Fino al 1992 politiche fiscali e politiche monetarie erano di competenza degli Stati membri, anche se dal 1970 le classi dirigenti comunitarie, sulla scia del Rapporto Werner, si impegnarono a creare una zona monetaria europea.
Il piano delineato dal Rapporto non venne realizzato, oltre che per divergenze tra gli Stati membri, a causa fondamentalmente delle crisi monetarie scatenate dalla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro del 1971 e dalla la conseguente fluttuazione dei cambi.
Con il Trattato di Maastricht, il Patto di stabilità e crescita e il Trattato di Lisbona, c’è stata una relativa separazione tra politica monetaria, autonomamente gestita dalla BCE, e politica fiscale, rimasta quest’ultima di competenza degli Stati membri, certo con i vincoli dettati appunto dal Patto del 1997, riformato nel 2005: i famosi 3% del deficit e 60% del debito pubblici.
Con la crisi finanziaria del 2008 e con la Grande Recessione il quadro è mutato radicalmente e l’UE – Commissione ECOFIN ed Eurogruppo – hanno preso, tra il 2011 e il 2013, di fatto quando non di diritto nelle proprie mani la competenza delle politiche fiscali attraverso una serie variegata di misure previste dal Six pack e Two Pack, dal Patto Euro-plus e dal cosiddetto Fiscal Compact.
La divaricazione tra politiche monetarie e politiche fiscali è pressoché superata, dato che la supervisione delle politiche pubbliche è passata nelle mani di Bruxelles attraverso le procedure del Semestre europeo, e, naturalmente, fondamentale è stato il ruolo della BCE nel delineare prima le politiche di austerità e, attualmente, le politiche di espansione monetaria in parallelo a politiche fiscali in deficit per sostenere redditi e investimenti pubblici e privati.
In questi anni la BCE ha continuato le sue scelte in piena indipendenza, che però l’hanno di fatto resa, con interventi molteplici e diversificati, ‘prestatrice di ultima istanza’, ciò che a sua volta ha richiesto un parallelo accentramento delle decisioni di politica fiscale.
Con l’esplodere della pandemia, per contenere la crisi economica, sociale e finanziaria, l’UE e gli Stati membri hanno dato vita a interventi pubblici con l’attivazione dell’escape clause per quanto riguarda il PSC, con l’avvio del programma SURE per il sostegno dei redditi, con la disponibilità di risorse del MES per investimenti nella sanità, con il piano Next Generation EU articolato intorno al Resilience and Recovery Fund.
Ora con la Comunicazione della Commissione al Consiglio dell’Unione del 3 marzo 2021 [COM(2021) 105 final ] – dal titolo A un anno dall’esplosione del COVID-19: la riposta della politica fiscale – Bruxelles non si accontenta più del ruolo di supervisore delle politiche fiscali tramite l’armamentario del Semestre europeo, ora vuole dettarne le linee addirittura preventivamente, così da guidare le scelte dei governi mettendo in quarantena perpetua i Parlamenti.
Se a questo sommiamo le procedure messe a punto per la preparazione e gestione dei piani nazionali, i PNRR, al fine di utilizzare i fondi messi a disposizioni per fronteggiare l’epidemia, il risultato è il sempre più forte accentramento dei poteri pubblici negli organismi esecutivi dell’UE – tendenze ben presenti prima delle vicende del COVID-19, ma che con la prima ‘comunitarizzazione’ del debito, si vanno accentuando.
E non poteva che essere così, perché se si mette in comune il debito – affidandone l’emissione e la gestione alla Commissione – questa non può non avocare a sé la competenza delle politiche fiscali, fornendo queste le risorse necessarie per la sua restituzione.
Non a caso, dunque, questa Comunicazione è una guida per la preparazione dei programmi di stabilità e convergenza che gli Stati membri devono presentare alla Commissione entro aprile, nell’ambito del Semestre europeo. Questo è comunque un primo documento di indirizzo, perché nel ‘pacchetto di primavera’ la Commissione dettaglierà obiettivi e misure specifiche paese paese.
Come sottolineato anche da un’importante esponente del Board della BCE, Isabel Schnabel, le politiche monetarie e quelle fiscali devono oggi interagire (si veda l’articolo di Ernesto Screpanti pubblicato da questo Osservatorio). Per questo l’escape clause, la ‘clausola di salvaguardia’, che ha sospeso sia i meccanismi del PSC (le procedure preventive e correttive di disavanzo eccessivo) sia il blocco agli aiuti pubblici per imprese e famiglie, serve a creare spazio fiscale in sinergia con le politiche monetarie espansive.
Con queste finalità, la clausola di salvaguardia sarà probabilmente tenuta in vita per tutto il 2022. Inoltre, nella Comunicazione si mette in luce il collegamento con il Resilience and Recovery Fund, che, con i suoi 312,5 miliardi di sovvenzioni e i 360 miliardi di prestiti, è la base per le ‘riforme strutturali’ e per gli investimenti al fine di dare impulso ai processi di innovazione delle produzioni.
La Commissione stabilisce un nesso tra il RRF e le politiche fiscali in quanto ambedue sono anche strumenti volti ad attenuare le divergenze tra le economie, sia nell’area euro sia nel più generale ambito UE.
Tuttavia la ragione principale del collegamento delle politiche fiscali con il RRF è che le sovvenzioni, mentre aiuteranno a contenere il debito pubblico, permetteranno interventi economici pubblici necessari allo sviluppo economico, centrato su transizione energetica, green economy e digitalizzazione.
La Commissione UE è impegnata in una politica volta a promuovere l’innovazione del tessuto produttivo, ad acquisire sovranità in campi dove l’UE ha dimostrato fragilità e vistose mancanze (dalla sanità all’AI), e a gestire la transizione energetica; per questo le politiche fiscali, oltre che quelle monetarie, sono divenute per essa uno strumento fondamentale.
* Osservatorio Ue
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