Intervista a Roberto Montanari sindacalista della Usb nel settore della logistica. Nel nostro viaggio verso lo sciopero operaio e studentesco del 22 aprile, abbiamo chiesto alcune valutazioni a chi agisce in un settore strategico della catena del valore capitalistica come la logistica.
Il 22 aprile ci sarà uno sciopero “operaio” convocato da Usb e una manifestazione nazionalea Roma. Avete declinato questa giornata di conflitto come la rimessa al centro della “variante operaia” nell’agenda politica del paese. Che cosa significa?
Nel passaggio a questo terzo millennio il capitale ha avuto la capacità di riarticolarsi, nella crisi, mutando anche “tecnicamente” la forma di chi coopera alla produzione della sua ricchezza.
La classe operaia di tipo fordista, così densamente compatta, così fortemente relazionata al tessuto sociale e addirittura territoriale, è stata segmentata, divisa addirittura sul piano globale, dando corpo a quelle che Luciano Vasapollo (tra i primi e più rigorosi studiosi/militanti) ha definito le catene globali del valore.
Utilizzo come esempio l’immagine del vecchio quartiere operaio Mirafiori di Torino. Era un mondo che conteneva altri mondi: c’era il fabbricone, c’era un territorio circostante nel quale lavorava l’indotto, vivevano gli operai, studiavano i loro figli, si muovevano, si divertivano, organizzavano la resistenza operaia allo sfruttamento. Ora è un “non luogo”, vuoto, con reperti di archeologia industriale, un quartiere senza servizi, abbandonato a se stesso.
In termini urbanistici potremmo dire che con la fine del fordismo Mirafiori è stato addirittura “deterritorializzato”, per lasciarlo preda della speculazione edilizia.
Ecco, la capacità del capitale è stata quella di usare la crisi per adeguare prometeicamente se stesso ai tempi correnti, riuscendo a trasformare la classe operaia, rendendola tecnicamente e politicamente più fragile. Fino a poter raccontare in giro che non esisteva più e che quindi la ‘storia diversa’ che i proletari profetizzavano nel ‘900 era finita.
Eppure le auto si producono ancora, ancora esistono tornitori, verniciatori, montatori, anche se “delocalizzati” da Torino.
Il 22 aprile 2022 è la data in cui riprendiamo a far vedere che invece la storia è in cammino, che la vita in questo paese, così come sul pianeta, è possibile grazie all’azione di una classe che trasforma, produce, movimenta e distribuisce quella merce, che genera una ricchezza immensa accaparrata da pochissimi al prezzo di una povertà distribuita al mondo intero.
Il 22 aprile 2022 è un inizio reso possibile dal combinato disposto di crisi economica, crisi ambientale, crisi sanitaria, crisi di guerra interimperialista, nel quale si evidenziano due cose: la prima è che è il lavoro a contrastare tutte queste sfighe; e la seconda è che sono le idee del movimento operaio a rappresentare la soluzione strategica alle sfighe di cui sopra nel momento in cui propongono un modello di economia finalizzato a soddisfare i bisogni socialmente utili, non energivoro e aggressivo nei confronti del sistema ambientale, attento a garantire l’accesso universale alle cure e il diritto alla salute.
Esattamente come i contadini indiani che sono riusciti a piegare il governo liberista Modi con i loro durissimi e prolungati scioperi al grido di: “NO FARMERS? NO FOOD!”, anche in Italia si deve porre il problema “Niente operai? Niente cibo”; bisogna cioè rendere visibile il fatto che il motore del paese non sono i banchieri, i tecnici, gli imprenditori, ma i lavoratori, senza i quali si ferma tutto.
E questa narrazione deve diventare virale e aggregante sia fuori che dentro la classe nella consapevolezza che ce n’est qu’un debout.
La giornata del 22 aprile era stata pensata in un contesto che è stato bruscamente cambiato dalla guerra. Il paese era già dentro una pesante crisi economica e sociale, gli operai della produzione e della circolazione delle merci che cosa hanno da mettere in campo contro le cause e le conseguenze della guerra sulla società?
