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Polizie e ministri, solidarietà, migranti: un dossier

1 – appuntamento a Ventimiglia (e a Genova); 2) “USCIRE DAL VICOLO CIECO”: appello promosso da Asgi, Re.Co.sol Move (per Cambiare l’Ordine delle Cose) e Tous Migrants; 3) Salvatore Palidda sul razzista Salvini e le polizie

VENTIMIGLIA: MANIFESTAZIONE IL 14 LUGLIO … e il 23 giugno assemblea organizzativa a Genova.

Progetto20k invita tutte le realtà, le associazioni, i collettivi, i gruppi e le singole persone che si occupano delle tematiche legate ai flussi migratori, all’accoglienza, alla solidarietà e chiunque sia interessato, a partecipare al percorso di costruzione della mobilitazione del 14 luglio a Ventimiglia.
Una mobilitazione che si svolgerà su uno dei confini interni più controversi d’Europa, per denunciare la brutalità delle politiche nazionali ed internazionali di governo delle migrazioni. Ma anche per rivendicare la necessità di un permesso di soggiorno europeo, il diritto alla mobilità e per ripensare l’attuale sistema della cosiddetta “accoglienza”. Una mobilitazione contro la tratta e le violenze di genere, contro lo sfruttamento delle persone migranti, per la loro libertà e autodeterminazione.
Come il Mediterraneo è il fossato mortale di un’Europa rinchiusa nella sua fortezza, così Ventimiglia è il simbolo del fallimento di un’Europa senza confini interni. Infatti il confine fra Italia e Francia rientra nell’accordo di Schengen, uno di quei confini che non dovrebbero più esistere per le persone e che invece si stanno moltiplicando e militarizzando, nuovi muri che lasciano passare le merci e fermano i corpi, i desideri, i progetti di vita.
 
