).

Complessivamente questi cambiamenti andrebbero largamente a beneficio dei padroni.

Dalla prospettiva degli imprenditori, la legislazione sul lavoro francese è piena di “rigide” restrizioni legali e costosi procedimenti di conciliazione: dalle leggi sui licenziamenti e l’orario di lavoro all’alto salario minimo, i padroni vedono il codice del lavoro come un fardello intollerabile. La legge El Khomri sarebbe un bel passo in avanti per l’alleggerimento di questo fardello.

Ciò non significa che agli imprenditori piaccia ogni cosa della proposta del governo, specialmente dopo la revisione fatta dopo la sua prima presentazione. Le versioni più recenti della proposta hanno fatto delle concessioni agli oppositori della misura.

Per placare le critiche, per esempio, la seconda versione della legge include una tassa sui contratti a tempo determinato. Questo provvedimento, inteso per scoraggiare un utilizzo eccessivo dei contratti a tempo determinato a spese di quelli a tempo indeterminato, ha scatenato le ire della confindustria francese, la MEDEF.

MEDEF sta ora chiedendo che il Governo ritorni alla sua proposta originaria. Ha minacciato di smettere di cooperare alla proposta di riforma del sistema di assistenza alla disoccupazione se Hollande non viene incontro alle sue richieste, come sembra essere.

L’atteggiamento del MEDEF riflette quello intransigente dei rappresentanti dei datori di lavoro francesi – che a questo punto non vogliono rinunciare a nessuna delle loro pretese. Se l’opposizione dei conservatori al disegno di legge fosse abbastanza forte, il Governo potrebbe essere costretto a ricorrere a procedure straordinarie per farlo passare in parlamento.

Questo avrebbe un costo per il Governo. Ma non cambierebbe il fatto che la riforma è, senza ombra di dubbio, una vittoria per gli imprenditori.

Per i lavoratori, la riforma El Khomri sarebbe una catastrofe: se passasse, la misura distruggerebbe le conquiste sociali duramente strappate in decenni di lotta. Minerebbe la sicurezza del posto di lavoro, porterebbe a cedimenti sui salari e le condizioni di lavoro, e renderebbe la settimana lavorativa di 35 ore praticamente senza senso.

Cosa peggiore, la legge squarterebbe il codice del lavoro, permettendo ai padroni di aggirare i suoi regolamenti attraverso accordi a livello di azienda. Per le organizzazioni del lavoro francesi, questo è il problema più grande sollevato dalla proposta. Come ha fatto notare Philippe Martinez, leader della CGT (principale associazione di lavoratori in Francia) “La prima motivazione della nostra opposizione è che questa legge consente a ciascuna impresa di avere il suo codice del lavoro”:

In questo modo, El Khomri rovescerebbe la “gerarchia delle fonti” del mercato del lavoro francese. Tradizionalmente, la legislazione del lavoro va dal Codice del lavoro in giù: il diritto del lavoro stabilisce la cornice per i contratti di lavoro, poi regolato dalla contrattazione collettiva fatta a livello di categoria.

Ora questa gerarchia andrebbe nell’opposta direzione: accordi aziendali, firmati da lavoratori che potrebbero o meno essere rappresentati da un sindacato, diventerebbero il terreno principale della contrattazione collettiva. I negoziati decentralizzati avrebbero più valore delle leggi e della contrattazione di categoria. La riforma aprirebbe la strada ad un assalto continuato agli standard di impiego stabiliti dal Codice del lavoro.

 

L’azzardo di Hollande

Nessuno stupore che la proposta abbia provocato una così dura risposta. Anche all’interno del Partito Socialista, l’estensione dell’opposizione è stata impossibile da nascondere. Un esempio lampante è stata l’opposizione di Martine Aubry, l’ex ministro del lavoro e leader del PS a Lille, città della Francia del Nord.

