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Il ruggito del canarino

Atene è il canarino in gabbia che minatori si portavano dietro nelle miniere. I primi ad avvertire la presenza del grisou, quelli che lanciano l’allarme morendo.

Il ministro delle finanze Yanis Varoufakis non ama evidentemente le immagini edulcorate. L’altro suo richiamo era infatti rivolto direttamente all’interlocutore tedesco più arcigno che poteva trovare, Wolfgang Schaeuble, cui ha ricordato il disastro epocale del piano Dawes. Non si studia più neanche nei seminari di storia moderna, ma quel piano fu la vera causa scatenante dell’ondata nazista. Prima sulla Germania e poi sulla parte di pianeta allora “civilizzata”.

Ricordiamola sommariamente perché l’ignoranza della storia, o l’assenza di memoria, genera mostri. Alla Conferenza di pace di Parigi, nel 1918-19, la Germania fu riconosciuta come principale responsabile del conflitto. I vincitori (soprattutto Francia e Gran Bretagna) pretesero che la Germania pagasse non solo i danni arrecati ai civili (le “riparazioni” vere e proprie), ma anche l’intero costo sopportato dagli Stati alleati per affrontare la guerra. La Germania uscita dal primo conflitto mondiale era una nazione nel pieno possesso delle proprie energie industriali, non aveva perso nemmeno un centimetro di territorio, non aveva subito bombardamenti (l’aviazione, allora, era poco più che un esperimento, in sede bellica), aveva allevato – o stava allevando – la più straordinaria generazione di scienziati che si sia mai vista (da Einstein a Heisenberg, da Bohr a Schroedinger). Una potenza sconfitta ma non distrutta, in bilico tra rivoluzione (Rosa Luxemburg,  Karl Liebknecht, ecc) e reazione.

Il debito – o “la colpa”, che in tedesco si nomina comunque Schuld derivò in tutto e per tutto dalla necessità di pagare queste “riparazioni di guerra”: 132 miliardi di marchi oro, da pagarsi a rate con l’interesse del 6%, una cifra esorbitante pari a circa 31,35 miliardi di dollari oro (pari a oltre 46.000 tonnellate d’oro). Questo affossò l’economia tedesca, l’orgoglio di un popolo, la dignità di una cultura che non aveva rivali sul Vecchio Continente.

È stata dunque una frase che andava al fondo dell’anima tedesca quella di Varoufakis: Credo che di tutti i Paesi europei la Germania possa capire questa semplice notizia: quando si scoraggia troppo a lungo una nazione orgogliosa, e la si espone a trattative e preoccupazioni di una crisi del debito deflattiva, senza luce alla fine del tunnel, questa nazione prima o poi fermenta”. Verso la rivoluzione o la reazione. O, nel presente, verso la rottura dell’Unione Europea gestita dalla sinistra greca oppure – se dovesse fallire – dai nazisti di Alba Dorata.

Ma evidentemente Schaeuble ha perso l’anima e la memoria.

Sappiamo bene che Syriza non è un partito comunista. Non lo erano nemmeno quelli di Allende, o di Hugo Chavez. Non lo sono quelli di Evo Morales, Rafael Correa, Nicolas Maduro, Lula o Dilma Roussef. Eppure l’America Latina sta praticando una strada che ha rotto con l’egemonia statunitense, attua la solidarietà tra paesi complementari, articola un “socialismo possibile” oggi, nelle presenti – e difficili – condizioni. Dà fiato e prospettiva di riscatto ai popoli di un intero continente usato per due secoli da Washington come “cortile di casa”.

E’ quello che prova a fare, in questi giorni, il nuovo governo greco, supportato e “pressato” dal blocco sociale che lo ha eletto. È una battaglia durissima, contro avversari – non più “partner” – che insistono nel prescrivere misure che si sono già rivelate fallimentari (il debito pubblico di Atene, sotto il regime della Troika, è passato dal 125 al 180%, mentre il Pil è precipitato del 25%). Non ci interessa star qui a scommettere sul giorno in cui “cederà” o sulle sue possibilità di vittoria. In politica agire è un rischio, non agire significa sconfitta certa.

Ci interessa perciò “allargare la crepa” nel ghiaccio della cosiddetta austerità imposta dall’Unione Europea, impedire che si restauri un crosta congelante (con noi sotto…), far sbagliare rotta al “pilota automatico” messo all’opera tra Bruxelles, Francoforte e Berlino; con la complicità vile, e un tantino stupida, di Italia e Francia, oltre che del suicida che comanda (ancora per poco, ci auguriamo) in Spagna.

La rigidità europea è direttamente proporzionale al terrore con cui le cancellerie continentali vivono l’impossibilità di dare una soluzione effettiva alla crisi. Non c’è commentatore intelligente all’oscuro del fatto che “Questa è una guerra tra due concezioni opposte di Europa: quella dei tecnici e dell’austerità a tutti i costi, contro quella dei popoli e del pragmatismo sul problema comune del debito”. O meglio una guerra tra il dominio assoluto del capitale multinazionale e il tentativo di affrancarsi (in parte o de tutto, ma questa è un’altra discussione, tutta da fare) da quel dominio.

Questa è una guerra sulla nostra pelle, ci ha gridato “il canarino”. E abbiamo solo due scelte davanti. O assistiamo al nostro stesso bombardamento, maledicendo oscuri complotti “demopluto” o “nemici” che ci vengono indicati da chi ci bombarda (migranti, islamisti, rom, ecc). Oppure ci battiamo, scendendo anche noi nelle piazze contro l’Unione Europea e per la sua “rottura”, per un’altra comunità di paesi liberi e solidali.

 

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