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Casus belli in Tunisia, intervento militare in Libia

E’ fin troppo evidente il nesso strumentale tra quanto accaduto in Tunisia, con l’attacco jihadista e la strage di turisti, con la campagna tesa a legittimare un intervento militare italiano e europeo in Libia. L’evento traumatico, il “casus belli” è avvenuto ed ha colpito degli inermi turisti italiani. Il governo Renzi, e le forze che da tempo spingono per intervenire militarmente in Libia, adesso hanno l’occasione per creare intorno a questa ennesima guerra asimmetrica il consenso necessario per far muovere aerei, portaerei e truppe di terra sulla sponda sud del Mediterraneo.

Questo sviluppo degli avvenimenti è facilmente desumibile dall’intervista rilasciata dal Presidente della Repubblica Mattarella alla Cnn, dalle comunicazioni alla Commissione Esteri dei ministri della Difesa e degli Esteri (Pinotti e Gentiloni) e da quanto Renzi ha avanzato in sede di Consiglio Europeo a Bruxelles. “A seguito dell’aggravarsi della minaccia terroristica, resa di drammatica evidenza anche dagli eventi di ieri in Tunisia, si è reso necessario un potenziamento del dispositivo aeronavale dispiegato nel Mediterraneo centrale, al fine di tutelare i molteplici interessi nazionali, oggi esposti a crescenti rischi determinati dalla presenza di entità estremiste, e assicurare coerenti livelli di sicurezza marittima”, ha detto la ministra della Difesa Pinotti.

A sostegno delle tesi interventiste già si muovono i media embedded . “Per far fronte alla feroce determinazione dell’islamismo radicale, alla sua capacità di penetrazione, la politica deve innanzitutto prepararsi all’impiego della forza. La si chiami come si vuole per non turbare i nostri pudori lessicali – operazione di polizia internazionale, missione di pace ( sic !) o che altro – l’importante è capirsi sulla sostanza” scrive oggi l’editoriale del Corriere della Sera.

Il primo problema da risolvere – e qui torna funzionale lo shock della strage dei turisti a Tunisi – sarà quello della legalità dell’intervento militare. Fino ad oggi il governo italiano aveva parlato di un intervento di “peace keeping” a sostegno della mediazione tra le varie fazioni libiche (il governo riconosciuto insediato a Tobruk e il governo islamico insediato a Tripoli soprattutto). Una mediazione affidata sulla carta all’inviato dell’Onu Bernardino Leon, che fino ad oggi non ha prodotto però risultati. In Marocco sono in corso i colloqui ma stenta a venire fuori uno scenario diverso da quello di una “invocazione unilaterale” del governo di Tobruk ad un intervento esterno a proprio sostegno, il che configurerebbe un’azione militare a sostegno di una delle fazioni libiche contro tutte le altre. Sappiamo tutti che un intervento militare in Libia non potrà che avere il carattere di “peace enforcing” – ovvero una invasione diretta e non “contrattata” – con flotte schierate davanti alle coste e truppe sul terreno, cosa ben diversa da un ruolo di interposizione tra forze belligeranti per assicurare la pace. Ma sappiamo tutti che questo trasformerebbe la Libia in un pantano militare come l’Afghanistan o l’Iraq con le altre fazioni libiche impegnate a combattere le truppe straniere.

Mentre vengono presi in esame tutti gli scenari e il rapporto tra costi e benefici, nelle acque internazionali davanti alla Libia dal 2 marzo sono già in corso manovre navali da parte della Marina Militare Italiana. “Le operazioni non sono state messe in rapporto alla crisi in atto, ma un loro obiettivo dichiarato è quello di accrescere la sicurezza dell’area dove cospicui sono gli interessi italiani negli impianti estrattivi di Bouri gestiti dall’Eni, da cui parte, sino a Gela, il gasdotto Greenstream”, scrive la newsletter dell’Istituto Affari Internazionali. Con l’Egitto si è parlato di un intervento militare congiunto nel recente vertice economico a Sharm El Sheik. “C’è condivisione ampia – ha affermato Renzi dopo il colloquio con il generale/presidente egiziano Al Sisi- sulla necessità di un intervento rilevante in Libia, da realizzare a partire dagli sforzi diplomatici dell’Onu”.

Come opporsi a questo scenario dal sapore fortemente coloniale? La macchina politica, diplomatica e militare è già in moto e l’opinione pubblica, anche sotto il funesto ma provvidenziale evento traumatico di Tunisi, sembra disponibile a sostenere una azione militare vendicativa contro i gruppi jihadisti. Il fatto che l’evento scatenante sia avvenuto in Tunisia, ma che poi si intervenga in Libia, al momento non sembra suscitare le dovute domande. Su una cosa non possono esserci dubbi: dobbiamo opporci con ogni mezzo all’intervento militare coloniale in Libia, ancora una volta senza se e senza ma!Chi tentenna non potrà essere un nostro compagno di strada.

 

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