Riteniamo che il percorso verso il 14 luglio possa rappresentare una preziosa occasione di scambio, dialogo e cooperazione tra coloro che, pur nella diversità di territori, eterogeneità e appartenenze, condividono gli stessi orizzonti di pensiero, l’idea di una società senza confini di classe, genere o nazione.
La manifestazione prende posizione di fronte alle politiche locali, italiane ed europee che quotidianamente si ripercuotono sulle condizioni di vita e sui diritti fondamentali delle persone in viaggio e non solo.
Ventimiglia è stata scelta perché luogo simbolo delle violente e fallimentari politiche migratorie sia italiane che europee, come il decreto Minniti-Orlando o l’accordo di Dublino III.
Pensiamo che il nuovo governo italiano populista, xenofobo e razzista possa ulteriormente aggravare una situazione già estremamente critica per chi rivendica diritti e libertà di movimento.
Ventimiglia è simbolo del fallimento dell’accoglienza istituzionale.
Come succede in molti altri territori, tantissime di queste persone dormono in accampamenti a cielo aperto, dove manca tutto e le condizioni igienico sanitarie sono precarie, pur di non sostare nel campo della Croce Rossa Italiana, situato a 5km dalla città per questioni di decoro, costantemente presidiato dalle forze dell’ordine.
Come in tante altre città, “l’accoglienza” si presenta di fatto come uno strumento di disciplinamento e inferiorizzazione.
I grandi centri di prima accoglienza troppo spesso sono luoghi di segregazione e spersonalizzazione, luoghi orientati all’infantilizzazione delle persone migranti alle quali viene negata la dignità umana e la tutela dei diritti primari.
Tuttavia questo violento sistema di confinamenti e controllo non riesce a frenare e neutralizzare il desiderio di libertà e le rivendicazioni che caratterizzano questi movimenti migratori.
In Europa infatti si sono susseguite a più riprese proteste, contestazioni, azioni collettive auto-organizzate, “contro-condotte” e diffusi comportamenti di carattere resistenziale.
Ventimiglia è il simbolo del razzismo istituzionale che è ormai pratica quotidiana.
Chi ogni giorno tenta di attraversare il confine rischia di incappare in uno dei numerosi controlli di polizia, basati esclusivamente sul colore della pelle. La discrezionalità dei controlli di frontiera raggiunge casi di aperta violazione delle norme e dei trattati internazionali, come il reiterato respingimento di minori non accompagnati dalla Francia all’Italia.
Chi viene respinto al confine o viene trovato privo di documenti in città, può essere trasferito verso l’hotspot di Taranto o di Crotone.
Queste pratiche di identificazione e deportazione, tristemente comuni a molti altri territori, avvengono quasi quotidianamente con l’intento di “alleggerire” la frontiera, una pratica istituzionale rivelatasi oltre che inumana, anche dispendiosa per le casse dello stato e inutile visto che le persone dopo pochi giorni ritornano a Ventimiglia nel tentativo di raggiungere altri paesi europei.
Ventimiglia è il simbolo della violenza su donne e minori.
Le donne e le minori spesso si mettono in viaggio per sottrarsi alla violenza patriarcale nel paese di origine, ma la violenza di genere è una costante in tutto il viaggio delle migranti.
Le donne in transito non hanno accesso alla salute, alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle malattie sessualmente trasmissibili, non possono richiedere in tempi utili un’interruzione volontaria di gravidanza; le condizioni in cui vengono “accolte” – a Ventimiglia e non solo –  sono insicure, non le tutelano dal rischio di diventare “merce di scambio” e di entrare nella rete della tratta che nutre il mercato della prostituzione.
Le violenze sono all’ordine del giorno per tutte le migranti e avvengono sotto gli occhi di tutti, istituzioni e forze dell’ordine comprese, che persistono però nell’attuare unicamente politiche repressive e di controllo.
In tutta Europa si susseguono attacchi ad ogni forma di solidarietà attiva: dalle navi delle ONG trattate come scafisti, agli arresti di chi aiuta i migranti nel loro percorso, alla continua costruzione di muri fisici e legislativi, fino alle migliaia di avvisi orali, fogli di via e denunce ad attivisti e solidali, colpevoli semplicemente di esprimere solidarietà. A Ventimiglia ad esempio per oltre un anno una ordinanza comunale ha vietato di portare da mangiare ai migranti.
In tre anni si sono susseguiti sgomberi forzati dei campi, blocco delle fontane (unica fonte di approvvigionamento per molti), “pulizia” con le ruspe del greto del fiume Roya, chiusura di luoghi protetti di accoglienza per donne e minori come la chiesa delle Gianchette; un insieme di “soluzioni” che, ben lungi dal risolvere la situazione, la peggiorano.
Per tutti questi motivi costruiamo assieme una mobilitazione collettiva. Una giornata di solidarietà per la libertà di movimento, per uscire dall’isolamento mediatico e rivendicare la dignità e l’autonomia delle persone in viaggio, per affermare l’umanità e la legittimità delle pratiche solidali e per rompere finalmente con una narrazione improntata prevalentemente su logiche eurocentriche e populiste.
Non vogliamo una mobilitazione “per i migranti” ma una mobilitazione che sia con e delle persone migranti. Una mobilitazione che sappia includere tutti e dare vita a linguaggi e progetti coinvolgenti.
Ci rivolgiamo anche a quella parte di cittadinanza ventimigliese che vuole sentirsi soggetto attivo del proprio territorio.
Vogliamo una mobilitazione trasversale che, con la forza della sua determinazione e partecipazione, sappia dare forza e visibilità alle rivendicazioni delle persone migranti e ai diversi percorsi di solidarietà che si stanno sviluppando in tutta Europa (dalla Spagna alla Grecia passando per Calais) contro la barbarie rappresentata dai confini e dalle politiche migratorie.
23 giugno ore 11 assemblea internazionale organizzativa presso Lsoa Buridda, Genova
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14 luglio dalle 14 corteo internazionale a Ventimiglia
Per info e adesioni: mobilitazione14luglio@gmail.com
#permessodisoggiornoeuropeo
#ventimigliacittàaperta
#dirittisenzaconfini
#liberedimuoversiedirestare
#14L

Il 16 e 17 Giugno si è svolto a Bardonecchia un incontro promosso da Asgi. Re.Co.sol Move (per Cambiare l’Ordine delle Cose) Tous Migrants su: “Forum Internazionale sulla riforma del sistema asilo in Europa Accoglienza, solidarietà e libera circolazione delle persone”. 

