Pensare i cambiamenti del reale è un esercizio faticoso. Non basta avere le “categorie” o la famosa “cassetta degli attrezzi”. Bisogna piegarsi sull’oggetto dell’analisi e scoprire ciò che rivela di nuovo. Se fosse sempre uguale l’enunciazione delle formule stilate nel passato sarebbe forse sufficiente a restituire un quadro concettuale coerente e corrispondente all’oggetto. Se invece il reale cambia, seguendo leggi di movimento che sono sempre le stesse ma che producono “stati concreti” sempre mutevoli, ecco che le giaculatorie vagamente pretesche di certa “sinistra” suonano vuote, inutili, inservibili.
Senza alcuna pretesa di restituire immediatamente un quadro più efficace, pubblichiamo qui un contributo di Senza Soste (per errore, nella prima versione, avevamo scritto Wu Ming; ci scusiamo con tutti, ndr), perché ci sembra utile ad aprire una discussione vera e seria.
Non siamo naturalmente d’accordo su ogni singola affermazione – la scienza di Marx, per esempio, ci aiuta a capire il presente ben al di là del solo capitolo 23 de Il Capitale – ma è comunque un buon inizio.
Muoversi nel presente biascicando parole (non “concetti”) prese da Repubblica o il Corriere non consente di capire letteralmente nulla dei processi in corso.
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Wu Ming, Marx e l’esercito industriale di riserva
Un articolo che vuole aprire un dibattito su lavoro, capitale, tecnologia, produzione ed immigrazione partendo da dati reali e cicli storici.
La foto che correda questo articolo è stata scattata a Chemnitz in questi giorni. Si tratta della città che, fino alla caduta del muro, si chiamava Karl-Marx-Stadt e non deve quindi stupire la presenza del monumento dedicato all’autore del Capitale.
L’istantanea ci rende qui un Marx sotto un cielo plumbeo, avvolto da manifestanti di estrema destra che brandiscono cartelli che recitano “fermare l’alluvione di immigrati!”. Spunta anche una bandiera tedesca con il Bundeswappen, lo stemma federale, che vanta una genealogia che risale a ben prima dello stato nazione. Quindi effetto urgermanisch, germanico ancestrale, garantito. Con la polizia, in un disordinato cordone sanitario attorno ai manifestanti, che favorisce l’impressione di abbraccio tra i dimostranti e la statua.
Eppure lo sguardo monumentale e severo di Marx verso il basso, verso i manifestanti, suggerisce un confronto tra le due dimensioni, con l’autore del Capitale che sembra a stento trattenere uno sguardo che incenerisce chi lo circonda.
E’ il Marx di oggi, riportato improvvisamente alla luce dai comportamenti dell’estrema destra. Un Marx che appare nella cronaca tra estetica dell’equivoco e quella della presenza, in qualche modo, ineliminabile. Qualcosa di simile – tra l’equivoco e la presenza non azzerabile – avviene anche da noi. Come testimonia il dibattito sul concetto di “esercito industriale di riserva” ripreso anche da autori formalmente o informalmente vicini alla maggioranza gialloverde (come Bagnai e Fusaro) che suggerisce un ruolo progressista, di difesa della classi popolari dal contenimento dell’immigrazione.
Contro queste posizioni si è espresso, tra l’altro, Mauro Vanetti su Wumingfoundation nella miniserie “Lotta di classe, mormorò lo spettro” scritta in due puntate, che linkiamo in fondo.
La ricostruzione di Vanetti è fluviale ma molto utile. Ad esempio su due questioni, sostanziali, che riguardano direttamente Marx e Lenin. Del primo viene riportata la celeberrima risposta riguardante il comportamento da tenersi, da parte degli operai inglesi, sulla questione dell’immigrazione irlandese: non dividetevi, fate lotta di classe assieme e moltiplicatevi. Del secondo emergono le considerazioni, a lungo trascurate, di Lenin sulle richieste, durante il congresso della seconda internazionale a Stoccarda nel 1907, di far passare posizioni di blocco dell’immigrazione cinese in Usa.
