Il 22 novembre del 1975 un giovanissimo compagno del Collettivo Politico Studentesco dell'Istituto Tecnico Armellini di Roma e militante di Lotta Continua alla Garbatella, viene ucciso da carabinieri e polizia durante una manifestazione di protesta a sostegno della lotta di liberazione in Angola. Qui di seguito una ricostruzione di come andarono le cose. Non dimentichiamo nulla, abbiamo una memoria prodigiosa. (red)
La sera di sabato 22 NOVEMBRE del 1975 si svolge a Roma, con un’ampia convergenza di forze democratiche, una manifestazione a sostegno della lotta del popolo angolano. Il corteo si snoda per Via Labicana quando, all’altezza dell’Ambasciata dello Zaire, un gruppo di manifestanti, una decina, si stacca. L’intenzione è quella di una protesta dimostrativa contro un paese che partecipa all’aggressione imperialista in Angola, responsabile di continui massacri di quella popolazione.
Appena il gruppo si affaccia, dall’imbocco di Via Muratori, in largo Mecenate, si sente gridare: “eccoli!”.
“Eccoli!” è un’esclamazione che lascia pochi dubbi sullo stato d’animo di chi la grida. Nessuna sorpresa: “ecco sta arrivando chi stiamo aspettando”. Da parte dei compagni la sensazione è quella della trappola; vengono lanciate un paio di molotov, distanti da dove sono posizionate le forze dell’ordine, l’intenzione è di coprirsi la fuga, di sparire al più presto. In una frazione di secondo inizia la fuga e l’inizio di un vero e proprio tiro al bersaglio da parte di chi vedeva le spalle del proprio “nemico”.
Le forze dell’ordine sparano, i giovani scappano.
Tre bersagli, nonostante siano “bersagli mobili”, sono colpiti: uno al “centro”, crolla sull’asfalto, colpito alla schiena; altri due di “lato”, sono colpiti alla testa, ma riescono a continuare la fuga.
Chi giace sull’asfalto urla. Chi è più vicino a lui si ferma: prova ad alzarlo, non ci riesce, chi è a terra non sente più le gambe. Chi soccorre tenta di trascinarlo via da quell’inferno. Verso quel pericoloso gruppo, formato da un giovane di diciotto anni disteso per terra e da un altro giovane che, disperato, prova a salvarlo, vengono sparati altri colpi di pistola. Due raggiungono quei bersagli, diversi dai precedenti, questi sono: “bersagli immobili”. Chi è a terra viene colpito di nuovo su una gamba, chi osava soccorrere viene colpito su un braccio. Chi può cambia il proprio stato di bersaglio, da immobile diventa mobile: non rimane che fuggire.
Uno degli agenti si avvicina al corpo ormai agonizzante di Piero Bruno e, puntandogli la pistola a pochi centimetri, urla: “Così ti ammazzo!”.
E così è: ancora una volta i fedeli esecutori della Legge Reale sparano per uccidere.
Una donna testimonierà: “La mia attenzione è stata immediatamente attratta da un giovane disteso per terra in Via Muratori, sul lato opposto alla mia abitazione a circa 5 o 6 metri dal piazzale antistante l’ambasciata; ho notato poliziotti o carabinieri, anzi credo più poliziotti disporsi alla fine di Via Muratori, evidentemente per isolare la zona. Ho quindi sentito che il ragazzo disteso per terra si lamentava e contemporaneamente ho visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è avvicinato di corsa al ragazzo disteso per terra urlando, presso a poco “ Ti pare questo il modo di ammazzare un collega” e quindi, “ Cane, bastardo, carogna ”, ho quindi visto che l’uomo ha puntato la pistola verso il ragazzo disteso per terra, urlando “Ti ammazzo” ed ho sentito il clic del grilletto. Il ragazzo ha gridato “No ” ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto con le mani. Quindi l’uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto “ ma io ti ammazzerei veramente ” e lo ha scosso.”
Piero Bruno muore il giorno successivo mentre è ancora piantonato in ospedale.
I suoi assassini verranno identificati nel tenente dei carabinieri Bosio, nel suo collega Colantuomo e nell’agente in borghese Tammaro che, come per i molti altri casi di omicidi eseguiti con freddezza all’ombra della Legge Reale, verranno tutti assolti con abili giri di parole ed insabbiamenti delle prove
Eraldo
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