«Lunare e imbarazzante». Per Gianni Rinaldini, 8 anni da segretario generale della Fiom, ora coordinatore dell’area «La Cgil che vogliamo» e membro del Direttivo nazionale di Corso Italia, la discussione che va avanti tra Confindustria e i sindacati è fotografata da questi due aggettivi. Che valgono però anche per il dibattito interno alla Cgil.
Sembra abbiano firmato l’accordo…
È la conferma delle voci che dicevano che il testo c’era già. Non è credibile che, in una trattativa così complicata, abbiano fatto tutto nel giro di poche ore.
Si apre un problema nella Cgil?
Non è stato presentato nessun testo scritto. Al tavolo non c’era neppure una «delegazione trattante». Han fatto tutto in due o tre della segreteria. Una roba inaccettabile nella vita interna della Cgil. Non c’è stato nemmeno un «ufficio» ad affiancare, come si fa di solito, con i segretari di categoria. Nei miei ricordi, trattative così delicate e importanti vedevano la Direzione della Cgil (ora non c’è più) convocata in seduta permanente e in continuo contatto con la delegazione al tavolo. Viene siglato o firmato un accordo assolutamente misterioso per i segretari generali di categoria e il coordinatore di un’area nazionale della Cgil. Di fatto il Direttivo sarà messo nelle condizioni votare una sorta di «fiducia» alla segretaria. Sì, esiste ormai un problema di democrazia nella vita interna della Cgil.
Non si è discusso abbastanza?
Con il meccanismo sviluppatosi purtroppo negli ultimi anni, ogni votazione del comitato direttivo si configura alla fine come un voto di fiducia sul segretario generale. Pensando in questo modo di annullare l’articolazione del dibattito esistente. Stavolta non mi sorprenderei che qualcuno, rientrato recentemente in Cgil come coordinatore della segreteria del segretario generale, dopo aver svolto a lungo ruoli amministrativi (Gaetano Sateriale, ndr), abbia in questi giorni lavorato alla definizione del testo.
Cosa sai sul merito dell’accordo?
E’ riassumibile in un aspetto centrale decisivo, da cui discende tutto il resto: lavoratori e lavoratrici non sono chiamati a votare le piattaforme e gli accordi che li riguardano. Il meccanismo individuato prevede che attraverso la «certificazione» (un mix tra iscritti e voti alle rsu) le organizzazioni che superano il «50%+1» possono fare accordi che diventano immediatamente esecutivi. Questo è devastante. Perché nega la democrazia, che assieme al conflitto è l’unico strumento a disposizione dei lavoratori per intervenire sulla propria condizione. E inquina fortemente gli stessi tavoli di trattativa, perché quando ci si parla tra soggetti sociali espressione di interessi diversi, non si è in un club di amici. È prevedibile che si darà vita a un mercato del tesseramento, teso a favorire le organizzazioni più disponibili a certi accordi. Non mi sorprenderebbe che arrivassero pacchi di iscritti a questa o quell’organizzazione. Sta nelle cose.
Qual’è il punto di principio?
Non sottoporsi al voto e al giudizio dei lavoratori vuol dire affermare il concetto che i contratti sono proprietà delle organizzazioni sindacali, e non fanno capo all’espressione della volontà dei soggetti interessati. Non era mai avvenuto che la Cgil istituzionalizzasse in un accordo che questi sono validi senza il pronunciamento dei lavoratori. Tutt’al più, in questi anni, si è discusso sulle forme della consultazione. Faccio presente che gli accordi separati dei metalmeccanici, nel 2001 e 2003, avvennero proprio sul referendum tra i lavoratori a fronte di posizioni diverse. In ambedue i casi, Fiom e Cgil decisero congiuntamente.
Che fine fanno le rsu?
A livello aziendale, lì dove ci sono le rsu, queste decidono senza il voto dei lavoratori; dove ci sono le rsa, i lavoratori possono votare il loro contratto. Inoltre, sulle deroghe, c’è una questione che non ho capito o che è inaccettabile: invece di «deroghe» di parla di «adattabilità» a livello aziendale. È anche peggio delle «deroghe definite».