Alla fine degli anni Novanta, durante il suo mandato come ministro della del Governo della “Sinistra plurale” di Lionel Jospin, Aubry ha sostenuto la legislazione che ha introdotto la settimana di 35 ore. Nelle ultime settimane, ha dichiarato il suo disgusto per il piano di riforma dell’attuale Governo: dopo aver partecipato ad una riunione nella sede del Partito Socialista con El Khomri ed altri, Aubry ha dichiarato alla stampa che la legge era decisamente sbagliata “Ho spiegato a Myriam El Khomri che la riforma del Codice del lavoro non aumenta né la competitività né la protezione dei lavoratori, è estremamente pericolosa”.

Non inaspettatamente, nei due mesi da quando la riforma è stata annunciata, il Partito Socialista ha continuato a perdere membri. Nel frattempo, il Governo è riuscito ad alienarsi molti dei suoi ex alleati: ad esempio l’UNEF, la principale associazione studentesca francese, che tradizionalmente aveva legami stretti con il PS, è stata in prima fila nel movimento contro la legge, ed ha aiutato ad organizzare la giornata di lotta del 9 marzo.

Nell’assenza di un’alternativa esistente alla sinistra del PS, nessuno di loro sembra stia per spaccare il partito – almeno non nell’immediato. Ma la profondità della rabbia che la legge ha provocato è indicativa del sentimento popolare.

Conseguenza della legge è stata l’accelerazione del declino del consenso del Governo. I sondaggi mostrano che gli indici di gradimento del Presidente Hollande, già a livelli storicamente bassi da Febbraio, sono calati fino al 15%.

Tutto questo è un cattivo segnale per le aspettative di Hollande di essere rieletto, nel caso sia ancora lui a candidarsi il prossimo anno. Visto quanto è impopolare, molti si sono chiesti se Hollande sarà veramente il candidato socialista del 2017 – in una campagna che vede attualmente alla testa Marine Le Pen del FN, e in cui l’ex primo ministro conservatore Alain Juppé sembrerebbe il favorito.

Hollande ha ripetutamente detto che proverà la rielezione, ma molti elettori socialisti, così come molti dirigenti del PS, sembrano preferirgli altri candidati (con Valls ed il ministro delle Finanze Emanuel Macron, un ex dirigente di banche di investimento, che emergono come i favoriti per sostituire Hollande).

Gli incredibilmente bassi indici di consenso di Hollande riflettono la rabbia diffusa provocata dalle politiche economiche che ha portato avanti dal momento dell’insediamento. In un momento in cui la Francia deve ancora riprendersi dagli effetti della crisi del 2008, la sua amministrazione è stata incapace di diminuire una disoccupazione tremendamente alta.

All’inizio dell’anno, il tasso di disoccupazione arrivava al 10,6% (era il 9% al momento dell’inizio del mandato di Hollande), il più alto da vent’anni. I giovani, in particolare, soffrono le basse opportunità di impiego: la disoccupazione giovanile è ormai oltre il 25%.

In risposta, Hollande ha adottato una politica di liberalizzazione del mercato del lavoro. La chiave per spingere una crescita stagnante, argomenta, è creare un clima più favorevole per le imprese.

Con questo scopo ha lanciato una serie di riforme disegnate per aumentare la “flessibilità” del lavoro e ridurre il fardello di regolamenti imposto dal codice del lavoro. Queste misure hanno reso alle imprese più economico e facile licenziare lavoratori, ha permesso alle aziende in crisi di negoziare accordi aziendali peggiorativi degli standard di legge, e ha fornito significativi sgravi fiscali agli imprenditori (con pochi o nessun requisito da mostrare).

L’agenda di riforma di Hollande a mostrato di essere particolarmente impopolare – anche nello stesso gruppo parlamentare del PS. Infatti giusto l’anno scorso, quando il Governo ha provato a far passare la Legge Macron – che tra altre cose, elimina la protezione del posto di lavoro per una serie di categorie, e allenta i limiti al lavoro notturno e nei week end – la proposta è stata ricevuta con tanta opposizione dai deputati socialisti che l’amministrazione è stata costretta ad utilizzare una regola costituzionale quantomai arcana, che in sostanza permette al Governo di porre la questione di fiducia sul provvedimento e di bypassare in maniera autoritaria il Parlamento.