L’incontro molto partecipato, con realtà presenti da tutta Italia e dalla vicina Francia, ha lanciato il seguente Appello

USCIRE DAL VICOLO CIECO

 Appello del Forum di Bardonecchia per un’Europa spazio di libertà, sicurezza e giustizia per tutti

Constatato che a quasi 70 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritto dell’Uomo (10 dicembre 1948)i diritti sanciti da quella Dichiarazione sono violati in misura crescente e che in particolare nell’ultimo decennio si è assistito a un aumento costante di vittime di persecuzioni e di conflitti armati interni, nonché di conflitti internazionali le cui concause spesso conducono alle politiche miopi attuate per molti decenni, e anche recentemente, dagli stati europei.

Constatato altresì che l’arrivo in Europa dal 2015 di un maggior numero di rifugiati rispetto al passato (e comunque in dimensioni assolutamente sostenibili, ben lontane dall’allarmismo politico e mediatico) pur essendo un fatto inevitabile e prevedibile è stata gestito con grande incapacità mettendo in luce una profonda crisi dei valori etici e giuridici su cui si dovrebbe fondare l’Unione Europea. 

Valutato che l’aumento dei rifugiati in Europa ha indotto la quasi totalità degli Stati dell’Unione a restringere le procedure di ingresso e soggiorno per lavoro dei cittadini stranieri inasprendo un quadro generale già caratterizzato in precedenza da una sostanziale chiusura dei canali regolari di ingresso per motivi diversi dalla protezione e che detta scelta errata ha prodotto una profonda distorsione delle procedure di asilo in tutti i Paesi europei.

Ritenuto inderogabile ed urgente che l’Europa esca dall’attuale vicolo cieco recuperando i valori di equità, libertà e giustizia sui quali è nata.

Il Forum Internazionale tenutosi a Bardonecchia il 17 giugno 2018 lancia un appello ai governi della UE, alla Commissione Europea, al Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo, affinché, nell’ambito delle rispettive competenze, ogni istituzione operi per attuare quanto si propone di seguito

1.

L’Europa ritrovi la propria identità di continente fondato sul rispetto dei diritti umani fondamentali e sul riconoscimento del diritto di asilo a coloro che giungono in Europa in fuga da guerre e persecuzioni e si ponga fine alla indegna criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie che, spesso supplendo alle gravi carenze degli Stati, prestano soccorso e assistenza ai migranti nel mare Mediterraneo, alle frontiere esterne e a quelle interne.

2.

Venga attuato al più presto un nuovo vasto programma europeo di ricerca e soccorso nel mare Mediterraneo che si svolga con modalità tali da assicurare un efficace coordinamento dei soccorsi tra i diversi paesi dell’Unione e che assicuri l’individuazione di un porto sicuro nel minor tempo possibile.

3.

Vengano annullati gli accordi e i partenariati con Stati (o loro presunti rappresentanti) che non garantiscano il rispetto dei diritti umani e non siano firmatari della principali convenzioni internazionali in materia e, comunque non venga sostenuto, anche sul piano finanziario, l’utilizzo di forze marittime o militari armate per limitare o impedire il diritto di migranti e richiedenti asilo di lasciare i Paesi di transito e dirigersi verso il territorio dell’Unione per chiedervi protezione

4.

Al fine di avvicinare la protezione a chi ne ha più bisogno e contrastare realmente il traffico criminale dei migranti, venga avviato al più presto un adeguato Piano Europeo di reinsediamento, con quote vincolanti per ogni Paese dell’Unione, di persone in chiaro bisogno di protezione che si trovino in paesi terzi sottoposti ad arrivi e presenze massicce e che non possono fornire ai rifugiati e ai displaced persons adeguati standard di protezione materiale e giuridica 

5.