Lenin, che considerava queste posizioni succubi dell’ideologia colonialista, stava maturando le posizioni espresse nel celebre testo sull’imperialismo di dieci anni dopo: tanto più si diffonde il nazionalismo, tanto più è forte la tendenza, da parte dei paesi espressione della grande finanza, a sottomettere i paesi che oggi vengono chiamati emergenti. Una posizione nazionalista da parte della classe operaia, per Lenin, non farebbe che legittimare i comportamenti della grande finanza. In poche parole, per l’architetto della rivoluzione d’ottobre i tentativi politici, a sinistra, di blocco dei flussi migratori, favoriscono, a destra, l’imperialismo che poggia sulle esigenze dei flussi di capitale.
Oggi, come nel periodo del congresso della seconda internazionale a Stoccarda (epoca di Lehman Brothers anche quella con la grande crisi di borsa del 1907-8, le globalizzazioni si somigliano..) emergono posizioni che vogliono che un eventuale blocco dell’immigrazione tuteli la, chiamiamola, classe operaia e la sua funzione progressista. Posizioni alla Fusaro, per capirsi, che giocano sul paradosso, maliziosamente rivestito da astuzia della storia, di un governo di destra che fa politiche di sinistra. E in Italia solo un governo di destra può farle, queste politiche di sinistra, se si legge Bagnai.
Lasciamo qui perdere l’approccio antropologico conservativo, l’idea che una classe subalterna possa perdere la propria carica progressista se messa a contatto con culture subalterne migranti, che in Italia al momento non interessa quasi a nessuno. E andiamo un attimo da Marx per evidenziare alcuni passaggi.
Questo non prima di ricordare uno slittamento di significato. La metafora dell’esercito industriale di riserva, tratta espressamente dalla cultura militare, oggi non può non fare i conti con la mutazione dell’idea di guerra, come di quella di esercito, degli ultimi 150 anni. All’epoca, grandi eserciti si confrontavano sulla superficie dell’Europa mentre, nei periodi di pace, grandi fabbriche erano abitate da masse brulicanti. La interscambiabilità tra operaio e soldato, spesso era la stessa figura sociale in stagioni differenti, aiutava a pensare il mondo della guerra e quello della produzione, anch’esso agitato da conflitti, con simili modi di pensare. Tanto che nel primo libro del Capitale (capitolo 23, La legge generale dell’accumulazione capitalistica) l’analisi della crescita della popolazione inglese, dagli anni ’40 agli anni ’60 dell’ottocento, assume il significato sia della comprensione dello sviluppo dei fattori conflittuali contenuti nella produzione che dell’emergere dell’esercito industriale di riserva destinato a contenerli.
Oggi, l’esercito e l’esercito industriale di riserva, sono un’altra cosa: diminuiscono i numeri degli effettivi degli eserciti in Europa, e e le unità produttive tanto più evolvono tecnologicamente tanto meno impiegano forza lavoro. Insomma la metafora bellica applicata alla produzione è qualcosa che oggi implica piccoli numeri di effettivi impiegati, grande potenza d’impatto e alta tecnologia. Con quest’ultima che impone i ritmi delle mutazioni sia al modo di fare produzione che a quello di fare la guerra. E con un’altra mutazione essenziale: ai tempi di Marx l’esercito era un’ottima metafora per indicare i processi di centralizzazione e di messa a produttività di qualsiasi fenomeno grazie a una ristretta gerarchia di comando. Oggi guerra e tecnologia favoriscono conflitti asimmetrici, decentralizzati e complessi che mettono in difficoltà l’idea di centro, e di comando, di intere porzioni di realtà.
Insomma l’idea che l’esercito industriale di riserva sia una qualcosa meramente legato alla moltiplicazione delle braccia, che siano bianche o immigrate, è oggi qualcosa di meno immediato di quanto si possa pensare. Ma lo è anche in Marx che, nel capitolo 23 prima citato, pone lo sviluppo tecnologico, e non solo i flussi demografici, come precondizione per la formazione di un esercito industriale di riserva all’interno delle leggi di accumulazione del capitale.
