Su questa domanda e sulle conseguenze che derivano dalle sue risposte, nelle prossime settimane la Rete dei Comunisti promuoverà una serie di incontri pubblici in diverse città italiane chiamando al confronto.
E’ evidente come l’elaborazione realizzata e documentata in questi anni indichi la formazione dell’Unione Europea come il processo che ha portato alla costituzione di un polo imperialista.
Un polo imperialista europeo che ha superato e distrutto quello che si era annunciato come uno spazio comune e che, sulla base degli interessi che hanno egemonizzato e realizzato tale processo, non poteva che risultare come tale.
Helmut Khol, nel 1996 affermava che “L’integrazione economica europea sarà un problema di pace o di guerra nel XXI° Secolo”. Siamo nel XXI° Secolo e le conseguenze dell’integrazione europea sia nelle relazioni interne che in quelle internazionali, non allontanano affatto lo spettro della guerra, ma, al contrario, lo stanno portando dentro l’agenda quotidiana e nelle prospettive di medio periodo.
Ma come è avvenuto che l’ambizione ad uno spazio comune europeo producesse invece un polo imperialista? E’ avvenuto con la costituzione dell’Unione Europea, con i trattati di Maastricht, Amsterdam, le cooperazione rafforzate tra alcuni Stati europei, con la moneta unica, con la raffica di trattati con cui siamo stati tramortiti e ingabbiati tra il 2010 e il 2013.
Quindi non si parli più di Europa ma di Unione Europea. Confondere i due termini – come fanno sistematicamente le classi dominanti, i loro media mainstream e la indolenza intellettuale della sinistra europea – serve solo a confondere le idee, le ambizioni e la realtà.
L’Unione Europea del XXI Secolo, dunque il polo imperialista europeo, è l’ambizione e la sperimentazione verso una sorta di “sovrastato imperialista delle multinazionali”. Un polo perchè ormai è molto di più dei vecchi Stati-nazione federati tra loro ed è ancora un po’ meno di uno Stato nel senso compiuto della parola.
Ma perchè sta accadendo tutto questo? Perchè la competizione globale del nuovo secolo richiede una “massa critica” in termini di risorse, tecnologie, moneta, capitale umano e mercato interno che un singolo Stato – neanche la Germania da sola – non è in grado di mettere in campo. Per questo la competizione avviene tra i “poli” imperialisti, e l’Unione Europea è uno di questi.
La concentrazione e la gerarchizzazione nella e della Unione Europea ne sono i parametri fondamentali, assai più di quelli piuttosto improvvisati del Trattato di Maastricht. Concentrazione e gerarchizzazione che agisce sia sul piano economico, tecnologico e industriale sia sul piano delle decisioni politiche e strategiche. In Unione Europea sono nati e stanno nascendo pochi grandi monopoli in tutti i settori strategici (aereospazio, trasporto aereo, telecomunicazioni, energia, banche, chimica, farmaceutica, difesa etc.)
Ciò ha comportato una nuova divisione “europea” del lavoro – nel contesto di quella internazionale – e una brusca polarizzazione sociale e geografica all’interno dell’Unione Europea, che ha spinto bruscamente in alto e in basso – in modo fortemente asimmetrico – sia i lavoratori e i settori popolari che settori di piccola e media borghesia sconfitti e precipitati verso il basso. Questa polarizzazione agisce asimmetricamente in modo diverso nei paesi del nucleo centrale del polo imperialista rispetto a quelli semiperiferici (i Pigs) e periferici (l’Europa dell’Est, Maghreb).
La stessa “politica” è stata depotenziata e sostituita dai “tecnici”. Ma la tecnocrazia europea è qualcosa di più della burocrazia statale, è una parte decisiva della classe dominante europea vincente concentratasi intorno ad una ristretta oligarchia di banchieri e multinazionali.
Nelle fasi di crisi, questi apparati superano e distruggono la politica (e i suoi esponenti) intesa come senso della coesione sociale o degli interessi generali, e la verticalizzano in sedi decisionali extraistituzionali sulla base di priorità e interessi ristretti ed esclusivi. La rappresentanza democratica, per come l’abbiamo conosciuta nelle sue forme migliori o peggiori, viene del tutto azzerata e ridotta ad amministrazione e gestione disciplinare dei conflitti.
Infine, se nella crisi aumenta la funzione degli apparati e della burocrazia dei tecnici, degli alti funzionari etc., quando la crisi aumenta di intensità, in questa classe dominante e nelle sue sedi decisionali acquisisce un peso rilevante un settore particolare di “tecnici”: i militari.
La crisi e il conflitto in Ucraina presto potrebbero passare di mano dai ministeri agli Stati Maggiori. Saranno loro – e non i funzionari – a fare previsioni e scenari su costi, rischi e benefici.
La posta in gioco si sta alzando e vede l’Unione Europea in prima linea ed a tutto campo sul piano della competizione globale. In alcuni momenti prevarranno la concertazione tra i poli imperialisti, in altri la competizione. Vecchie camere di compensazione tra interessi divaricanti come Nato e Wto stanno andando in soffitta, altre dovranno essere istituite ovviamente riducendo il ruolo degli Usa come primus inter pares. Le faglie di scontro e i teatri di crisi si moltiplicano dall’Europa al Medio Oriente al Pacifico.
“La storia si è rimessa in moto”, scrivono in questi giorni analisti ed osservatori statunitensi. Un quarto di secolo fa scrivevano, sbagliando, che “la storia era finita”. L’Unione Europea ne è parte integrante e tragica. Se vogliamo salvare l’Europa e i suoi popoli dobbiamo distruggere l’Unione Europea, prima che sia troppo tardi. Di questo e su questo la Rete dei Comunisti chiama a discutere pubblicamente nelle prossime settimane in diverse città, con l’invito esplicito a confrontarsi su questa dimensione dei problemi e non dell’appeal di questa o quella ennesima opzione elettorale.
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