ma certamente sarà un momento importante per affermare con forza la necessità dell’indipendenza politica dal centro sinistra e dai suoi “alleati” diretti ed indiretti. E’ importante perché è l’unica iniziativa contro Monti, visto che nessuno si è azzardato a promuovere alcunché contro questo esecutivo. Infine perché viene dopo la catastrofica manifestazione del 15 Ottobre dell’anno passato. Catastrofica perché ha scaricato sui manifestanti tutte le contraddizioni e le incapacità di chi ha promosso e gestito quella iniziativa.
Bisogna lavorare, e stiamo lavorando anche come Rete dei Comunisti, affinché la manifestazione riesca al meglio sia per la partecipazione sia per la riuscita politica in tutti i suoi aspetti, ma è chiaro che già da adesso si pone il problema di come rafforzare un conflitto sociale e politico che fino ad oggi non è emerso con forza, nonostante le pesantissime misure prese per pagare il cosiddetto “debito sovrano”.
La lotta di classe non va in pensione!, si dice spesso. E’ vero, ma non si esprime sempre con le stesse forme e con la stessa intensità. Dobbiamo dirci con franchezza che oggi la forma del conflitto di classe e sociale nel nostro paese non arriva al livello che si manifesta in Grecia, Spagna o Portogallo; paesi dove vengono convocati ripetutamente scioperi generali e mobilitazioni e dove lo scontro di piazza appare in tutta la sua fisica “naturalità”.
Da noi non c’è ancora un conflitto politico generale. Lo scontro avviene su momenti e vertenze specifiche, per quanto importanti, e può avere anche un carattere di estrema durezza, vista la drammaticità di alcune situazioni; ma queste non esprimono una rottura politica, al di là delle forme più o meno radicali o dei contenuti più o meno di classe. La straordinaria eccezione della No Tav della Val di Susa purtroppo sembra confermare la regola. Sembra quasi che la prerogativa di un’opposizione senza mediazioni sia per ora appannaggio esclusivo del “Movimento 5 stelle” di Grillo. Questa sensazione di impotenza, che indubbiamente pesa nei comportamenti anche dei settori della sinistra d’alternativa e tra i comunisti, va però spiegata razionalmente per poter essere affrontata superando le frustrazioni diffuse che vediamo intorno a noi.
Un primo motivo della stagnazione del conflitto nel nostro paese è certamente la condizione materiale che si vive in Italia, dove esiste un sistema produttivo ed economico molto più robusto dei paesi “in movimento”. Non è necessario dilungarsi con i dati, ma questa differenza si mostra chiaramente già ad una valutazione anche superficiale. E’ un dato che pesa, ma va anche detto che questa condizione “migliore” dell’Italia, è transeunte, di passaggio, perché l’asticella del malessere sociale si alza sempre più ogni giorno che passa e travasa settori di popolazione sempre più ampi verso il limbo della incertezza, della precarietà e dell’assenza di prospettive.
Tutto questo naturalmente ha un suo peso, ma non è la causa principale dell’assopimento di un paese considerato nei decenni passati come l’avanguardia del conflitto in Europa. Ne esiste almeno un’altra, molto più importante, e che riguarda direttamente la nostra storia politica. L’Italia è stata non soltanto il paese d’Europa dove si lottava con più determinazione, è stata anche il paese dove l’organizzazione della classe, nei suoi diversi livelli e condizioni, era più diffusa, capillare, sistematica per territori e categorie; ovvero quella concretamente più adatta alla dimensione estesa del conflitto.
Quel tessuto connettivo della classe che produceva, ancor prima che lotte, identità, cultura e coscienza politica, è stato sistematicamente smontato, mutato politicamente, distrutto praticamente e culturalmente, con scientificità e determinazione da quella “sinistra” che in questi venti anni ci ha chiamato a difenderci dal pericolo di Berlusconi mentre produceva essa stessa danni ben più gravi e proprio nel nostro campo. E’ inevitabile che in queste condizioni i settori sociali, in caduta verticale nelle proprie condizioni materiali, non trovino più riferimenti politici, identitari, agganci pratici, organizzazioni di classe che li mettano in condizione di rispondere ma, soprattutto, di capire.
Va preso atto che è stato completamente modificato “l’ambiente” in cui abbiamo agito negli ultimi decenni e dove sono maturate anche le nuove percezioni politiche, soprattutto da parte delle giovani generazioni. Ci eravamo abituati alla presenza del “Movimento”, che spontaneamente produceva conflitto ed ambiti organizzativi dentro e fuori i partiti della sinistra antagonista, dentro e fuori la Cgil. Questa “naturalità” del movimento oggi si converte in altrettanto “naturale” disgregazione, frustrazione, passività.
Fuori dai denti, va detto chiaramente che la fase di fronte a noi vede il ribaltamento del rapporto tra movimento e organizzazione sperimentato in questi anni. La percezione del e sul conflitto sociale è costretta a cambiare; dobbiamo renderci pienamente conto del fatto che il conflitto si rende possibile solo sedimentando di nuovo forze sociali organizzate e soggettività politiche, che possiedano l’inderogabile caratteristica della completa indipendenza pratica e politica.
E’ su questo elemento strategico che trova la sua forza la manifestazione del 27 Ottobre, proposta da un ristretto numero di strutture politiche, sociali e sindacali, ma che è cresciuta mano mano oltre le stesse aspettative degli organizzatori. Esiste lo spazio su cui operare e sul quale abbiamo scommesso come Rete dei Comunisti, uno spazio che si è concretizzato con la nascita del Comitato No Debito, il soggetto che si è assunto già da luglio la responsabilità della proposta di manifestare contro Monti, anche a rischio di un fallimento. Le verifiche positive che stiamo facendo in queste settimane ci spingono a continuare la ricerca di terreni unitari di iniziativa, ma ci fanno anche ritenere importante il rafforzamento della prospettiva politica del Comitato No Debito, inteso come un ambito politico-sociale-sindacale più ampio possibile in cui diverse forze mettono in sinergia le lotte e l’organizzazione, ma dove si riesce anche a costruire, nel tempo necessario e nei modi più opportuni, contenuti, progetti e prospettive politiche unitarie.
In tal senso e con questo spirito va letto anche il contributo al dibattito sulla definizione di una prospettiva “generale” che in questi mesi abbiamo avanzato in diverse sedi di discussione (dal convegno di Napoli sulla crisi al seminario del Comitato No Debito) e che viene riassunto molto sinteticamente, nero su bianco, nel “volantone” che distribuiremo nella manifestazione del 27 ottobre.
La rottura dell’Eurozona, la fuoriuscita dall’euro coordinata tra i paesi Pigs, il non pagamento del debito, le nazionalizzazione di banche e servizi strategici, il coordinamento su questi obiettivi con le forze di classe, democratiche e rivoluzionarie in Europa e nel Mediterraneo Sud… Tutti elementi che delineano un quadro di cambiamento politico e sociale credibile, dentro cui collocare e coordinare le lotte, gli sforzi, la comunicazione, l’organizzazione di settori sociali e di ambiti politici nel nostro paese.
In sostanza, occorre rimettere in circolazione l’idea di una alternativa, affinché l’”ineluttabilità” del sistema dominante non rimanga un demone capace di immobilizzare ancora i settori popolari e la sinistra di classe nel nostro paese.
* Rete dei Comunisti
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