Venga abbandonata definitivamente l’idea di potere definire un Paese terzo come “sicuro” a meno che tale Paese preveda nella sua legislazione e nella prassi concreta lo status di rifugiato secondo quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e dal Protocollo del 1967, nonché preveda e garantisca l’applicazione effettiva di altre forme giuridiche di protezione che escludano la possibilità che un migrante sia rimpatriato o inviato in un altro Paese nel quale potrebbe essere esposto a persecuzioni, torture o trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. 

In tal senso inaccettabile risulta la politica attuale dell’Italia e della Unione Europea verso la Libia, paese nel quale sono bloccate decine di migliaia di persone totalmente prive di ogni protezione giuridica e materiale e sono esposte a torture e a ogni altra forma di violenza.

6.

Cessino immediatamente i respingimenti illegittimi di minori stranieri non accompagnati tra i diversi Paesi europei e in particolare quelli verso l’Italia effettuati dalle autorità francesi svizzere in violazione della normativa internazionale, comunitaria e francese e siano resi più celeri i ricongiungimenti familiari ai sensi del Regolamento Dublino affinché i minori non accompagnati e gli altri richiedenti asilo titolari di tale diritto possano ricongiungersi regolarmente ai loro familiari e non siano costretti ad attraversare irregolarmente le frontiere interne all’UE.

7.

Già a partire dalla riunione del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018 i Governi italiano e francese, nonché tutti gli altri Stati dell’Unione si impegnino a sostenere il testo di riforma del Regolamento Dublino III votato dal Parlamento Europeo nel novembre 2017, migliorando quanto più possibile le disposizioni che in quel testo riguardano la condizione dei minori stranieri non accompagnati, e si impegnino a condurre ad esito positivo il processo di riforma in modo di dotare l’Europa entro il 2018 di un nuovo Regolamento che superi definitamente il criterio che attribuisce l’esame della domanda di protezione al primo paese nel quale il richiedente fa ingresso irregolare introducendo un bilanciamento tra il criterio di una distribuzione vincolante dei richiedenti asilo tra tutti i paesi europei basata su parametri oggettivi e il criterio della valorizzazione dei legami significativi del richiedente con un determinato Paese.

8.

Si giunga quanto prima a una modifica dell’attuale normativa dell’Unione che conduca al “mutuo

riconoscimento degli status di protezione internazionale” prevedendo quindi per i beneficiari di protezione non solo di potere liberamente circolare in Europa, ma, in presenza di condizioni adeguate e verificabili, di potere soggiornare per studio o per lavoro in un Paese diverso da quello che ha riconosciuto la protezione.

9.

Si armonizzino maggiormente i sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo nei diversi Stati dell’Unione, oggi troppo diversi tra loro, nella direzione indicata dai modelli di accoglienza “diffusa”

ed “integrata” nei territori con una gestione affidata alle comunità locali, realizzando in tal modo condizioni di libertà e dignità per i richiedenti asilo e accelerando i processi di integrazione socioculturale.

10.

Nella consapevolezza che è inderogabile aprire canali regolari di accesso per motivi diversi dalla protezione in modo da evitare, come oggi accade, che la domanda di asilo sia sostanzialmente l’unico canale di accesso all’Europa, con tutte le gravi distorsioni che ciò comporta, va attivato con priorità un processo di riforma del diritto dell’Unione che introduca una regolamentazione comune degli ingressi regolari di migranti provenienti da Stati terzi per motivi di lavoro, di ricerca di lavoro, di studio e formazione.

Il fascio-razzista sbirro improvvisato

di Salvatore Palidda

Nella storia di tutti gli Stati e anche di quello italiano s’è sempre visto che, grosso modo, “i governi e i leader politici cambiano, ma è la burocrazia dello Stato che continua a governare”. Dopo la Liberazione i leader della Resistenza (comunisti, socialisti, liberali –ma non liberisti-, cattolici e laici) speravano di cambiare un po’ e alcuni (pochi) partigiani diventarono prefetti, questori e dirigenti delle polizie.