La già malandata reputazione del presidente ha preso un’altra botta con il movimento di opposizione alla riforma del lavoro. Aumentando la sua debolezza, il Governo ha sofferto un’altra battuta di arresto il mese scorso, quando è stato costretto a rinunciare ai piani per un emendamento costituzionale che consentiva di togliere la cittadinanza francese a chi ha la doppia cittadinanza ed è indiziato per attività terroristiche.

Questa legge, annunciata subito dopo gli attacchi del 13 novembre, ha incontrato una dura opposizione, in particolare tra i membri dello stesso Partito Socialista di Hollande.

 

Emergenza economica e sociale

Dato il costo politico, perché Hollande sta accelerando i tempi di messa in cantiere della riforma?

Lui stesso ha descritto le sue proposte come un’inevitabile risposta alla situazione disperata in cui l’economia francese si trova. Come il presidente ha dichiarato a gennaio (quando ha annunciato un provvedimento che darà 2 miliardi di euro di sussidi fiscali alle imprese), la Francia sta affrontando una “emergenza economica e sociale” dovuta all'”incerto clima economico e alla persistente disoccupazione”. “Il nostro paese” ha continuato Hollande, “si è confrontato con una disoccupazione strutturale per due o tre decenni e per questo creare posti di lavoro dev’essere la nostra unica lotta”.

Ma ci sono poche ragioni per credere che l’ultima riforma del lavoro riuscirà ad aumentare i posti di lavoro, specialmente nel breve termine. Come possono delle riforme che rendono più facile per i padroni obbligare i loro dipendenti a lavorare più a lungo, e gli consentono di licenziarli quando vogliono, aumentare il tasso di occupazione?

Una spiegazione plausibile è che Hollande stia scommettendo di essere capace di spaccare il voto di destra per le elezioni presidenziali del prossimo anno. Accaparrandosi una parte della base elettorale della destra, Hollande ce la potrebbe fare nella corsa contro Marine Le Pen – a quel punto i votanti anti-FN non avrebbero altra scelta che coalizzarsi attorno a lui per prevenire la vittoria della leader del Fronte Nazionale.

Se questa fosse la sua strategia, non sembrerebbe che stia funzionando. I sondaggi mostrano che se le elezioni ci fossero oggi Hollande non riuscirebbe ad arrivare al secondo round.

Ma la sua missione va oltre queste ambizioni personali. Vuole trasformare il terreno politico del dibattito sulle future riforme. Sotto molti aspetti, Hollande si vede come l’omologo francese dell’ex primo ministro tedesco Gerhard Schroeder, il cui Governo di coalizione rosso-verde è conosciuto soprattutto per le sue criticate riforme economiche. Le riforme Hartz hanno fatto di Schroeder un momdello per i Governi social-democratici della Terza Via del continente.

Il presidente francese vorrebbe emulare l’esempio di Schroeder. Hollande ha spiegato la sua ammirazione per l’ex cancelliere tedesco nel 2013, in un discorso reso al 150 anniversario della SPD celebrato a Lipsia. Schroeder, ha detto Hollande, è stato un “vero social democratico”, la cui decisione di premere per le riforme del mercato del lavoro, con grande sacrificio politico per se stesso, ha dato i suoi frutti nella rapida ripresa della Germania dopo la crisi del 2008.

Dalla prospettiva di Hollande, la grande virtù di Schroeder è stata la sua capacità di riconoscere che il “progresso” per la sinistra non è soltanto perseguire i tradizionali obiettivi socialdemocratici come l’espansione delle protezioni sociali o l’aumento dei salari: è “anche una questione di fare scelte difficili in tempi duri… ed anticipare le trasformazioni industriali”.

