Con quanto è successo quest’anno attorno al 10 Febbraio, nel nostro paese abbiamo oltrepassato il livello di guardia.
È stato infatti abbattuto ogni residuo tabù in merito alla possibilità di offendere i valori antifascisti fondanti la nostra Repubblica, di distorcere in modo indecente la auto-percezione e coscienza storica della nazione. Siamo stati inoltre gettati in un clima di intimidazione permanente, una vera e propria “caccia alle streghe” – come l’ha definita Alessandra Kersevan – nei confronti dei pochi che non si allineano alla canea revisionista e revanscista.
GIORNO DEL RICORDO 2019
Quest’anno, le urla di Antonio Tajani per “Istria e Dalmazia italiane” hanno causato un nuovo incidente diplomatico con Slovenia e Croazia. Alla trasmissione in prima serata televisiva del film di propaganda fascista “Red Land / Rosso Istria” non hanno fatto seguito formali proteste da parte di alcuno, così come non ci sono state reazioni importanti alle affermazioni deliranti di Salvini su “i bimbi delle foibe e i bimbi di Auschwitz”. Alle invettive di Mattarella, che non è uno storico, contro gli storici da lui definiti “negazionisti”, ha fatto eco il presidente della Regione FVG secondo il quale tale “negazionismo è lo stadio supremo del genocidio“. Dopo che alla Commissione Cultura della Camera è passata una nuova Risoluzione che nega nelle scuole la facoltà di parola agli antifascisti in tema di Confine Orientale, gli squadristi di Blocco Studentesco hanno diligentemente applicato il provvedimento interrompendo, due giorni fa, una conferenza dell’ANPI all’Istituto Giordano Bruno di Roma. Per non parlare dei divieti di utilizzo delle sale comunali e pubbliche per le nostre iniziative, divieti che ogni anno abbiamo subito ma che sono oramai divenuti sistematici.
Ecco dunque sotto agli occhi di tutti le conseguenze ultime della istituzione del Giorno del Ricordo; conseguenze ” gravissime” e non semplicemente “gravi” come le ha definite un paio di anni fa lo storico moderato, di area democristiana, Raoul Pupo.
Noi andiamo lamentando tale gravità sin dall’inizio, cioè dal 2004 – anno di promulgazione della Legge istitutiva. In effetti la propaganda su “foibe” ed “esodo” era stata scatenata a livello di massa già prima, dalla metà degli anni Novanta, sulla base di molte menzogne e di lenti di ingrandimento ad hoc che fanno apparire come abnormi fatti sostanzialmente assimilabili a quelli accaduti ovunque durante la Seconda Guerra Mondiale. Inizialmente poteva sembrare che tale propaganda fosse solo la vendetta morale di chi avendo perso la guerra voleva adesso una rivincita dal punto di vista del giudizio storico; certamente, questa propaganda è anche la modalità specifica italiana di partecipare a quella riscrittura della Storia, che è in corso in Europa, dalla Croazia all’Ucraina alla Polonia, ovunque la politica abbia bisogno di un puntello ideologico alla operazione di inversione degli esiti della Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, la vera e propria escalation cui assistiamo di anno in anno, e la crescita degli investimenti in risorse finanziarie e di altro tipo, soprattutto da quando è stato istituito il Giorno del Ricordo, non sono spiegabili se non riferendosi ad interessi molto concreti e strutturali .
DOVE VOGLIONO ANDARE A PARARE
Il noto massone Augusto Sinagra, legale di fiducia di Licio Gelli ed avvocato dell’accusa nel “processo foibe” che fallì ignominiosamente negli anni Novanta, all’epoca dichiarò che “il disfacimento della Jugoslavia” riapriva “per l’Italia prospettive un tempo impensabili, per dare concretezza all’irrinunciabile speranza di riportare il Tricolore nelle terre strappate alla Patria dal diktat [cioè dal Trattato di pace] e dal trattato di Osimo”.
Negli anni successivi, l’integrazione di Slovenia e Croazia nella UE ha reso ardua, almeno per la fase attuale, tale prospettiva neo-irredentista, cioè di vero e proprio cambiamento dei confini. Ciononostante rimane un interesse geo-strategico ad esercitare pressioni ai danni dei nuovi piccoli Stati balcanici, sorti dallo squartamento della Jugoslavia, i quali non possono efficacemente difendersi né dalle campagne propagandistiche – essendo stati essi stessi fondati sulla diffamazione dell’esperienza jugoslava – né tantomeno dalle mire neocoloniali dei paesi limitrofi. In particolare, si punta tuttora:
Queste sono le chiavi di lettura materiali, alle quali nessuno fa mai riferimento, ma che invece dovrebbero incardinare il nostro discorso critico ogni volta che si scatena la propaganda sul Confine Orientale.