Nel sistema bipolare USA-URSS, l’Italia era non solo uno dei tre Paesi che aveva perso la guerra e soggetto a sanzioni, ma anche quello che doveva stare nel blocco occidentale, cioè sotto il dominio dell’alleato-dominante (gli Stati Uniti). Un fatto tanto indiscutibile -sancito già dal patto fra Roosevelt, Stalin e Churchill a Yalta- che anche il PCI era assolutamente deciso a rispettarlo. E fu lo stesso Togliatti (capo del PCI), primo ministro di Grazia e Giustizia che firmò quella che di fatto diventò l’amnistia per quasi tutti i fascisti e collaborazionisti del nazismo, cosa che permise a quasi tutti i burocrati del ventennio fascista di restare al loro posto nei ministeri, negli apparati dello Stato e in particolare nelle polizie. Ancora di più, dopo il cosiddetto “colpo di Stato bianco” con le elezioni del 18 aprile 1948, gli USA ipotecarono definitivamente la sovranità nazionale italiana nel campo degli affari internazionali, della difesa e degli affari militari. In cambio il partito-Stato (la DC) vinse quelle elezioni grazie al sostanziosissimo sostegno non solo Usa ma anche della Chiesa e di tutto l’universo moderato e conservatore e di una parte della sinistra che passò nei ranghi del filo-atlantismo. Da allora la DC ottenne la sovranità negli affari interni. L’uomo chiave divenne Scelba che diede alla DC un controllo di polizia efficace senza lesinare le maniere forti (facendo sparare sui manifestanti in diverse occasioni) e con l’ausilio ancor più efficace della mafia (che non risparmiò gli assassinii di decine di sindacalisti, comunisti e socialisti capi di lotte operaie e popolari).

Dopo la riforma del 1981 (smilitarizzazione della PS ecc.) la gestione delle polizie si avviò a una relativa democratizzazione, ma come è stato ampiamente documentato1, anche in occasione del ventesimo e trentesimo anniversario, questa riforma non è stata mai interamente applicata, anzi fu sabotata e persino deformata.

Sempre in mano a democristiani, è solo nel 1994 che per la prima volta dal 1945 il ministero dell’Interno passa a un politico non solo non-DC ma di un partito nuovo e che era stato sempre all’opposizione, cioè al leghista Maroni. Successivamente dopo brevi intervalli di ministri “tecnici”, passa a Napolitano allora PdS, poi di nuovo a una ex-DC, Russo Jervolino e a un altro sempre ex-DC Bianco, poi a Scajola (anche lui ex-Dc e allora FI) quindi a Pisanu (FI), a G. Amato (PD), alla prefetta Cancellieri, ad A. Alfano, a M. Minniti e infine ora a Salvini.

Preciso subito che non c’è ancora alcuna ricerca su cosa sia cambiato al Viminale dal 1994 a oggi, nulla rispetto all’importanza delle rigorose ricerche svolte da Giovanna Tosatti o da Francesco Bonini sulla storia della pubblica amministrazione e dei diversi libri del celebre maestro in questo campo che è Guido Melis2. Tuttavia non è arbitrario dire che tutti i ministri dal 1994 ad oggi non sembra che abbiamo segnato in qualche modo in maniera significativa la storia di questo ministero e in generale del governo della sicurezza interna in Italia. Nessuno di questi può essere comparato a quanto fece Scelba (nel “male” più che nel “bene” dal punto di vista di uno Stato di diritto effettivamente democratico e quindi nel bene della res publica). Appare invece assai plausibile dire che nei fatti tutti i ministri sono sempre stati “subordinati” all’apparato ministeriale e in particolare al Viminale e ai comandi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Certo, dal 1945 in Italia il potere politico domina le polizie perché è il governo che decide le nomine ai più alti livelli delle forze di polizia e anche dei prefetti e questori. Tant’è che le carriere si “giocano” sempre a condizione di avere un “santo in paradiso”, cioè una protezione politica che effettivamente conta. Ai tempi della DC “partito-Stato” bisognava saper destreggiarsi fra le correnti democristiane. Ma dopo – con il compromesso storico e poi con i sindacati della polizia di stato e le rappresentanze del personale anche delle forze di polizia ancora a statuto militare – il gioco delle nomine dei vertici a livello nazionale e locale è approdato a una negoziazione articolata fra politici, vertici delle diverse forze di polizia, sindacati e rappresentanti del personale (sempre super corporativi). In altre parole, in Italia il controllo politico sulle polizie è diventato sempre più limitato; lo scambio consisteva e consiste ancora nel garantire da parte delle polizie fedeltà al potere politico a condizione di avere autonomia di gestione da parte di ogni forza e concessioni continue di quasi tutte le rivendicazioni di ogni polizia (sempre in concorrenza fra loro, con momenti alquanto accesi come quando il governo D’Alema fece diventare i CC quarta forza armata e di fatto la forza di polizia con più peso rispetto alla PS).

