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28 giugno: presi in contropiede

Non stiamo parlando dei mondiali di calcio ma della manifestazione di sabato a Roma. Era infatti palpabile l’imbarazzo e il disagio dei corrispondenti del sistema media mainstream di fronte alle caratteristiche e ai contenuti della manifestazione che ha aperto il Controsemestre popolare in opposizione al semestre europeo guidato da Renzi.

Lo schema voleva essere quello della solita manifestazione degli “antagonisti” con fotografi, cameraman e inviati pronti a raccontare tensioni, scontri e conseguenze sul traffico cittadino. Ma lo schema è saltato in più punti:

a)      la manifestazione aveva un carattere dichiaratamente politico, di opposizione all’Unione Europea, ai suoi trattati e alle sue politiche di austerità

b)      La manifestazione ha dichiarato la sua opposizione frontale al governo Renzi e alle sue misure concrete in materia di lavoro, disoccupazione, privatizzazioni

c)      La manifestazione ha visto come protagonisti operai, lavoratori, disoccupati e precari del Meridione, immigrati impegnati nelle mobilitazioni europee, dipendenti pubblici. In pratica un pezzo di società, o meglio di blocco sociale antagonista, difficilmente liquidabile come marginale.

“Perché vi definite antagonisti?” ci ha chiesto una giornalista. “In realtà siete voi che avete scelto questa definizione e ci avete costruito un modello informativo” è stata la risposta “ma la definizione non ci dispiace. Rispetto all’Unione Europea costruita dalle classi dominanti siamo antagonisti”.

I contenuti politici e le caratteristiche della composizione sociale della manifestazione hanno così fatto saltare parecchi schemi precostituiti. Una prima prova sono stati i servizi giornalistici del giorno stesso e poi anche quelli di lunedì mattina che hanno segnalato in alcuni talk show proprio questo fattore. Un pezzo di società reale è sceso in piazza contro il tabù dell’Unione Europea e il coccolatissimo premier Renzi. Una manifestazione di “rottamatori di incantesimi” avevamo scritto nel nostro precedente editoriale.

Ma occorre essere onesti fino in fondo. I numeri della manifestazione di sabato sono stati più che dignitosi, in linea con quelli delle manifestazioni di questa primavera (12 aprile, 15 maggio) frutto di divaricazioni ripetute e pervicaci tra le diverse realtà dei movimenti antagonisti e d’opposizione. Ma si tratta ancora di numeri sicuramente insufficienti rispetto alla posta in gioco e alle necessità. Il che conferma che i processi di ricomposizione e mobilitazione comune sperimentati il 18 e 19 ottobre scorsi restano ancora il parametro di riferimento più efficace e includente. Aver fatto saltare quell’alleanza politica e sociale e quello schema di mobilitazione, si conferma un clamoroso errore politico, così come si è rivelato un errore politico – da parte di molte realtà – rimuovere o mettere scarsa convinzione nella manifestazione del 28 giugno che ha aperto la campagna del Controsemestre popolare.

Il corteo di sabato scorso e il percorso del Controsemestre costituiscono una occasione importante per mettere in campo mobilitazione, approfondimento, confronto sulle questioni strategiche attinenti al conflitto di classe e alla lotta politica nel nostro paese. Il primo passo da compiere era quello di rompere il tabù paralizzante della paura di dichiarare la propria opposizione e la richiesta di rottura dell’Unione Europea, un tabù sul quale rischia di indebolirsi la sinistra e di rafforzarsi la destra, anche estrema.

Questa dichiarazione di frontale alterità ai diktat di Bruxelles e Francoforte sabato è stata declinata nei termini corretti, con una composizione e una visione di classe adeguati alla partita che si è aperta.

C’è materia abbondante di riflessione per molti.

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