Il contesto della guerra aggrava ulteriormente un quadro nel quale la “lotta di classe dall’alto” ha prodotto i disastri, le crisi a cui facevamo riferimento prima.
Nei 21 mesi di pandemia, intercorsi dal marzo 2020 al novembre 2021, il numero di miliardari italiani secondo la lista Forbes è passato da 36 unità a 49, con un aumento del valore aggregato dei loro patrimoni del 56%, pari a 185 miliardi di €.
Nel medesimo periodo l’incidenza di povertà assoluta si è estesa ad 1.400.000 famiglie, ossia a 5,6 milioni circa di persone; e gli stipendi nel 2020 sono mediamente scesi sotto i livelli del 1990, trenta anni prima, con un decremento del 2,89%.
Quello che è avvenuto in questo trentennio, con un’accelerazione mostruosa in quest’ultimo biennio, è che vi è stato il più massiccio trasferimento di ricchezza nella storia dagli strati sociali bassi a quelli alti, dimostrando che la crisi non è uguale per tutti, anzi, per i padroni è un modo di rigenerazione nel fare profitti.
Quello che le centinaia di delegati delle produzioni, dei braccianti, della logistica, dei porti, del commercio – ed USB con loro – stanno facendo emergere con lo sciopero nazionale e la manifestazione operaia del 22 aprile, è l’apertura di una frattura sociale e di un protagonismo di classe che in Italia mancano da ormai troppo tempo.
E allora le domande che pone il 22 aprile sono: “chi la produce tutta questa ricchezza?”, “chi se ne appropria?”, “perché la crisi economica e pandemica la devono pagare lavoratori, pensionati e addirittura disoccupati?”.
Le risposte a questi interrogativi aggiornano l’agenda politica, con la costruzione di una piattaforma di lotta che pone al primo punto il contrasto alla povertà mediante l’aumento dei salari e delle pensioni, l’introduzione del salario minimo di 10€ l’ora riparametrato verso l’alto, la riduzione dell’orario di lavoro, il blocco dei licenziamenti, la fine del sistema degli appalti, l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro.
All’anarchia delle produzioni che si è plasticamente palesata con la pandemia viene contrapposto il progetto di una pianificazione economica che, con le nazionalizzazioni, sappia salvaguardare gli asset strategici industriali, l’occupazione e l’ambiente; come evocato dalle vertenze ILVA e Alitalia, ad esempio.
La guerra americana giocata in suolo europeo con lo scopo di indebolire il competitor russo, asservire il “polo carolingio”, tenendo al contempo nel mirino la Cina, produce una torsione nella crisi rendendoci ancora più schiavi dell’economia statunitense, sia per ciò che riguarda le risorse energetiche, che per le tecnologie.
La sterzata bellicista della spesa pubblica, i rincari di gas, luce, carburanti, l’azzeramento delle accise sulla produzione delle armi, si abbatte come una scure sul potere di acquisto dei salari, già falcidiati da inflazione e dal taglio della spesa sociale.
E’ quanto mai giusta la parola d’ordine di abbassare le armi e alzare i salari, proponendo la visione di un mondo nel quale – se ci si scambiano beni e merci di ugual valore – sorgono meno controversie e, quando sorgono, la politica si trova in condizioni più forti per poterle dirimere.
Insomma il 22 aprile sta ad indicare che la classe operaia non solo continua ad esistere, ma anche che ha le uniche proposte concrete per spingere in avanti il paese, che è la classe essenziale per produrre “il” cambiamento.
Un aspetto decisamente inedito che è venuto emergendo è l’unità tra operai e studenti. Le organizzazioni studentesche come Osa hanno dichiarato lo sciopero per il 22 aprile. Hanno scritto su vari striscioni “Operai-studenti figli della stessa rabbia”. Come è nato e come sta crescendo questa alleanza di due settori significativi del blocco sociale antagonista?
