Come al solito, con questo governo di “tre-cartisti” laureati, stiamo qui a discutere di qualcosa che nessuno conosce nei dettagli. Quel che tutti hanno in mano sono le dichiarazioni rilasciate all’uscita dell’incontro con il governo da rappresentanti degli enti locali, di Confindustria e dei sindacati “complici”. E se si dovesse ascoltare soltanto questi ultimi non si capirebbe assolutamente nulla, stretti come sono tra l’esigenza di fare il viso delle armi (senza intanto muovere un dito) e la necessità vitale di attenuare la gravità delle mosse dell’esecutivo (che richiederebbero non uno sciopero generale, ma un blocco prolungato dell’intero paese).
Il governo, sostenuto da tre partiti in via di estinzione e da una stampa mainstream ben oltre i limiti dei fogli di regime, prosegue nel gioco retorico, che fin qui è riuscito benissimo, da un paio di decenni a questa parte. Si mettono giovani contro anziani, dipendenti pubblici contro privati, precari contro stabili, esodati contro pensionati, e alla fine si tira fuori il jolly che peggiora le condizioni di vita di tutti. Equamente…
Il gioco è ancora più semplice in questo caso, perché sotto tiro finiscono i dipendenti pubblici, contro cui è stato costruita una mostrificazione di luoghi comuni, spesso purtroppo avallata da alcuni comportamenti autolesionistici della categoria.
Al di là dei comportamenti, dunque, bisogna individuare il “disegno” di riorganizzazione della macchina pubblica che emerge nettamente dall’insieme delle misure pur confusamente descritte dagli interlocutori del governo ieri. È una macchina indebolita in ogni settore meno che in quelli militari e di polizia. Persino la magistratura (e la parte amministrativa degli uffici relativi) viene pesantemente “tagliata”, eliminando tribunali, uffici, sedi. Anche i processi, in un sistema costituzionale ristretto al solo potere esecutivo, diventano un lusso di cui si può fare agevolmente a meno. Un po’ perché alcuni magistrati s’erano fissati nell’inquisire uomini di potere; un po’ perché per “il volgo” basta il fermo o l’omicidio di polizia-
Di fatto si punta a una struttura in grado di fornire soltanto i servizi burocratici minimi, quelli indispensabili a mantenere monitorata la popolazione, i suoi redditi, i suoi consumi e i comportamenti sindacal-politici. Ma non più in grado di fornire servizi sociali.
Il welfare è già stato praticamente cancellato (e ancor peggio andrà dal 2016, quando andrà completamente a regime la controriforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali); la sanità pubblica viene drasticamente amputata di parti essenziali per favorire al massimo la migrazione della domanda verso quella privata (che mantiene il vantaggiosissimo, per lei, sistema delle “convenzioni”). Idem per l’istruzione o l’università, la ricerca.
È un disegno di privatizzazione generale, che lascia i singoli – e ovviamente soprattutto i meno abbienti, a cominciare dai lavoratori dipendenti – praticamente esclusi dai servizi necessari. In una macchina statale così ridotta, il cittadino diventa un “nemico” portatore di istanze e bisogni irrisolvibili. Potenzialmente ostile proprio nella misura in cui la sua domanda è destinata a rimanere inevasa. Per questo gli “enti della sorveglianza” debbono rimanere solidi, ben nutriti, approvvigionati, tutelati. Meno welfare, da sempre, significa più bastonate, prigione, spionaggio nei luoghi del malessere sociale e dell’organizzazione sindacale e politica. “Repressione” in senso lato (quella che si usa chiamare “prevenzione”) e all’occorrenza più “fisica”. Del resto, come hanno insegnato i democristiani, la “mediazione sociale” si fa spendendo; se si tagliano le spese, salta la mediazione. E se questa non è più prevista…
Ci sembra perciò indispensabile evidenziare quel che Il Sole 24 Ore mette in un angolo, come un dettaglio insignificante:
“Revisione degli organici e individuazione degli esuberi, del resto, era esattamente quello che tutte le Pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto fare nei primi sei mesi di quest’anno, come imposto (in teoria) dalla legge di stabilità votata a novembre come atto finale del Governo Berlusconi (legge 183/2011). La legge pensava anche a come trattare le eccedenze, introducendo un meccanismo (già provato in Grecia nel primo pacchetto di misure anti-crisi) con una mobilità di due anni all’80% dello stipendio prima dell’uscita definitiva dall’amministrazione. Lo stesso strumento che ora torna in auge con la spendig review: sempre che il secondo tentativo sia più fortunato del primo”.
Come si vede, non c’è nulla di “originale” nella linea del governo Monti. Fa esattamente le stesse cose che ha fatto il governo greco, seguito da quelli del Portogallo e della Spagna. C’è una linea europea che non riguarda soltanto i “conti pubblici”, ma che deve rivoltare come un guanto gli assetti sociali, gli equilibri tra le classi, le caratteristiche dei sistemi politici.
La differenza sta nel comportamento dei sindacati “ufficiali”. In Grecia, con tutti i limiti delle divisioni esistenti anche all’interno di quel paese e di quella sinistra (in senso molto lato), è stata messa in campo una resistenza di massa forte, potente, consapevole di sé e dei propri diritti, della necessità di opporsi subito, in tempo reale, a quel che stava avvenendo.
Qui abbiamo un trio di mezze calzette, “complici” soggettivamente e scientificamente di un potere criminale che non prevede – marchionnescamente – opposizione legittima. Tre figuranti che recitano malamente il ruolo di “sindacalisti” e che, proprio facendolo, delegittimano la funzione e la presenza del sindacato. Lo rendono impresentabile al punto che, probabilmente, nel prossimo futuro, chiunque voglia svolgere la stessa funzione sociale dovrà probabilmente adottare un altro nome. Così come dovrà fare chiunque voglia svolgere un ruolo “da partito”.
Non stiamo dunque parlando solo della mattanza dei dipendenti pubblici, che sarà ampia, sanguinosa (molta gente resterà senza stipendio per anni, magari dopo aver superato i 50 anni ed essere perciò assolutamente “non ricollocabile”), condotta con metodi intimidatori. Stiamo parlando di un modello sociale che viene rovesciato con metodi di guerra, in assenza di guerra e in preparazione di altre guerre.
È la logica della “competitività”. Quando si scopre che azzerare i propri lavoratori (in tutta l’Europa) non basta ad avere un mercato che assorba la propria produzione, la “competizione” da economica si trasforma in militare.
Si può fermare quest’opera di distruzione? Sì, certamente. Ma bisogna mettere il proprio cervello all’altezza di questa sfida. Battersi nel “locale” è sacrosanto. Ma bisogna unire le soggettività, superare la logica dei piccoli cortili, riconoscere e allontanare gli infiltrati e i seminatori di zizzania, parlare alla gente reale invece di considerare “l’avanguardia del cortile accanto” come un possibile “seguace” di un manipolo che non diventerà mai esercito…
Questo ed altro, bisogna fare nel micro-universo dell’antagonismo. Diventare adulti, insomma, davanti a un futuro a tinte fosche.
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