E sul diritto di sciopero?
Anche qui. o non ho capito bene oppure è inaccettabile: si parla genericamente di possibilità di una «tregua», che in termini sindacali non può che voler dire tregua sugli scioperi. La clausola della Fiat, insomma. Ma la Cgil non ha mai firmato limiti all’esercizio del diritto di sciopero. E mi domando: se si accettano questi criteri in una trattativa con le aziende private, non credo si possano affermare cose diverse nel corso di una trattativa interconfederale col governo. Penso che questa operazione sia il suicidio della Cgil.
Ma perché la Cgil si va a suicidare?
Non vorrei che fosse per le cosiddette «ragioni politiche»… Una divisione sindacale può creare problemi a partiti che in tutti questi anni si sono limitati a dire «fate l’unità», per evitare di pronunciarsi sul merito. Poi c’è l’idea folle per cui, in questo modo, si creerebbe un rapporto «dinamico» nei confronti del governo «tra le forze sociali», con Confindustria. E questo alla vigilia di una manovra economica in cui il contributo di Confindustria è chiedere sia ancora più pesante nei confronti di lavoratori e pensionati…
In queste condizioni, com’è possibile fare opposizione al la manovra?
La Cgil non potrà che decidere le necessarie iniziative di lotta contro la manovra. Sarà difficile spiegare che un accordo che annulla la democrazia dei lavoratori sia un elemento che rafforza le iniziative contro il governo.
Se la democrazia sta così, anche in Cgil, come si cambiano le cose?
Siamo di fronte a una questione enorme. Abbiamo già convocato l’assemblea dell’area congressuale per il 13 luglio (dopo il Direttivo dell’11- 12), lì decideremo le iniziative conseguenti. È incredibile, con quello che è successo in altri paesi europei e in Italia – il voto di amministrative e referendum, il crescere di forti movimenti fondati sulla richiesta di partecipazione e democrazia – la Cgil non trovi di meglio che negare a chi lavora un diritto democratico fondamentale. Con l’evidente rischio di complicare tutti i rapporti con tutti i movimenti che ci sono nel paese, a partire da studenti, precari, diverse forme di autorganizzazione e inziative. Ed è ora di dire che il «patto di stabilità» europeo va assolutamente cambiato.
In quale direzione?
Questo è un patto tutto finalizzato alla stabilità monetaria, senza alcuna politica: sociale, sull’ambiente, sull’armonizzazione fiscale. Niente. Alla fine l’Europa si presenta solo con la faccia dei vincoli monetari.
da “il manifesto” del 29 giugno 2011
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Via all’era delle intese valide per tutti
Nicoletta Picchio
Più di sei ore di trattativa, anche con momenti di difficoltà. Poi, quasi alle dieci di sera è arrivata la firma. Stavolta unitaria: tutti d’accordo, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Un accordo che segna un passaggio storico nelle relazioni industriali e che riguarda la rappresentatività delle sigle sindacali e l’esigibilità dei contratti aziendali.
Confermando le previsioni della vigilia, l’intesa firmata ieri stabilisce che se un accordo aziendale viene approvato dalla maggioranza delle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie, oppure delle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali, le norme sono efficaci per tutto il personale “in forza” dell’azienda” e vincolano tutte le organizzazioni sindacali che hanno firmato l’intesa. Nel caso degli accordi siglati dalle Rsa è previsto un referendum abrogativo.
È stato uno dei punti più delicati della trattativa, insieme all’aspetto delle possibile modifiche che può contenere il contratto aziendale rispetto a quello nazionale. Nel 2009 è stata proprio la possibilità delle deroghe uno dei motivi per cui la Cgil di Guglielmo Epifani decise di non firmare la riforma della contrattazione.
Ieri, pur con termini diversi, si apre comunque la porta ad «intese modificative» anche in via sperimentale e temporanea.