La scelta confederale, il progetto di ricomposizione, il sindacato della catena del valore, una cultura politica fortemente democratica ed inclusiva, sono gli elementi che hanno messo USB in grado di poter costruire una relazione davvero densa con i nostri fratelli di OSA e Cambiare Rotta.
Un dialogo oltretutto reso ancor più facile dalla affinità di alcune delle articolazioni USB più informali e vicine agli studenti, quali le compagne e i compagni della Federazione del Sociale.
Bisogna inoltre dire che nella difficile congiuntura che stiamo attraversando, nel deserto della sinistra politica, la pulsione unitaria è stata favorita dalla natura di una soggettività come USB fortemente caratterizzata da pratiche articolate di conflittualità antagonista; non c’è molto altro in giro e quindi chi vuol resistere al liberismo, chi vuole unificare i fronti, deve necessariamente fare i conti con questo piccolo grande sindacato.
Le lotte di questi anni nella logistica, nei porti, all’ILVA, all’Alitalia, dei braccianti al sud, hanno contribuito alla costruzione del mito identitario collettivo degli operai, a conferma del fatto che è nel conflitto che si produce la valorizzazione dei soggetti in campo come soggetti antisistemici.
Il catalizzatore è comunque quella bulimia di profitto che finisce per far incazzare anche le formiche nel loro piccolo.
Quella che una volta avremmo definito come “proletarizzazione” degli studenti ha oggi una declinazione molto “interna”, che impatta direttamente con le loro vite. L’alternanza scuola-lavoro, lo sfruttamento gratuito di mano d’opera studentesca, i morti studenteschi sul lavoro di questi mesi hanno prodotto identificazione, un comune sentire, un sentirsi dalla stessa parte della barricata; figli della stessa rabbia, per l’appunto.
C’è addirittura un “piccolo di più” rispetto agli anni ’70, gli anni in cui si inneggiava nei cortei all’unità studenti-operai, ma il rapporto coi sindacati o con i consigli di fabbrica era tutt’altro che in sintonia.
La preparazione del 22 aprile è avvenuta nella pratica di vari momenti congiunti, ai livelli regionali sono state organizzate assieme numerose assemblee e in alcuni casi si è avuta anche la reciproca partecipazione alle riunioni degli organismi dirigenti sindacali o ai momenti decisionali studenteschi.
A partire da questa esperienza credo si debba riflettere circa un percorso di ricerca sulle forme possibili di un patto di azione comune, se non addirittura organizzativo.
Non vedrei male un’articolazione studentesca confederata nella Federazione del Sociale accanto a Slang e ad Asia, ad esempio; rafforzerebbe il laboratorio della ricomposizione.
Dopo anni di letargo e pensiero debole, il conflitto operaio e studentesco sembra aver ritrovato dentro la crisi – e la sua acutizzazione con la guerra – una funzione, una identità di classe e una aspirazione al cambiamento che sembravano rimosse. Possiamo guardare in avanti più positivamente che in passato?
Viene da dire che le prove di ricostruzione di un “blocco sociale” che USB e OSA stanno sperimentando sono una “roba strana” se contestualizzata nell’oggi che tutti vediamo.
Le ragioni strutturali ci sono tutte, quelle soggettive sono certamente più fragili. Fragili perché le alleanze sociali tra classi subalterne sono sino ad ora storicamente avvenute quando la classe operaia ha saputo esprimere una forte egemonia in una condizione di radicata soggettività politica.
Nell’annus domini 2022 possiamo dire che entrambi questi fattori sono ancora abbastanza carsici, per ora viaggiano sotto la crosta terrestre, sebbene stiano emergendo.
Più la “sinistra” istituzionale e di alternativa (parlo di ciò che è rimasto al di fuori del PD, un partito nemmeno più identificabile con un “centro moderato”) sposta il proprio baricentro a destra, e in un’ottica tutta interna alle istituzioni, più vi è subordinazione al pensiero liberista, più si rende visibile lo spazio per una proposta di società apertamente anticapitalista.