In realtà gli sforzi di riforma di Schroeder hanno contribuito ad un impennata della povertà e dell’ineguaglianza. Mentre l’occupazione è aumentata negli anni successivi alle riforme Hartz, i nuovi lavori creati sono stati quasi tutti part-time, precari e con bassi salari: un numero crescente sono stati “mini-jobs” a tempo determinato.

Molti sostenitori della riforma in Francia vedono l’esempio tedesco come un modello meritevole di emulazione. Ma finora, l’opinione pubblica ha resistito agli sforzi di seguire la strada tedesca di deregolamentazione del mercato del lavoro. Se Hollande vuole davvero dare una spinta alla crescita dell’occupazione, sarebbe meglio tornasse alla strategia adottata dal precedente Governo socialista francese: riduzione dell’orario di lavoro. Questa era l’ispirazione dietro la scelta di istituire la settimana lavorativa di 35 ore alla fine degli anni Novanta (con le due leggi Aubry, passate nel 1998 e nel 2000, rispettivamente).

Dando sussidi al taglio delle ore di lavoro dei full-time – senza nessuna riduzione dei salari – il Governo della “Sinistra plurale” sperava di stimolare la crescita dei posti di lavoro. Fino ad un certo punto, questo tentativo ha avuto successo: nei cinque anni successivi all’istituzione delle 35 ore, la Francia ha vissuto il più grande periodo di crescita dell’occupazione dagli anni Settanta. Dei circa 2 milioni dei posti di lavoro creati nel settore privato in quegli anni, 300-500.000 furono generati dalla legislazione sulla riduzione dell’orario di lavoro (secondo le stime del Governo),

Naturalmente, quasi subito dopo aver varato la riforma, il Governo della Sinistra Plurale ha iniziato ad abbandonare questa strategia. Le Leggi Aubry stesse contenevano un numero di provvedimenti che indebolivano il limite legale delle 35 ore. In seguito, le regole sull’orario di lavoro sono state rilassate ancora di più da una serie di provvedimenti presi dai governi di destra.

 

La risposta dei lavoratori

Ma la proposta di promuovere la crescita dei posti di lavoro attraverso una riduzione delle ore di lavoro resta oggi rilevante. Questa strategia è incarnata, ad esempio, dalla rivendicazione della CGT di una settimana lavorativa di 32 ore – una mossa che per il segretario della GCT Philippe Martinez creerebbe 4,5 milioni di posti di lavoro – così come nella richiesta di riforma della contrattazione collettiva, per rendere difficile alle aziende negoziare accordi con sindacati non rappresentativi.

Se la sinistra francese fosse più forte, questo tipo di proposte potrebbero essere usate come base per un’agenda politica radicale. Oggi, però, è ancora troppo debole per perseguire seriamente questo programma. Nel corso degli ultimi anni, mentre i consensi di Hollande precipitavano, la sinistra radicale francese è solo diventata più debole e frammentata.

Mentre solo un decennio fa era in grado di condurre lotte reali (come la vittoriosa campagna del 2005 contro il Trattato Costituzionale Europeo), la sua influenza è ora più limitata, e la sua base di militanti più piccola. In anni recenti, le organizzazioni della sinistra sono state impantanate nella stagnazione, scandita da scoppi di crisi interne.

In questo contesto, l’estrema destra del Fronte Nazionale è stata capace di accreditarsi come l’unica fattibile alternativa ai partiti dell’establishment. Il FN cattura i votanti con i suoi attacchi razzisti agli immigrati, ai musulmani etc. ma anche con le sue denunce delle elite cosmopolite, del “globalismo” economico e del capitalismo non regolamentato. Promette di difendere i lavoratori francesi dai pericoli gemelli dell’immigrazione incontrollata e della deregolamentazione economica.