Una possibilità che vale sia per quelle categorie il cui contratto collettivo le ha già recepite, come hanno fatto per esempio i metalmeccanici (articolo 4 bis), sia per quelle categorie che dovranno ancora farlo. In questo caso vengono specificati gli argomenti su cui si può intervenire: prestazione lavorativa, orari e organizzazione del lavoro. Intese che, viene detto esplicitamente nel testo, hanno efficacia generale come disciplinata nel protocollo.
È stata messa da parte però, per le resistenze della Cgil, la proposta di specificare la validità retroattiva delle norme sull’esigibilità delle intese aziendali. Un articolo che si sarebbe potuto applicare alle intese Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, che sono già state firmate nei mesi scorsi (se l’accordo ci fosse già stato, Fiat non avrebbe avuto bisogno di creare newco fuori da Confindustria e di fare nascere le Rsa per avere quanto più possibile la garanzia di gestire gli investimenti).
Il protocollo, comunque, inserisce oltre all’esigibilità degli accordi aziendali approvati a maggioranza dalle Rsu e Rsa, anche il principio di tregua sindacale, proprio per evitare che una volta approvata l’intesa ci sia qualche sigla che proclama scioperi. Saranno i contratti aziendali a definire le clausole di tregua sindacale per garantire l’esigibilità delle intese. L’effetto sarà vincolante per le organizzazioni sindacali che hanno firmato l’intesa e non per i singoli lavoratori (per evitare di incappare nell’incostituzionalità).
Il protocollo, al punto primo, affronta anche la questione della rappresentatività delle sigle sindacali. Il punto di riferimento è stato l’accordo di Cgil, Cisl e Uil del 2008: ci sarà un mix tra deleghe e voti.
Il numero delle deleghe viene certificato dall’Inps e trasmesso al Cnel, che dovrà ponderarlo con i voti delle Rsu. Per la legittimazione a nagoziare è necessario che il dato di rappresentatività per ogni organizzazioni superi il 5% del totale dei lavoratori.
Marcegaglia: «Finisce il tempo delle divisioni»
«L’accordo interconfederale trovato nel più breve tempo di sempre. Si chiude una stagione di divisioni». Emma Marcegaglia è seduta al centro del grande tavolo della foresteria di Confindustria, a Roma. Attorno i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti.
«Abbiamo fatto un passo importante, le parti sociali hanno dato un segno di disponibilità», continua la presidente di Confindustria aprendo, come padrona di casa, la conferenza stampa.
In effetti sono bastati due incontri ufficiali, quello di venerdì scorso e di ieri, per arrivare al traguardo su un accordo mai realizzato nel settore privato (le regole sulla rappresentanza c’erano solo nel Pubblico impiego). Ma è stato intenso e costante nei giorni precedenti il lavoro diplomatico di tessitura, per superare i punti di contrasto.
«C’è stata la volontà di andare avanti insieme, si chiude una stagione di separatezza tra di noi», ha continuato la Marcegaglia, dichiarandosi «molto soddisfatta» per il «passo avanti importante che si è compiuto».
L’intesa, comunque, ha tenuto a precisare, «non sostituisce quella del 2009» che riguardava la riforma della contrattazione, spostando il baricentro sul contratto aziendale e apriva alle modifiche del contratto nazionale rispetto a quello aziendale, che la Cgil non ha firmato. «L’accordo che abbiamo firmato ragiona su altri temi, come la rappresentanza e l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali». Nel testo di ieri comunque si sottolinea l’importanza della contrattazione aziendale, la possibilità di intese modificative, e ci si pone l’obiettivo di estenderla. Inoltre viene anche chiesto al governo di «incrementare e rendere strutturali ed accessibili» tutte le misure che incentivano la contrattazione di secondo livello che collega gli aumenti di retribuzione ad obiettivi di produttività, qualità ed efficienza, come la riduzione di tasse e contributi.
In primo piano c’è anche la questione degli accordi di Pomigliano e Mirafiori. «Parleremo con la Fiat. L’accordo va nella logica di rendere più esigibili e certi i contratti aziendali, va in questa direzione», ha risposto la presidente di Confindustria a chi, durante la conferenza stampa, le ha chiesto se l’intesa unitaria sarebbe piaciuta anche al Lingotto.