Il riformismo mostra appieno la corda nell’inefficacia tanto regolatoria quanto oppositiva alla barbarie del capitale degli “spiriti animali”.
I segnali di una contro-soggettivazione fanno il paio con quelli che cominciano ad indicare uno sgretolamento del “pensiero debole” di chi è complice del sistema.
Il presente parla del presente, non è in grado di dare una visione di prospettiva.
Quando Luttwak dichiara che “la guerra è bellissima” non fa una provocazione, rivela ciò che è in grado di proporre oggi il capitale agonizzante.
Quando l’Europa si presta come teatro di un conflitto militare che vogliono gli USA e la NATO, diffondendo a piene mani retorica nazionalista, suprematismo occidentale e bellicista, ma combattuto coi battaglioni nazisti degli altri, non riesce ad evocare alcuna visione di progresso e democrazia. Anzi fa incazzare per il rincaro di bollette e carburanti.
Per queste ragioni il riaccendersi della miccia operaia e studentesca può davvero aprire il processo che porta all’incendio della prateria.
E’ un po’ come quando il sindacato entra in un magazzino chiamato da un gruppo di lavoratori più avanzati stanchi delle condizioni di lavoro schiaviste e la maggioranza dei loro colleghi resta in attesa a guardare se se può fidarsi.
Sicuramente ti devi porre il problema dell’efficacia della tua azione, del riuscire ad ottenere qualche risultato possibilmente presto, ma devi agire, devi partire, poiché l’inattività si equipara alla percezione della tua inutilità politica e sociale.
Il 22 aprile è dentro la fase equivalente “all’entrata nel magazzino del sindacato”, l’elemento nuovo è però che a muoversi non è il “ceto politico”, ma un soggetto sociale, un pezzo di classe operaia e un pezzo di futura classe lavoratrice; ce la possiamo giocare.
I lavoratori aeroportuali di Pisa e i portuali di Genova hanno bloccato il traffico di armi costruendo intorno a loro una alleanza sociale molto ampia. A distanza di decenni dai momenti alti del movimento operaio, possiamo dire che quando prendono l’iniziativa gli operai hanno nuovamente la capacità di unire intorno a sé un blocco sociale più ampio?
Giova ricordarcelo per evitare errori e fughe in avanti: siamo solo all’inizio, ma la situazione è in movimento.
E’ presto per dire con compiutezza quali dinamiche prevarranno e quali no, ma la lettura che possiamo fare è che le componenti giuste ci sono, c’è un’idea di società, di rapporti tra le persone, di priorità, di indirizzi economici che facciano da collante di un blocco sociale antagonista al sistema capitalistico.
E’ il conflitto che può valorizzare il piano della classe ponendolo nella verticale della critica dell’economia capitalista.
La lotta, lo sciopero – per dirla con Panzieri – sono quelli che promuovono i proletari dalla condizione orizzontale di salariati a quella verticale di classe antagonista.
E’ indubbio che nelle pratiche di resistenza e attacco risieda un potente fattore di egemonia: il mito.
E’ indubbio che quando i portuali e gli aeroportuali incrociano le braccia davanti al traffico d’armi scatta una chimica eccezionale. Troviamolo uno di sinistra, in questo paese, che – quando ha visto le immagini del blocco davanti al varco Etiopia del porto di Genova fatto dai camalli – non abbia sentito un brivido nella spina dorsale.
Siamo all’inizio, però cominciamo a contare: i portuali, gli aeroportuali di Pisa, i facchini, gli operai dell’ILVA, le assistenti di volo dell’Alitalia che hanno occupato l’autostrada, i braccianti migranti del sud, gli studenti di OSA e Cambiare Rotta… i brividi cominciano a susseguirsi.
Appuntamento a Roma il 22 aprile.
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