Noi possiamo organizzare infatti 100mila iniziative su questo o su quell’aspetto specifico riguardante il Confine Orientale, sui crimini italiani o sui falsi delle foibe, ma se non sintetizziamo una analisi critica complessiva sul perché lo Stato italiano da una ventina d’anni abbia investito tanti milioni di euro per una narrazione anti-fattuale su questi temi, non andremo mai al cuore del problema.
COME INTERVENIRE
Dico questo perché, rispetto alla feroce offensiva in atto, esistono tra gli antifascisti strategie diverse, idee diverse sulle priorità, cioè su cosa sia più importante fare o evidenziare.
Qualcuno dice: dobbiamo ricordare e celebrare il carattere internazionalista di quella Resistenza. Si tratta allora di ricordare i 40mila partigiani italiani inquadrati nell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, oppure di rievocare anche la storia simmetrica, quella degli antifascisti jugoslavi dapprima internati nei tanti campi di concentramento italiani e poi operanti nella Resistenza sul nostro Appennino, vicenda cui noi ci stiamo dedicando da qualche anno.
Qualcun altro dice che si deve piuttosto parlare dei crimini italiani, cioè del contesto di occupazione militare e di prevaricazione nazionale da parte del nazifascismo.
Altri ancora ritengono che sia prioritario entrare nel merito della questione “foibe” con ricerche di carattere storico e statistico che sbugiardano le esagerazioni della vulgata. Ecco allora, ad esempio, il nuovo ottimo libro di Claudia Cernigoi “Operazione Plutone”.
In effetti, di iniziative controcorrente importanti, anche dirompenti e di alto livello, ne sono state organizzate molte fino ad oggi. Su questi temi hanno lavorato egregiamente i ricercatori del gruppo Resistenza Storica formatosi attorno alla editrice KappaVu. Esistono comitati antifascisti, come quello di Parma, che ogni anno promuovono iniziative pubbliche di controinformazione nel Giorno dei Ricordo. Sono state iniziate campagne, come quella su “Magazzino 18” di Simone Cristicchi, che hanno fortemente disturbato i manovratori in alcuni frangenti. Abbiamo creato siti internet come Diecifebbraio.info dove si può trovare tutta la documentazione rilevante su questi temi, per contrastare la propaganda dominante.
Ogni approccio ovviamente va bene: ogni iniziativa è opportuna soprattutto se accresce la conoscenza e se permette di rifuggire dalla sterile dimensione dello scambio di insulti via Facebook.
Tuttavia non basta! Non basta, perché il problema principale che dobbiamo affrontare quando arriva il Giorno del Ricordo è proprio… il Giorno del Ricordo! Cioè questa ricorrenza che è stata introdotta per legge nel calendario civile, con il suo significato e le sue conseguenze.
L’ANPI E IL “GIORNO DEL RICORDO”
Per spiegarmi faccio l’esempio della posizione ufficiale dell’ANPI, che appare mirata a “limitare il danno” derivante dalla istituzione del Giorno del Ricordo .
All’origine l’ANPI non espresse una contrarietà netta, evidentemente risentendo dell’influenza del Partito Democratico i cui esponenti avevano partecipato al processo istitutivo (sin dall’incontro Fini-Violante a Trieste nel 1998) fino ad approvare il testo della Legge n.92/2004 contentandosi del fatto che esso contiene un accenno alla contestualizzazione nella “più complessa vicenda del confine orientale”.
Perciò, già nel primo decennio della Legge le sezioni ANPI sono andate in ordine sparso, talvolta promuovendo iniziative fortemente critiche, talaltra partecipando a incontri con esponenti dell’associazionismo revanscista istriano-dalmata nella logica della “memoria condivisa”. Quest’ultimo spirito è quello che sottende anche alla “pacificazione” promossa in Friuli attorno alla questione di Porzûs, per cui reduci partigiani garibaldini si sono incontrati con reduci combattenti “osovani”.