Ma, la scarsa durata dei governi e quindi dei ministri ha di fatto favorito la diminuzione del potere decisionale del governo e aumentato quello dell’apparato ministeriale, dei vertici di ogni forza e dei sindacati. In particolare, il “nocciolo duro” del Viminale è diventato l’apparato che governa il ministero dell’Interno a prescindere dal ministro di turno e dal colore del governo di turno. Ma ricordiamo sempre che il Viminale ha un potere alquanto limitato sui CC, sulla GdF e sulla Polizia Penintenziaria. Inoltre, in questo nocciolo duro contano in particolare alcune “cordate” o reticoli di legami professionali che a volte si confondono con quelle delle comuni origini regionali e ovviamente della comune carriera. Si tratta qui di alti funzionari (tutti prefetti provenienti sia dall’apposita carriera di questa categoria, sia per nomina grazie al famoso “lodo” che volle l’allora capo De Gennaro); se oggi sono ancora in funzione vuol dire che se erano già in servizio nel 1981 da quasi a 40 anni sono dipendenti del ministero dell’Interno. Ne consegue che praticamente tutto il personale delle polizie e dei vertici di oggi è in servizio da dopo il 1981. Si ha quindi un universo professionale che “nasce” in un mondo ben diverso da quello dell’epoca scelbiana, un mondo in cui entra in gioco un altro fattore particolarmente influente: il gioco finanziario legato alle nuove tecnologie e alla comunicazione. Fattore che pesa ancora di più nel divenire delle forze armate ma in generale in tutto l’universo della sicurezza interna e degli affari militari che con la Revolution in Military Affairs sono progressivamente ibridati (reciprocamente -dal 1991 in poi).

Ricordiamo anche che in Italia non c’è mai stata attenzione dei politici su cosa sono e come funzionano le polizie. Le commissioni parlamentari interni si sono sempre occupate di elezioni e altre questioni per i partiti molto più importanti, mentre solo qualche parlamentare s’è dedicato alle polizie ma sempre con una certa distanza. Se si potesse fare una seria verifica su cosa conoscono i parlamentari di queste commissioni si scoprirebbe che non ne sanno molto più di quanto ne sappiano i comuni cittadini un po’ acculturati. Del resto gli stessi operatori di tutte le polizie sanno che è impossibile conoscere bene i diversi meccanismi, dispositivi, procedure e dinamiche delle polizie italiane (di gran lunga più complicate di quelle degli altri paesi comparabili perché è un universo di tanti piccoli feudi il cui primo obiettivo è difendere il proprio “orticello”). Tutto ciò fa ben capire che i neo-ministri dell’interno se non vogliono scivolare in clamorose gaffe ed evitare di mettersi in ridicolo hanno interesse a seguire attentamente quanto consigliano loro i funzionari dell’apparato ministeriale.

L’ultimo ministro approdato al Viminale è Salvini che – anche in virtù della promessa di essere il leader del “grande cambiamento” rispetto a tutti i governi precedenti – ha adottato l’attitudine del tribuno di comizi elettorali più che da ministro. In realtà questo neo-ministro non ha detto nulla che riguardi le forze di polizia concentrandosi sempre su ciò che appare come la sua ossessione contro l’immigrazione e i rom e sulla generica promessa di togliere ogni inibizione alla “legittima difesa”. Il tono, la forma e il contenuto del profilo che s’è costruito Salvini sposano quell’intolleranza viscerale che palesemente punta al gioco politico che usa il “nemico di turno”, imitando un po’ il duce e Trump. Per ora questo gioco sembra garantirgli successo; ma dov’è il grande cambiamento? Ben al di là dei proclami altisonanti, le poste in gioco dell’attuale congiuntura storica nel campo della sicurezza e delle polizie sono totalmente ignorate. Qualsiasi operatore di polizia sa bene che l’andamento della criminalità mostra un netto calo di tutti i reati e in particolare di quelli più gravi. Osserviamo peraltro alcuni dati indiscutibili:

1) dal 1990 a oggi la delittuosità è diminuita mentre gli immigrati (regolari e irregolari) sono aumentati di quasi 10 volte. Ergo: l’aumento degli immigrati non fa aumentare la criminalità che anzi è diminuita.

2) I 500 mila immigrati cosiddetti clandestini sono in stragrande maggioranza overstayers(ciò a detta dello stesso Viminale); sono ben noti alle polizie e tutti gli operatori sanno che nella stragrande maggioranza dei casi lavorano e sono persino schiavizzati.

3) la quantità più alta delle economie sommerse e quindi del lavoro nero, neo-schiavitù, caporalato, evasione contributiva e fiscale, corruzione e intrecci fra legale e criminale si situa proprio nel Nord e nel centro del paese proprio perché è al nord che c’è la maggioranza delle attività economiche legale che si nutrono di sommerso. E Salvini sa bene che proprio nei suoi feudi elettorali c’è tanto “sommerso” (per esempio nella Valle della gomma-lago d’Iseo come un po’ in tutta la pianura padana e anche nell’Emilia già feudo elettorale del PD).

4) Come mostrano foto satellitari, inchieste giudiziarie e persino vari video-documentari, purtroppo tutta la pianura padana è una delle due zone più inquinate d’Europa (la seconda è la Ruhr). Il bresciano e in genere tutta la Lombardia sono considerate come la Terra dei fuochi del Nord. Il Veneto è infestato da pesticidi e altri veleni buttati persino a pioggia sui vigneti e i frutteti.

Allora Salvini che ama tanto gridare “prima gli italiani”, com’è che non parla di queste insicurezze che sono la prima causa di morte anche fra i suoi stessi elettori?

Ormai da anni in tutto il mondo si muore innanzitutto di malattie dovute a contaminazioni tossiche: queste sono le insicurezze ignorate che oggi tutte le agenzie di prevenzione e controllo e quindi anche tutte le forze di polizia dovrebbero considerare comme priorità operative. Perché sappiamo bene che queste insicurezze proliferano perché ci sono intrecci e persino ibridazione fra attività legali e altre criminali, c’è corruzione, connivenze e complicità anche nei ranghi di queste istituzioni. Allora per esempio, perché non programmare che tutta l’attività delle forze di polizia si incardini in programmi locali e nazionali di operazioni interforze insieme alle agenzie di prevenzione e controllo e anche l’ausilio delle associazioni di volontariato e soprattutto le vittime di queste insicurezze ignorate che ovviamente includono le economie sommerse (vittime sono sia italiani che immigrati, regolari e irregolari).

Non è difficile capire che questo neo-ministro conosce poco persino delle due cose di cui straparla tanto e rischia assai di cambiare ben poco rispetto a quanto ha promesso (ma genericamente) ai suoi elettori. Ed è anche probabile che per diversi motivi (e magari spesso inconfessabili) buona parte dei vertici del Viminale e delle forze di polizia saranno costretti a raddrizzare i proclami di questo ministro, ammesso che riesca a durare. Non è peraltro escluso che qualche funzionario illuso di poter fare una carriera insperata possa alimentare le ambizioni o velleità di Salvini e allora la maggioranza dell’apparato tenderà a mettere entrambi con le spalle al muro.

E’ allora più che mai importante sostenere i pochi operatori delle polizie che sono antifascisti, antirazzisti e antisessisti.

della Porta D. e Reiter H. 2003, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global», Bologna: Il Mulino; Palidda, S. 2000. Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale. Milan: Feltrinelli. e https://www.academia.edu/33927435/Palidda_CV_2017.pdf

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