L’esercito industriale di riserva, in Marx, viene creato giocoforza dal miglioramento produttività capitalistica e dalla necessità di abbassare i salari. Ma non è, in Marx, il solo fattore demografico a determinarlo e, tantomeno, a organizzarlo. Determinante risulta il complesso delle macchine, all’interno di quello che chiama “le condizioni tecniche del processo di produzione”, e quello dei trasporti. Oggi diremmo che stiamo parlando di hardware e logistica e non sbaglieremmo nel vedere in Marx in qualcuno che ha visto bene la nascita di questi processi nella società moderna, quelli che si sono evoluti poi nelle forme che conosciamo.
Ma a Marx non manca nemmeno la visione del software, ovvero la capacità di sfruttare, da parte del capitale, “le potenzialità intellettuali del lavoro umano nello stesso modo in cui la scienza si incorpora [nella produzione] come forza indipendente”. In poche parole le braccia, nella creazione dell’esercito industriale di riserva, sono una condizione ma i veri fattori di creazione di questo esercito stanno in quella che Marx chiamava maschinerie, il macchinismo, nella nascente logistica, nella scienza che assumerà ruolo centrale produttivo nel frammento sulle macchine. E, sempre nel capitolo 23, proprio nelle sezioni dove si parla di esercito industriale di riserva vengono fissate le leggi generali dell’accumulazione capitalistica (sezione 5). E, in queste leggi generali, il rapido declino del salario, tra gli operai, non è dovuto all’esercito industriale di riserva ma al ciclo espansione-crisi tipico dell’economia capitalistica e alle crisi finanziarie. Crisi come nella grande crisi, espressamente citata in questa sezione del Capitale, della London Bank del 1867, e della finanza speculativa da essa legata, che mise sul lastrico il settore dei cantieri navali londinesi (e, con questo la classe operaia che vi lavorava).
In poche parole, a parte l’utile e divertente articolo di Vanetti, pensare che la destra, cercando di espellere gli immigrati, stia facendo una politica di sinistra, salvaguardando le condizioni di riproduzione delle classi lavoratorici è qualcosa che ha a che vedere con la sfera della polemica ma non con quella della realtà. Perchè, per assurdo, mantenendo stabile o contraendo una popolazione non si elimina la maschinerie, la moderna tecnologia, la logistica, la scienza. Tutti i fattori che oggi permettono di risparmiare, se non di fare totalmente a meno, della forza lavoro.
Vediamo infatti in breve un fantascenario: eliminando, manu militari, tutti gli extracomunitari che raccolgono il pomodoro a Cerignola non ci sarebbero oggi le condizioni economiche per assumere le braccia dei bianchi a salario sindacale. Ma quelle per la completa meccanizzazione, in connessione con la logistica più evoluta, del processo lavorativo riducendo il lavoro a costo zero.
Anche pensare che l’immigrazione sia legata ad un inevitabile processo di declino del salario è storicamente sbagliato. Basta vedere l’evoluzione del salario, dagli anni ’50 alla fine degli anni ‘70, dei paesi ad alta immigrazione ed alto sviluppo in Europa (Francia, Belgio, Gran Bretagna, Germania). O al fatto che in Cina, paese dotato di un infinito esercito industriale di riserva come di una seria politica di sviluppo tecnologico, il salario tende a crescere.
Il problema è che c’è una sinistra che è talmente spiazzata dai processi in corso che pensa con contorsioni concettuali talmente accentuate da rendersi poco conto di cosa sta dicendo.
Ma questo spiazzamento, alla fine, tocca anche alla destra. Si pensi che l’Ungheria di Orbàn, con tassi di crescita negli ultimi anni sempre superiori al 3% e con le frontiere sigillate, comincia ad avvertire la mancanza di forza lavoro. Importerà manodopera, tecnologie o avvierà un ciclo di stagnazione? E si tratta di fenomeni che il sovranismo lo sgretolano, ci mancherebbe.
Una cosa è certa, il capitale non sta mai fermo. O va comunque più veloce dei modi contorti che la politica di oggi usa per pensarlo.