La bandiera del protezionismo economico ha avuto successo con i cittadini preoccupati dalla crescente insicurezza economica: così, negli ultimi anni, l’estrema destra è cresciuta parecchio nelle ex regioni industriali del nord della Francia, una volta il bastione del sostegno operaio al PS, ma ora casa di un crescente numero di votanti per l’estrema destra.

Tutto ciò è indicativo delle difficoltà con cui si scontra la sinistra. Ma nel contesto dell’onda di proteste crescenti di quest’estate, le sorti della sinistra sembrano stiano cambiando per il meglio. Molto dipenderà da che la lotta contro il Governo prenda vigore.

La storia recente della Francia offre un sacco di precedenti di lotte prolungate contro Governi di austerità. Nel corso degli ultimi due decenni, i governi francesi hanno ripetutamente visto sconfitti i loro tentativi di riforma, da parte di proteste sociali esplosive: ad esempio, nell’ondata di scioperi nel settore pubblico del dicembre 1995, quando il disegno di legge sulle pensioni del Governo Juppé fece scoppiare settimane di proteste e di scioperi, che alla fine costrinsero il primo ministro a ritirare la riforma. Più recentemente, le manifestazioni guidate dagli studenti contro il Contratto di Primo Impiego nell’autunno 2006 portarono un altro governo conservatore a ritirare il disegno di legge.

Nel 2010, un movimento anche più grande si sviluppò contro un’altra riforma delle pensioni, questa volta proposta dall’allora presidente Sarkozy. Alla fine, tuttavia, non riuscì a fermare la legge: nonostante scioperi e manifestazioni con milioni di persone, Sarkozy rifiutò di arretrare dai suoi intenti, ed alla fine la misura passò.

Quella sconfitta fu una grande batosta per la sinistra francese – una crisi da cui non si è ancora pienamente ripresa.

La lotta contro la riforma del lavoro proposta dal Governo sembra offrire un’opportunità per invertire il declino della sinistra. Ma questo movimento si confronta con un numero significativo di sfide.

Una è l’assenza di una forza sociale che sia l’evidente motore per la lotta contro la riforma: nel 1995, ad esempio, lo sciopero del settore pubblico contro la riforma Juppé venne guidato dai lavoratori delle ferrovie; nel 2006 fu il movimento degli studenti che spinse avanti la lotta; e nel 2010, i lavoratori in sciopero delle raffinerie che per breve tempo impedirono i rifornimenti di benzina ai distributori del paese.

Oggi non è chiaro chi potrebbe giocare questo ruolo. Non ci sono evidenti forze sociali con la capacità di guidare un movimento così. Le oranizzazioni popolari sono deboli, e dopo anni di caduta della sindacalizzazione e di ristrutturazione economica, le organizzazioni dei lavoratori hanno perso molta della capacità di mobilitare i posti di lavoro contro la dirigenza.

Ad aggravare questo declino c’è la crescente spaccatura all’interno del movimento operaio, tra i sindacati più moderati e “riformisti”, con a capo la CFDT (secondo sindacato francese), e le confederazioni più militanti, con a capo la CGT.

Dall’elezione di Hollande, la CFDT è stata un alleato stretto del Governo, e la confederazione ha constantemente dato l’assenso alle sue riforme più controverse. Ciò ha consentito ad Hollande di celebrare le sue riforme con inni al “dialogo sociale” e alla collaborazione di classe.

La CGT, dall’altra parte, è stata una esplicita oppositrice delle proposte di riforma del Governo. Oggi la CGT resta la più larga e visibile forza della sinistra radicale in Francia. Si oppone fermamente al progetto di riforma del lavoro. Da febbraio, il suo leader Philippe Martinez ha dichiarato più volte che il sindacato non accetterà niente di meno che il “ritiro del testo”.