Solo nel 2015, a seguito dello scandalo scoppiato sul caso del repubblichino Paride Mori e quindi alla scoperta di centinaia di riconoscimenti assegnati a caduti che “facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia” – riconoscimenti di cui ci dirà in dettaglio Sandi Volk – l’ANPI ha chiesto di sospendere gli effetti della Legge sul Giorno del Ricordo. Viceversa, però, i termini per i suddetti riconoscimenti sono stati prorogati per ulteriori 10 anni: di qui nel 2016 una lettera dell’allora presidente nazionale ANPI Carlo Smuraglia con richiesta di chiarimenti, in particolare, agli esponenti PD Del Rio e Serracchiani, lettera cui non è stata data alcuna risposta pubblica.
A dicembre 2016 il Comitato Nazionale ANPI approvava il documento “Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni”, sintesi di un seminario interno, nel quale però non si affronta la questione dei “premiati” né si contesta l’istituzione del Giorno del Ricordo.
Nel 2018 la neo-presidente nazionale Carla Nespolo salutava il convegno di Torino “Giorno del Ricordo. Un bilancio”, oggetto di un attacco politico-giornalistico e del divieto di celebrazione in una sala comunale. Tuttavia nel 2019, con una svolta di 180°, la stessa Carla Nespolo ha criticato come “non condivisibile” il convegno di Parma “Foibe e Fascismo”, quattordicesimo di una serie che per lunghi anni aveva sempre avuto la partecipazione dell’ANPI.
ALLARME ROSSO PER L’ANPI
Con questa presa di posizione della Nespolo parrebbe iniziare una fase di aperto distanziamento dell’ANPI dalle ricerche storiche che su questi temi hanno realizzato in particolare il gruppo di ricercatori indipendenti di Resistenza Storica e Diecifebbraio.info. Questo è ovviamente molto inquietante, ma a ben vedere è difficilmente evitabile se si assume la premessa dell’avversario, cioè che, a prescindere da ogni ricerca scientifica nel merito e da ogni distinguo sulla moralità della Resistenza, le “foibe” sono comunque state “una tragedia nazionale” – espressione che quest’anno abbiamo sentito usare identica da due persone: Carla Nespolo e Sergio Mattarella.
Io stesso sono un iscritto all’ANPI e credo che l’attività che svolge l’ANPI sia lodevole e preziosa e vada tutelata. Perciò in questa sede lancio un segnale d’allarme alle istanze dell’ANPI a tutti i livelli, dagli iscritti ai dirigenti nazionali passando per le tantissime sezioni: guardate che l’istituzione del Giorno del Ricordo ha messo l’ANPI e l’antifascismo italiano in una trappola mortale. Se si accetta che esista per lo Stato italiano una celebrazione per i cosiddetti “infoibati” quando non ne esistono di analoghe non dico per le vittime dei bombardamenti angloamericani, ma nemmeno per le vittime delle grandi stragi nazifasciste, da Marzabotto a Sant’Agata sulla Majella passando per le Fosse Ardeatine, allora possiamo chiudere baracca e burattini. Istituendo il Giorno del Ricordo è stata aperta la falla che farà affondare la nave. Inoltre, non contestare le conseguenze della Legge – cioè l’attribuzione di riconoscimenti di Stato a centinaia di fascisti e collaborazionisti del nazismo –, non chiedere la sospensione degli effetti della Legge, significa lasciare aperto il varco dal quale stanno scappando tutti i buoi.
Non ci si può allora lamentare se agli antifascisti viene negata la parola nelle scuole.
SQUADRISMO STORIOGRAFICO E DISSIDENZA
Ho già menzionato il convegno “Giorno del Ricordo. Un bilancio” che abbiamo organizzato a Torino un anno fa . Con esso volevamo mettere a fuoco le conseguenze devastanti della istituzione di questa ricorrenza. Il convegno è stato ovviamente ostacolato dal solito tandem politico-giornalistico, al punto che abbiamo dovuto presentare una denuncia penale per diffamazione contro la giornalista Lucia Bellaspiga, organica alla lobby degli esuli, denuncia della quale ancora aspettiamo l’esito. Ciononostante, quel convegno si è tenuto, con grande clamore e partecipazione di pubblico. Eppure non possiamo dirci soddisfatti del suo esito. Non siamo soddisfatti perché i quesiti fondamentali e le necessità che il progetto del convegno voleva evidenziare sono stati scarsamente compresi e valorizzati anche da chi era in quel progetto assieme a noi.