Ecco qui i link
parte 1
https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/06/marx-immigrazione-puntata-1/
parte 2
https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/06/lenin-immigrazione-puntata-2/#leninnoborder
Naturalmente interventi costruito secondo opinioni o punti di osservazione differenti, in un dibattito così sentito, sono benvenuti. La foto di Marx a Chemnitz si può vedere in tanti modi.
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Albino
Mauro Vanetti, non Diego. L’autore del pezzo è lui, i Wu Ming lo hanno ospitato sul loro blog Giap.
Redazione Contropiano
corretto, naturalmente… il refuso era nel pezzo di Senza Soste, ripetuto tre volte…
e anche il capitolo de Il Capitale – La legge generale dell’accumulazione capitalistica (non “le leggi”…) – è il 23°, non il 25°…
Eros Barone
Quei volgari cialtroni e quegli avventuristi senza scrupoli che controllano il governo scatenano campagne xenofobe e razziste in un paese che non potrebbe funzionare senza lavoratori stranieri. Tralasciamo per un momento la scienza e facciamo allora questo semplice esperimento mentale: se per incanto in una notte tutti gli immigrati tornassero ai loro paesi, l’Italia andrebbe in rovina. La mattina dopo chiuderebbe buona parte delle fabbriche, si bloccherebbe l’attività nell’edilizia, frutta e pomodori resterebbero a marcire sulle piante, servizi e trasporti in gran parte si fermerebbero e milioni di anziani sarebbero abbandonati a se stessi, privi dell’assistenza delle badanti. Ma quella banda di imprenditori della paura che si è impadronita delle leve del governo approfittando del disorientamento e del disgusto generati tra le masse popolari dai loro predecessori non si pèrita di agitare quei temi (xenofobi e razzisti) in un paese come l’Italia, che è stato un paese di emigranti; in un paese che ha conosciuto le leggi razziali emanate 80 anni fa dal regime fascista contro i cittadini italiani appartenenti all’etnia ebraica.
daniela
molte grazie per aver pubblicato commento e links, è un’analisi che merita di essere conosciuta e diffusa ampiamente
ROBERTO DI CICCO
bisognerebbe cercare di puntare l’attenzione su come il differenziale di livello tecnologico nei vari settori produttivi faccia sì che il segmento tecnologicamente più avanzato riesca a trarre più profitto dal suo poter aumentare produttività nell’unità di tempo e a parità di costo, rispetto ai segmenti più arretrati, pur disponendo di ridotta forza lavoro da cui estrarre plusvalore. L’avanzamento tecnologico, l’incremento demografico mondiale e tanti altri fattori come l’aumento dell’età media, ecc., certamente comportano aumento di eserciti industriali di riserva. Ma, a mio parere, questo differenziale di livello tecnologico innesca diversamente l’efficacia del poter disporre di un esercito industriale di riserva, a seconda se ci si trovi nel segmento più avanzato o in quello più arretrato. Il segmento più avanzato, pur necessitando di minor forza lavoro, può ricavar maggior produttività in forza del suo “macchinismo” e tener comunque bassi i salari per la presenza dell’esercito industriale di riserva, mentre il segmento più arretrato, per far fronte a tale concorrenza e poter comunque estrarre del profitto, ricorre a una maggior disponibilità di forza lavoro viva ma da sottopagare fino a salari miserevoli, a stento capaci di consentire la riproducibilità della sua stessa f. l. (es. : raccoglitori di pomodori). E’ presumibile che il segmento più avanzato abbia relativamente bisogno, ma non in grande quantità visto che i suoi processi di automazione già naturalmente generano abbastanza esercito industr. di riserva, di forza lavoro immigrata ma, comunque, quella parte di immigrati a cui ricorre certamente le consente di tener bassi salari e disporre di questa f. l. in patria stessa senza dover ricorrere a delocalizzazioni. Allo stesso tempo credo che invece il segmento più arretrato tenga molto di più alla f.l. immigrata perché altrimenti i costi di produzione a salari più regolari, non le consentirebbero di reggere alla concorrenza dei livelli più avanzati, anche perché i prezzi dei prodotti non vengono stabiliti da lei stessa ma vengono stabiliti nei livelli alti della catena della distribuzione del lavoro. In certe situazioni e momenti storici non di crisi o di impetuoso sviluppo come in Cina, evidentemente l’esercito industr. di riserva incide relativamente, ma in periodi di crisi, e con rapporti monetari come quelli attuali presenti nell’eurozona, questi meccanismi generano mostruosi fenomeni di xenofobia come quelli a cui stiamo assistendo ma, almeno per ora, ed in Italia, il problema migranti è ampiamente sopravvalutato, mentre il fenomeno automazione ed avanzamento dell’A.I. è altrettanto ampiamente sottovalutato !
