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Istruzione Tecnica Superiore. Formazione “à la carte” pagata dai soldi pubblici

Scrivo questa nota sull’ITS sull’onda, anche emotiva, della morte di Lorenzo Parelli, e delle manifestazioni degli studenti per ricordarlo.

Gli studenti ancora una volta si mobilitano per impedire che la scuola della Repubblica sia stravolta fino ad essere messa al servizio diretto delle imprese che usano l’alternanza scuola-lavoro per avere manodopera giovane e senza costi, con l’obiettivo generale di curvare la loro formazione alle loro esigenze.

Le manifestazioni studentesche e l’assemblea nazionale del 4 febbraio hanno delineato una piattaforma di lotta per contrastare l’ulteriore trasformazione della scuola, di ogni ‘ordine e grado’, in un’agenzia delle imprese, che, attraverso l’incessante lavorio della Confindustria, vogliono farne una sede per la formazione di operai e tecnici adatti ai nuovi processi produttivi (la famosa industria 4.0).

Uno degli obiettivi di lotta del movimento studentesco, della Lupa, è l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, ribattezzata PCTO senza che sia cambiata a quanto predisposto dalla legge ‘buona scuola’ del governo Renzi.

La centralità di questo obiettivo mette in luce la consapevolezza, da parte di questo movimento studentesco del 2022, del carattere classista della scuola, in quanto riproduce la gerarchia sociale (altro che ‘ascensore sociale!), e  si va sempre più subordinando alle esigenze delle imprese.

Nessuno è contro il potenziamento delle discipline scientifiche, le famose STEM, o della formazione tecnica, se esso non fosse il  paravento che mal nasconde il disegno di conformare i percorsi formativi agli interesse delle imprese.

Il problema per il governo, e per la Confindustria in primis, è il ‘mismatch’, il disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro: si richiedono operai e tecnici per la transizione digitale e verde dell’economia.

La scuola e l’Università devono ‘allinearsi’ alle esigenze della produzione, non più educare persone in grado di sviluppare le proprie capacità orientando le scelte produttive, al contrario sono le scelte delle imprese a guidare i processi formativi.

Giusto dunque porre l’obiettivo di abolire, senza se e senza ma, l’alternanza scuola-lavoro, che non garantisce neppure la sicurezza dei luoghi della produzione, come la morte di Lorenzo testimonia, al pari delle migliaia di vittime sul lavoro.

Occorre, oltre a questo, mettere al centro anche la mobilitazione contro gli istituti tecnici superiori, che, istituiti con un DPCM del 25 gennaio 2008, sono in una fase di trasformazione attraverso un intervento legislativo che vede accumunati i partiti del governo Draghi.

Sono stati unificati, infatti,  i vari disegni di legge, da quello della Gelmini a quello di Orfini, in un testo approvato dalla Camera il 20 luglio 2021, e ora all’esame del Senato che sta apportando alcune modifiche, richieste per altro dalla Confindustria.

Su questo disegno di legge, che porta il numero S. 2333, poco si è discusso e ancor meno ci si è mobilitati, mentre la Confindustria l’ha seguito passo dopo passo. Ed è un errore perché tra l’altro l’ITS è un capitolo tra i più importanti del PNRR,  che  stanzia ben 1,5  miliardi per rendere la scuola  completamente subalterna alle ragioni dell’economia capitalistica.

In particolare, governo e Confindustria vogliono istituire un canale di formazione professionale che sia in grado di soddisfare le domanda di personale qualificato secondo i diversi comparti produttivi e secondo una diversificazione territoriale. Una formazione à la carte, pagata con i soldi pubblici.

La gravità del progetto emerge fin dall’articolo 1 del disegno di legge, come votato dalla Camera e fatto proprio dal Senato: ‘Anche in relazione alle finalità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), miranti a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di un’economia ad alta intensità di conoscenza, per la competitività e per la resilienza, a partire dal riconosci­mento delle esigenze di innovazione e svi­luppo del sistema di istruzione, formazione e ricerca, in coerenza con i parametri europei, la presente legge reca disposizioni per la ridefinizione della missione e dei criteri generali di organizzazione del Sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, istituito dall’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e riorganizzato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008, pubblicato nella Gazzetta Uf­ficiale n. 86 dell’11 aprile 2008, …’.

Questo è l’incipit, che dietro parole altisonanti (‘economia ad alta intensità di conoscenza’), mira a creare un sistema altamente flessibile, cioè adattabile, per rispondere alle esigenze dei processi produttivi, in continua evoluzione.

Così si potranno licenziare le persone non più rispondenti all’uso di tecnologie del momento e prenderne altre con formazione più consona. Come è sempre accaduto: alle imprese capitalistiche servono alcuni gruppi di operai e tecnici specializzati, riservando alla stragrande maggioranza lavori precari e da gig economy – alto sviluppo tecnologico per pochi lavoratori, temporaneamente ben qualificati, per la maggioranza lavori poveri professionalmente.

Gli istituti tecnici superiori continueranno a essere Fondazioni a cui partecipano soggetti pubblici e privati, e agli imprenditori spetterà la loro presidenza, e anche i docenti dovranno essere per il 60% di provenienza aziendale in modo che la formazione sia tagliata come un abito su misura per le aziende.

Così ogni territorio avrà il suo sistema di istruzione tecnica superiore per rispondere alla domanda delle aziende di quel  particolare territorio – un’anteprima dell’attuazione dell’autonomia differenziata!

Insomma una vera scuola professionale nella più pura tradizione dei Salesiani, che però erano finanziati dai privati – rimane famosa la scuola professionale per la Fiat che gli Agnelli utilizzavano e si pagavano.

Ora invece è la suola pubblica a divenire un’agenzia di formazione per le imprese. Se poi si vanno a leggere i documenti depositati presso la Commissione 7a del Senato si scopre che, naturalmente, CGIL-CISL- UIL sono della partita come lo sono già con gli enti bilaterali della formazione.

Ultima chicca è il titolo, che sarà ITS Academy, perché l’anglicismo sta a ‘richiamare il ruolo dei centri di formazione e di ricerca delle aziende’ – come ci spiega Il Sole 24 ore (6 febbraio 2022). Occorrerebbe, forti delle mobilitazioni e delle piattaforme di lotta studentesche, riprendere una riflessione sull’insieme dei processi di infeudamento delle istituzioni dell’istruzione pubblica alle imprese. O continueremo a tacere sulle accademie per l’istruzione tecnica superiore?

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1 Commento


  • Mirella

    Truffa. Gli ITS sforneranno ” materiale umano ” con competenze ristrette a singole mansioni, privo di flessibilità, già profilato , che le imprese potranno usare, sfruttare e smaltire non appena il mercato chiederà flessibilità e competenze diverse. Usa, abusa e getta.

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