L’obiettivo, che avremmo dovuto coronare con la pubblicazione degli Atti del convegno, era quello di dare a questi temi una nuova dignità pubblicistica, uscendo dal solito giro dei “fissati” delle questioni del Confine Orientale. Come ho già detto, in passato sono state fatte tante iniziative, libri ed anche convegni, e di ottimo livello, su “foibe ed esodo”; ma nonostante la gravità di quanto accaduto con l’istituzione del Giorno del Ricordo siamo oggettivamente intrappolati in una dimensione autoreferenziale, per cui la polemica è troppo spesso condotta con toni e strumenti più consoni alla lite di condominio che non alla storiografia o all’analisi delle relazioni internazionali.
Una delle poche strade forse ancora percorribili per il necessario salto di qualità poteva allora essere la presa di responsabilità da parte di un pezzo di mondo scientifico-accademico, che avrebbe dovuto rendere “oggetto scientifico” ad es. il dato di fatto che il numero degli “infoibati” onorati dallo Stato italiano è prossimo a trecentocinquanta, e tra questi la maggiorparte sono nazifascisti e loro collaboratori, mentre degli altri nemmeno uno è vittima di “pulizia etnica titina” – come spiegherà Sandi nel seguito.
Però tale assunzione di responsabilità non c’è stata, e così noi rimaniamo confinati nel solito angolino di protesta minoritaria, con le solite coazioni a ripetere tipiche dei minuscoli ambienti della dissidenza nelle società totalitarie – per usare due categorie, quelle di “dissidenza” e “totalitarismo”, che a me non piacciono ma che dovrebbero far riflettere chi è abituato ad usarle.
QUANTO CI COSTA
Per concludere voglio dunque richiamare i temi di quel convegno di Torino, elencando le voci di tale necessario “bilancio” di 15 anni di esistenza del “Giorno del Ricordo”.
Innanzitutto, quanto ci è costato il Giorno del Ricordo finanziariamente? Quanto incide sulle tasche dei contribuenti?
Per rispondere dovremmo innanzitutto andare a vedere le spese per le realizzazioni in termini di Monumenti e di Toponomastica.
Poi fare la somma dei costi delle Cerimonie di Stato, o organizzate da Enti Locali a tutti i livelli, o da enti terzi (non esclusi gli Istituti di Storia).
Si dovrebbero quantificare i costi delle produzioni di telefilm (come il “Cuore nel Pozzo”), film (come “Red Land”), o spettacoli come quelli di Cristicchi.
Nota bene: Renzo Codarin presidente della ANVGD ha affermato che per «Red Land» hanno «compiuto un enorme sforzo economico » e nemmeno con i fondi del Giorno per Ricordo bensì con quelli « della legge dello Stato 72 del 2001 che finanzia le attività che noi svolgiamo per divulgare la nostra storia.»
Quantifichiamole allora tutte, le e largizioni alle singole associazioni degli «esuli» ed alla loro Federazione. Ricordiamoci che già nel 2010 la trasmissione Report di RAI3 aveva sollevato lo scandalo dei milioni di euro elargiti ogni anno all’associazionismo revanscista in virtù della Legge istitutiva del Giorno del Ricordo. Ed oltre alle elargizioni in denaro, ricordiamo le cessioni di beni immobili, come ad esempio qui a Roma, a S. Giorgio al Velabro.
E che dire dei finanziamenti mirati agli ISMLI, alle Deputazioni di Storia Patria, alle Università, per orientare le attività di ricerca e celebrative?
E quanto sono costate le iniziative «didattiche» del MIUR, i corsi di formazione annuali, i viaggi degli studenti a Basovizza?
Parlando dunque delle scuole, veniamo a quanto ci è costato il Giorno del Ricordo dal punto di vista culturale.Parliamo della aperta violazione della libertà di insegnamento, prevista dall’Art.33 della Costituzione, esemplificata dalla azione squadristica di ieri all’Istituto Giordano Bruno di Roma. I provvedimenti di censura derivano direttamente dalle Risoluzioni votate all’unanimità dalle Commissioni Cultura del Parlamento e non colpiscono più solamente gli storici non-allineati ed i ricercatori più coraggiosi, ma anche direttamente l’ANPI; e la teppa di Blocco Studentesco, Casapound, Forza Nuova ed affini possono presentarsi come i più consequenziali garanti del “nuovo ordine” storiografico.
Veti e censure sono operanti da anni, specialmente con il diniego sistematico di sale comunali per le iniziative.
Ma la involuzione culturale la misuriamo anche nelle intitolazioni (toponomastica, sale pubbliche, ecc.) in onore di personaggi compromessi con il nazifascismo. E poi, nel dilagare del revisionismo storico in TV, al cinema, al teatro, su giornali e riviste.
