“La tragedia di Nizza ha ancora una volta dimostrato il rischio di precipitazioni, che spesso gareggia con la demagogia e il cinismo”.
E’ quanto scrive nel suo editoriale il periodico francese Politis invitando all’urgenza di tacere di fronte alla strage di Nizza. “Molto rapidamente, troppo rapidamente, forse, abbiamo sentito Christian Estrosi rimproverare Francois Hollande che solo giovedi aveva annunciato la fine dello stato d’emergenza”; ed infatti sono prolificati subito i sostenitori dello stato d’emergenza permanente, in Francia come nel nostro paese, dove abbiamo sentito addirittura qualcuno sostenere che l’Europa deve diventare come una “grande Israele”.
Eppure.
Eppure ci sono ancora tante cose che non quadrano con lo scenario di un ennesimo attentato jihadista. Al contrario, ancora una volta, un fatto di sangue coincide con la necessità di un esecutivo – quello di Hollande – di ricorrere a quello stato d’eccezione permanente che sembra essere l’unica soluzione delle classi dominanti di fronte alle conseguenze di una crisi irrisolta e dei conflitti sociali che ne derivano.
Mohamed Lahouaiej Bouhlel era un tunisino di 31 anni, ma che non figura nella famosa “Fiche S”, la lista stilata dagli apparati di sicurezza francesi sugli elementi in odore di radicalizzazione. Non sembra che avesse dei complici. L’uomo era ritenuto “depresso e instabile” perché si era separato nel 2012 dalla moglie. In marzo l’uomo era stato coinvolto in un litigio con un altro autista. Per questo fatto era stato condannato a sei mesi di carcere con la condizionale.
L’attentato, secondo il procuratore di Nizza, Francois Molins, “anche se non è stato ancora rivendicato, corrisponde esattamente agli appelli di omicidio delle organizzazioni terroristiche islamiche diffusi sulle loro riviste e sui media”. Eppure molti fattori dimostrano il contrario. Innanzitutto non c’è traccia di rivendicazioni dell’Isis o di altri gruppi analoghi. A bordo del camion non è stato rinvenuto alcun materiale di origine jihadista. La pistola calibro 7.65 con cui ha sparato era di sua proprietà e le altre armi trovate a bordo del camion risultano essere imitazioni.
Un aggiornamento pomeridiano di Le Monde cita una fonte della polizia che esorta alla cautela e ricorda un precedente avvenuto a Digione. Nel mese di dicembre 2014, un automobilista ha investito tredici persone al grido di “Allah Akbar”. L’uomo però era stato 157 volte in un ospedale psichiatrico, e le autorità giudiziarie, che aveva inizialmente avviato un procedimento per il terrorismo, avevano infine ritenuto che fosse solo il gesto di uno squilibrato.
Il dato che contrasta con questa tesi sarebbe però la premeditazione. Mohamed Lahouaiej Bouhlel ha noleggiato il camion frigorifero due giorni prima a Saint-Laurent-du-Var, un municipio limitrofo a Nizza. Bouhel è arrivato al posteggio in bicicletta, è salito alla guida del Tir ed è poi arrivato sul lungomare di Nizza giovedì sera intorno alle 22.30, dove ha lanciato il camion sulla Promenade des Anglais sfondando le transenne della zona pedonalizzata per la Festa della Repubblica. Lì è salito sul marciapiede del lungomare e ha cominciato a investire i pedoni che stavano guardando lo spettacolo dei fuochi d’artificio. Ma nulla conferma che abbia prenotato il camion solo per realizzare la strage.
Insomma si potrebbe scoprire che Mohammed Boulhel era solo un uomo fuori di testa, come i molti che negli Usa sparano all’impazzata dentro college o centri commerciali seminando decine di vittime. E’ sicuramente terrore, ma non è terrorismo né un progetto fondato sul terrore. Se questa tesi si rivelerà veritiera, i queruli commentatori che in Italia o Francia alimentano l’isteria, il razzismo e lo stato d’eccezione permanente dovrebbero avere il pudore di tacere – come chiede giustamente Poilitis.
Per paradosso, dovrebbero fare altrettanto anche se si scoprisse che Boulhel era un jihadista aderente a una delle tanti reti terroristiche attive in questo periodo. Queste reti sono state alimentate, finanziate, coadiuvate per anni anche da potenze come la Francia. Lo sono state in Bosnia e nel Kosovo, in Cecenia e in Iraq, in Siria e in Libia, fino a quando il “nemico del mio nemico” è diventato qualcosa di molto diverso da un amico che faceva il lavoro sporco per conto terzi.
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