Allo stesso tempo, la CGT ha proposto una “convergenza sindacale” per bloccare la riforma del lavoro – un’offerta diretta soprattutto alla CFDT. Ma dopo essersi inizialmente opposto alla proposta, il segretario della CFDT Laurent Berger si è smentito, dichiarando che la seconda parte della legge era “potenzialmente” un “progresso per i giovani e i lavoratori”.

Il rifiuto della CFDT di unirsi alla lotta significa che le organizzazioni dei lavoratori non saranno in grado di presentare un unica posizione davanti al Governo. Inevitabilmente, questo porta alla domanda se la parte militante del movimento dei lavoratori può condurre una battaglia del genere da sola – qualcosa che la CGT non è stata capace di fare in passato quando è rimasta sola all’opposizione delle riforme contestate.

Questo è stato uno dei punti centrali discussi nel congresso nazionale della CGT la scorsa settimana. I mille delegati che si sono riuniti a Marsiglia sono rimasti frustrati dall’incapacità della Confederazione di mettere in campo una chiara strategia per stracciare la riforma del lavoro.

Molti di loro volevano che il sindacato proclamasse uno sciopero generale prolungato (per più di una giornata di sciopero). La dirigenza della Confederazione ha proposto un appello più limitato, indicendo assemblee nei posti di lavoro per discutere i prossimi passi della lotta.

Martinez ha chiesto se la federazione potesse uscire con la proclamazione di uno sciopero generale, dicendo ai delegati “ogni movimento sociale nel suo amplifcarsi mette in primo piano la questione dello sciopero generale. Tutti siamo d’accordo su questo… Ma siamo onesti con noi, lo sciopero generale non sarà decretato a Montreuil [dove si trova la sede nazionale della CGT].”

Alla fine i delegati hanno votato un testo di compromesso, chiamando alla partecipazione della giornata di mobilitazione di oggi, così come ad assemblee in ogni posto di lavoro per decidere come intensificare la lotta – e, potenzialmente, considerare la possibilità di uno sciopero prolungato per ottenere il ritiro della riforma.

 

Punto di svolta

Se qualcosa uscirà da questo appello non è chiaro. L’appuntamento di oggi [lo scorso 28 aprile, ndt] sarà un test importante: se le manifestazioni saranno abbastanza grandi da essere notate dalle masse, sarà un segno che il movimento è in ascesa. Una piccola mobilitazione però, spingerà molti a pensare che la lotta contro la riforma del lavoro stia perdendo vigore.

Le prossime settimane saranno centrali. Se il Governo è in grado di portare avanti il suo disegno di legge senza troppi problemi, abbatterà molte delle speranze per una ripresa della sinistra. Tale sconfitta rinforzerà l’idea che i movimenti sociali di massa – del tipo che sono ripetutamente scoppiati tra il 1995 e il 2010 – non possono più rallentare l’avanzata del liberismo. Il più grande beneficiario ne sarebbe probabilmente il FN, le cui pretese di essere l’unica alternativa ai partiti dell’establishment sarebbero confermate.

D’altra parte, il movimento ha dalla sua un certo numero di fattori. Il Governo non è in una posizione politica forte – preso com’è tra i falchi della destra e i suoi molti critici della sinistra. Gli oppositori alla riforma godono del favore dell’opinione pubblica in questo momento. L’opposizione è uscita rafforzata dagli eventi della primavera.

Se il movimento contro la riforma del lavoro può tracciare una strada da seguire, ha il potenziale di trasformare la situazione politica francese. Una sconfitta del Governo segnerebbe un cambiamento notevole. Creerebbe un contesto in cui la radicalizzazione del movimento studentesco e della Nuit Debouit potrebbe essere approfondita ed estesa.

Arrivare a questo punto non è un compito facile. Ma gli eventi degli ultimi due mesi hanno mostrato che c’è ancora abbastanza rabbia popolare per combattere il capitale francese.

Jonah Birch

da Jacobin (28 aprile 2016)

traduzione a cura di Clash City Workers
http://www.clashcityworkers.org/internazionale/2323-una-primavera-francese.html

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