Ci viene infine alienato il vocabolario: i termini «negazionisti», «giustificazionisti», «revisionisti», «pulizia etnica», «sterminio» non riguardano più necessariamente fatti e colpe del nazifascismo.
Il danno arrecato dalla istituzione del Giorno del Ricordo è quindi per la cultura di massa, ma è anche per il mondo scientifico e accademico, dal quale, già l’ho accennato, l’antifascismo è progressivamente marginalizzato. D’altronde, in questo scontiamo anche il declino verticale e generale del comparto della conoscenza e della funzione intellettuale, che ha altre cause sulle quali non posso soffermarmi qui. In ogni caso, la conseguenza è che non esiste un ambito di validazione scientifica per le ricerche di Claudia Cernigoi o di Sandi Volk, cioè: si può fare un enorme lavoro per pubblicare un libro che “scandaglia” la foiba Plutone ma i risultati di queste ricerche non sono materia di studio né di successivo sviluppo in alcuna Università o Istituto di Storia.
Il dirottamento delle disponibilità accademiche (fondi, persone) è totale. Chi non si allinea è espulso dagli ambienti della ricerca, come è successo in prima persona a Sandi, licenziato dal posto di lavoro.
In tale maniera viene garantito il controllo di Stato sulla scrittura della Storia.
Vediamo infine cosa comporta l’esistenza del Giorno del Ricordo sul piano della politica.
La retorica su questi temi ha accompagnato il processo di equiparazione fascismo-antifascismo, o “memoria condivisa”, su cui si fondano la “Seconda” e “Terza” Repubblica.
Questa retorica è un formidabile piede di porco per lo svuotamento del dettato costituzionale.
Un’altra conseguenza è l’arretramento dell’ANPI e dell’associazionismo antifascista, arretramento che arriva dopo quello della sinistra “radicale” e dopo il vero e proprio tradimento della sinistra “storica”.
La non comprensione dei processi storici al Confine Orientale complica inoltre la già difficile opera di chiarificazione su lle questioni jugoslave attuali. Assistiamo ad una paradossale diffamazione della esperienza della RFS di Jugoslavia, multietnica e internazionalista, accusata di essere il contrario di quello che era. Ovviamente anche questo fa il gioco di chi ha voluto la divisione e la guerra tra i nostri vicini.
Per concludere: qual è quindi il problema del Giorno del Ricordo? Sono i numeri delle foibe? Il fatto che non si parla dei crimini italiani? Il fatto che si offendono anche i partigiani italiani? Certamente anche tutto questo, ma soprattutto il problema del Giorno del Ricordo è l’esistenza stessa del Giorno del Ricordo. Di fronte a ciò, le
COSE DA ESIGERE, IN ORDINE DI URGENZA
sono le seguenti:
– Rilanciare la proposta avanzata dalla segreteria nazionale ANPI nel 2015 di sospensione degli effetti della Legge n.92/2004 spec. per quanto riguarda l’attribuzione delle onorificenze, e di un riesame di quelle finora attribuite. I materiali istruttori della Commissione che se ne è occupata devono essere resi pubblici.
– Operare per la abrogazione della Legge oppure, in subordine, trasformare il 10 Febbraio da giornata della recriminazione in giornata dell’amicizia tra i popoli che abitano le due sponde dell’Adriatico (questo può essere tentato con una proposta di revisione della Legge).
– Al MIUR vanno ribadite le richieste di cui alla Lettera Aperta firmata il 10/2/2017 da numerose personalità antifasciste (inclusa la stessa Carla Nespolo) ad evitare ulteriori derive della didattica in senso revisionista, revanscista, anticostituzionale.
– Effettuare un bilancio complessivo dei finanziamenti pubblici che da 15 anni a questa parte sono andati a iniziative di ogni tipo su questi temi.
– Riesaminare le modifiche alla toponomastica introdotte negli ultimi anni, con due finalità: (1) scongiurare che siano celebrati personaggi non degni (criminali di guerra, militanti fascisti); (2) eliminare le intitolazioni ai “martiri delle foibe” laddove introdotte, poiché trattasi di allocuzione letteralmente “fuori legge” in quanto l’espressione “martiri” non appare in alcun punto della stessa Legge 92/2004.
*segretario, Jugocoord Onlus. Intervento alla iniziativa “Resistenza jugoslava. Foibe o fratellanza?“, tenuta a Roma domenica 24 febbraio 2019
Per una seria Resistenza Storica consulta il sito: http://www.diecifebbraio.info/
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