Gigi D’Alessio
Credere che indicare una problematica relativa all’esubero di forza lavoro accresciuto dall’immigrazione equivalga ad indicare la “xenofobia” come soluzione, o ad identificare come “di sinistra” le politiche che limitano l’immigrazione è come dire che l’analisi dell’aumento del capitale fisso rispetto a quello variabile, ovvero il progresso tecnologico che sostistuice gli uomini le macchine, sia indicare il luddismo come superamento del problema.
Dato per ovvio (per un marxista, quantomeno) il funzionamento complessivo del sistema capitalistico, in relazione alla sua crescente tecnologizzazione, e all’aumento di produttività, che ne segnano l’insostenibilità a lungo termine e determinano la caduta tendenziale del saggio di profitto ed evitando di divagare con concetti come “non sempre una grande disponibilità di forza lavoro determina il calo del salario”, bisogna guardare quel che l’Italia è ora: uno dei paesi maggiormente in crisi, fortemente in bisogno di rilanciarsi industrialmente e aumentare la propria competitività sul mercato mondiale, a fronte non solo dei progressi tecnologici, ma anche della competizione con salari più bassi presenti altrove: è ovvio in queste circostanze quale sia l’effetto di un esubero di forza lavoro, ed è ovvio che la borghesia ne abbia bisogno e lo cerchi, e lo dichiari esplicitamente, pur edulcorandolo con spiegazioni di sostenibilità. È Confindustria stessa che ce lo dice con un documento come “Migranti – da emergenza a crisi” dandoci pure le quantità che ritiene necessarie, evidentemente per il proprio tornaconto. I discorsi “senza gli immigrati il paese non funzionerebbe” sono puramente borghesi.
Ci si nasconde dietro mignoli e cincischiamenti, come l’approccio scolastico di chi ci tiene a sottolineare che “Marx parlava di esercito industriale di riserva come un fenomeno aprioristico rispetto all’immigrazione’. Non c’entra un cacchio. E’ pura accademia. Quel che conta è il meccanismo individuato, il funzionamento in un contesto specifico, non l’origine di una terminologia, e o fenomeno nella sua manifestazione primaria. Il contesto specifico è quello detto: 40% di disoccupazione giovanile e grave crisi nazionale a lungo termine, nel contesto di quella mondiale. Se i disoccupati italiani ancora famiglie e ammortizzatori a cui aggrapparsi, si cerca un altro modo per abbassare i salari: gli immigrati. L’immissione relativamente massiccia di immigrati (mezzo milione tra 2010-2016) crea tensioni con gli autoctoni per diversi motivi – non è solo propaganda salviniana, ci sono anche effettivi disagi: attaccare i leghisti o simili su questioni razziali, umanistiche ecc. ha un significato politicamente vuoto e controproducente
Al netto che l’anti-immigrazionismo di per sè non risolve niente, i discorsi sul “senza di loro il paese crollerebbe” sono puro appoggio alle politiche borghesi che costringono migrazioni e favoriscono sfruttamenti: la questione non è l’accoglienza o il respingimento, il discorso è lo scontro con la macchina e i suoi ingranaggi.
I richiami alla solidarietà e all’umanesimo e alla morale e all’idealismo lasciamoli agli ipocriti del PD e di Liberi e Uguali, che promuovono politiche di sfruttamento e di bombardamento e poi fanno i cuori sanguinanti a favore dell’accoglienza.
Sia la questione tecnologica che quella dello sfruttamento dell’immigrato e del suo utilizzo per abbassare i salari sono veri e fanno parte del capitalismo.
Lo scontro è con il capitalismo.