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Mercati in crisi per troppo successo?

La cosa più divertente delle crisi vere sono le spiegazioni che se ne danno i patiti del “libero mercato”. Basta un giorno di crollo borsistico seguito da un altro di mancato rimbalzo per gettarli nella disperazione e proiettarli alla ricerca del “colpevole”. Non fanno mai troppa strada, però, perché l’ideologia che li possiede – proprio come un demonio, a sentirne parlare un esorcista – li porta sempre immediatamente a vedere nella “politica” il responsabile contingente del malfunzionamento dei mercati.

L’editorale di Alessandro Plateroti, su IlSole24Ore di oggi, è in questo senso quasi un capolavoro. La situazione di questi giorni è nota:

“ora si naviga a vista, con la paura crescente che la correzione attesa ormai da troppo tempo si trasformi all’improvviso in un crollo doloroso degli indici e delle Borse: dopo 5 anni di esuberanza finanziaria stimolata dagli aiuti alle banche di Fed e Bce, il mercato teme di essersi spinto troppo avanti, di non poter più gestire in sicurezza non solo il divario troppo ampio tra ripresa della Borsa e ripresa dell’economia, ma anche vecchie paure e nuove incognite, dalla possibile uscita della Grecia dall’Eurozona fino all’Ucraina o al crollo del petrolio.”

Le “iniezioni di liquidità”, come socializzazione dei costi della crisi finanziaria, erano piaciute moltissimo negli ambienti – guarda un po’ – finanziari. Morto il keynesismo, che avrebbe risposto finanziando in deficit la creazione di attività produttive (dalla opere infrastrutturali alla ricerca, dalle fabbriche all’energia, ecc), era partito l’applauso per il “socialismo per ricchi”: soldi pubblici per impedire il fallimento di banche e assicurazioni, suicidatesi nella ricerca di rendimenti sempre crescenti. Applausi anche per le soluzioni date – specie in Europa – alle crisi finanziarie e debitorie di alcuni stati: prestiti finanziari per pagare debiti finanziari con gli stessi prestatori, in cambio di privatizzazioni e “riforme strutturali” pensate per permettere ai prestatori di acquisire a prezzi stracciati asset patrimonali o attività produttive degli indebitati. Il “laboratorio Grecia” ha dimostrato che l’esperimento non è riuscito: al crollo del Pil del 25% (e disoccupazione allo stesso livello) non ha fatto seguito alcuna “ripresa”. Soprattutto, il debito è aumentato invece di diminuire, costringendo tutti a prendere atto che quel 175% rispetto al Pil non sarà mai restituibile. Con qualsiasi governo.

Un esempio di “politica” subordinata ai mercati, tramite i funzionari della Troika (Bce, Ue, Fmi). Un esempio fallimentare, dove all’infamia dello strangolamento di un popolo va sommato il peggioramento drastico del “difetto” che si pretendeva di sanare.

Ora si scopre che anche l’esuberanza di liquidità in giro per il mondo non è sufficiente a ricostruier le condizioni di una crescita ordinata e duratura.

Fino all’anno scorso, l’enorme liquidità erogata alle banche si è ben distribuita tra titoli di Stato e azioni, tra mercati emergenti e maturi, tra Paesi in recessione e nazioni in ripresa. Ma la liquidità, da sola, non basta a garantire una crescita sostenibile dei mercati azionari: per quella servono economie sane, aziende che producono utili e soprattutto stabilità politica nell’attuazione delle riforme laddove è necessario. Senza questi tre elementi, la liquidità genera eccessi, incertezze e soprattutto bolle speculative pronte ad esplodere senza preavviso.

[…] Il mancato trasferimento all’economia reale delle centinaia di miliardi erogati dalla Bce alle banche europee non solo ha bloccato la ripresa delle economie più fragili ed esasperato il peso delle riforme, ma ha destabilizzato anche i mercati finanziari: le banche, a loro volta strangolate da regole eccessive e penalizzanti per l’attività creditizia, sono diventate il bersaglio delle paure.

Impagabile. La libertà di movimento dei capitali finanziari va distruggendo economie, aziende e interi Stati (macchine amministrative, classi dirigenti, sistemi fiscali, ecc), ma “scopre” che in realtà proprio di quella roba lì avrebbe bisogno. Possiamo dirla in altro modo: che “il sottostante” dell’attività finanziaria è comunque l’economia reale. Con tutto quello che il governo concreto di un’economia reale comporta (conflitto sociale, interessi contrastanti, politiche di medio-lungo periodo, compromessi e mediazioni, ecc).

La sintesi di questa contraddizione è data dallo stesso Plateroti, in modo però totalmente inconsapevole:

Il problema della Borsa è tutto qui: assenza di leadership nella gestione delle grandi crisi.

Scusate. Sono 35 anni (da Margaret Thatcher in poi) che avanzate di trionfo in trionfo sulla via della riduzione dello spazio “pubblico” e dell’intervento dello Stato nell’economia, della riduzione degli stessi Stati in “facilitatori attivi” della libertà di movimento dei capitali oltre che del dominio delle imprese sui dipendenti, della privatizzazione di ogni servizio pubblico di rilevanza sociale, ecc.. E ora vi venite a lamentare dell’assenza di leadership? Quale leadership mai si poteva sviluppare in quella cappa mortifera che avete creato?

Tutte le leadership occidentali degli ultimi 35 anni sono state formate in un ambiente che scartava sul nascere ogni opinione dirazzante, ogni ipotesi di affrontamento delle “grandi crisi” che non fosse il “lasciare mano libera ai mercati”. Sono state dunque imprintate da un “pensiero unico” secondo il quale dovevano preoccuparsi unicamente di smantellare welfare, servizi pubblici, contrattazione nazionale, giurisdizione del lavoro, tenendo contemporaneamente basso il livello di conflittualità sociale conseguente.

Sono state selezionate insomma figure miopi, dallo sguardo programmaticamente corto, impossibilitate – più che incapaci: impotenti – a immaginare qualcosa di diverso dagli input autoritari provenienti “dai mercati”. Figure insomma svuotate di leadership carismatica e riempite di “creatività nella comunicazione”, nel migliore dei casi. Galleggiatori abili, se volete, ma non nuotatori; tantomeno capitani adatti a guidare vascelli in mari tempestosi.

Di cosa vi lamentate, allora? Di aver avuto troppo successo?

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1 Commento


  • Roberto

    No,si lamentano che quello fatto finora dai governanti e’ troppo poco,troppo lieve,che insomma la gente sta ancora troppo bene per soddisfare le esigenze delle multinazionali.Ci vuole un massacro vero:reagan e la tatcher non sono sufficienti,ci vuole una leadership tecnocratica non eletta democraticamente,ma imposta con la forza.L’articolo di plateroti li invita a fare questo.

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