Resta sullo sfondo la questione di una legge, un passaggio che ieri non è stato affrontato e che vede i sindacati su posizioni diversificate. Se ne discuterà nei prossimi giorni.
Intanto dal governo, subito dopo la firma, sono arrivati commenti positivi. «È essenziale che le parti abbiano raggiunto l’accordo. È interesse di tutti che definiscano tra di loro, senza la via giudiziaria, le regole in base alle quali gli accordi possono essere sottoscritti a maggioranza, senza conflitti e incertezze, specie per quelli aziendali. Pomigliano e Mirafiori hanno aperto la strada a nuove relazioni industriali e alla fine del Novecento ideologico», è stato il commento del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.
Ed anche dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è arrivata una dichiarazione di ringraziamento alle parti sociali: «Grazie a Bonanni, Angeletti, Camusso e Marcegaglia, grazie per quello che hanno fatto nell’interesse del nostro paese».
N. P.
Si rafforza la leadership Camusso
La leadership di Susanna Camusso esce rafforzata nella Cgil dall’accordo unitario. Che consente alla confederazione di Corso d’Italia di uscire dall’angolo e di ricucire con Cisl e Uil dopo lo strappo consumato con l’intesa separata del 22 gennaio del 2009. E potrà, anche, provocare scossoni negli equilibri interni dell’organizzazione e nei rapporti con i vertici della Fiom, chiamati al rispetto di norme che non condividono.
«Lo spirito è quello di superare la stagione della divisione sindacale per rimettere la contrattazione al centro – ha commentato Camusso in conferenza stampa – abbiamo definito le norme sulla democrazia per garantire il coinvolgimento dei lavoratori nell’attuazione degli accordi». Come tradizione il segretario generale della Cgil ha soltanto siglato l’intesa che prima della firma definitiva dovrà passare al vaglio del prossimo direttivo della Cgil (l’11 luglio è prevista una riunione), e farà da apripista per l’attuazione di una nuova norma dello Statuto, introdotta dal congresso di Rimini dello scorso anno, che affida al solo parlamentino il compito di deliberare su piattaforme e accordi interconfederali. Il voto del direttivo sarà vincolante per tutti, anche per il leader della Fiom, Maurizio Landini, che lunedì scorso non voleva dare il mandato a Susanna Camusso per trattare e concludere l’accordo.
Oggi ci sarà una prima verifica nella riunione con i segretari generali di categoria, che lunedì al direttivo avevano condiviso la linea espressa da Susanna Camusso (con l’eccezione della Fiom). Il segretario generale già dispone di un largo consenso nella confederazione, mentre la minoranza de “La Cgil che vogliamo” che al congresso di Rimini contava il 17% – in cui coabitavano ex cofferatiani accanto a sostenitori della Rete 28 aprile di Cremaschi su posizioni vicine a quelle della sinistra radicale – negli ultimi mesi si è sfaldata, e dopo aver perso pezzi del pubblico impiego si è coagulata intorno alla Fiom. O meglio alla maggioranza del sindacato delle tute blu, visto che la minoranza (pesa per il 27%) di Fausto Durante è sulle posizioni della Camusso.
È ipotizzabile un ridimensionamento del peso specifico dei vertici della Fiom, che dovranno adeguarsi alle nuove regole, se saranno approvate dal direttivo. In caso contrario scatteranno sanzioni disciplinari fino al commissariamento della categoria.
In questo scenario, all’interno della Fiom potrebbero emergere divisioni tra quanti, sentendo superato il vincolo di appartenenza alla confederazione, potrebbero essere spinti fuori, e quanti invece sceglieranno di restare. E prenderà forza la posizione di coloro che, come il leader della minoranza riformista Fiom, Fausto Durante, premevano per apporre una firma tecnica alle intese separate di Pomigliano e Mirafiori che hanno ottenuto la maggioranza dei consensi nei referendum.
G. Pog.
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