La morte di Fidel Castro è arrivata, attesa ma dolorosa per tutti coloro che continuano ad agire affinchè vengano cambiati i rapporti sociali nel mondo sottoposto al dominio del capitalismo.
Il Comandante en Jefe si spegne a novanta anni, una vita lunghissima che ha attraversato la storia dell’umanità negli ultimi due secoli. E’ la storia di un leader rivoluzionario di prima grandezza, un gigante che si è spesso dovuto misurare con nani politici e passaggi storici che avrebbero piegato le ginocchia a molti di noi.
Fidel Castro, insieme a un pugno di rivoluzionari come Camilio Cianfuegos, Ernesto Che Guevara, Haydeè Santamaria, Melba Hernandez, l’italiano Gino Donè, scelsero di rompere nel 1956 con la coesistenza pacifica tra l’Urss post-stalinista di Kruscev e gli Stati Uniti. Passarono all’azione e rimisero in campo l’opzione rivoluzionaria. La realizzarono nel 1959 a Cuba e cercarono di estenderla, senza successo, nel resto dell’America Latina negli anni successivi. Resistettero eroicamente ad ogni tentativo imperialista di rovesciare il governo rivoluzionario di Cuba e diventarono il punto di riferimento per il Terzo Mondo, quell’Asia, Africa, America Latina dove i movimenti di liberazione sconfissero il colonialismo. I volontari cubani furono decisivi per la liberazione dell’Angola, della Namibia ed infine contro il regime dell’apartheid in Sudafrica. In altri paesi come Congo e Etiopia le cose andarono meno bene. La Cuba di Fidel Castro è stata al centro di un ciclo rivoluzionario durato fino al luglio 1979 in Nicaragua. I guerriglieri internazionalisti cubani non sono stati solo degli ottimi combattenti, sono stati medici, infermieri, agronomi, insegnanti.
Fidel Castro è stato il dirigente comunista che senza giri di parole disse ad un Gorbaciov sulla cresta dell’onda che la sua perestrojka in Urss sarebbe stata rovinosa per il socialismo. E aveva ragione. Scendemmo in piazza nel 1989 con uno striscione ammiccante con su scritto: “Fidel tieni duro!” e tante compagne e compagni non lo compresero e ci criticarono. I fatti diedero ragione a Fidel Castro e confortarono la scelta del nostro striscione.
Fidel Castro è stato l’anima della resistenza di Cuba nei durissimi anni Novanta, quelli del “periodo especial” dove all’aggressione statunitense si sommarono la scomparsa di ogni relazione e supporto economico da parte della dissolta Unione Sovietica. Siamo stati a Cuba più volte in quegli anni che avrebbero piegato qualsiasi popolo e qualsiasi governo. Ma la Cuba di Fidel Castro compì il miracolo di rimanere in piedi. “Nadie nos pondrà en rodilla”. Nessuno ci metterà in ginocchio! Questo era il messaggio potente che Cuba e Fidel hanno tenuto aperto ad un mondo ormai piegato dal dilagare della globalizzazione capitalista.
Proprio mentre il capitalismo si annetteva o disgregava Stati che erano stati per anni al di fuori della sua egemonia, Fidel Castro denunciò, spesso in solitudine, le crescenti contraddizioni ambientali e sociali che il suo modo di produzione stava introducendo sul pianeta. Alla Conferenza sull’Ambiente di Rio le sue parole graffiarono in profondità l’appagata arroganza dei potenti della terra. .
Ha combattuto contro otto Presidenti degli Stati Uniti che volevano rimettere Cuba sotto il tallone di ferro del loro “cortile di casa”. Ha incontrato tre Pontefici ed ha gestito con straordinaria capacità le relazioni con un apparato politico ed ideologico che ha annichilito altri paesi. Ha dialogato a tutto campo ma lo ha fatto senza mai rinnegare il socialismo.
Fidel Castro ebbe la lungimiranza di guardare all’America Latina offrendogli l’esempio di una piccola isola e di una grande rivoluzione che non aveva capitolato. Nel Foro di San Paulo la sinistra latinoamericana trovò la forza, la coesione e le idee per prepararsi al ciclo progressista che ha investito l’America Latina dalla fine degli anni Novanta: Venezuela, Bolivia, Ecuador ma anche, e diversamente, Uruguay, Brasile, Argentina, devono moltissimo a Cuba e a Fidel Castro se riuscirono a venir fuori dall’incubo neoliberista che aveva massacrato socialmente l’America Latina per anni.
L’orologio biologico del comandante Fidel Castro ha proseguito inesorabile. I suoi nemici più volte ne hanno annunciato la morte venendo smentiti e sbeffeggiati dallo stesso Fidel. Ogni leader latinoamericano o africano ha sentito l’esigenza di andarlo a trovare quando si è ritirato dalla vita politica, incluso Nelson Mandela che gli ha tributato il riconoscimento del contributo decisivo dato alla sconfitta dell’apartheid in Sudafrica. Fidel ha continuato a partecipare al dibattito politico a Cuba e nel mondo attraverso le sue lettere periodiche, l’ultima delle quali sottolineava come non ci si potesse fidare di Barak Obama e degli Stati Uniti ma ne indicava anche la debolezza. Un dato anche questo confermato dai fatti.
Ci ha sempre infastidito un certo romanticismo filocubano e abbiamo combattuto apertamente contro ogni visione eurocentrista sulla realtà cubana. Abbiamo praticato a tutti i livelli la solidarietà con Cuba e abbiamo conosciuto da dentro la Rivoluzione Cubana e i suoi dirigenti, incluso Fidel Castro, ne abbiamo sempre apprezzato e valorizzato la enorme capacità di analisi, lungimiranza, concretezza e azione nella realtà.
La scomparsa di Fidel Castro apre un vuoto non colmabile nel movimento rivoluzionario. Ma lascia una eredità non disperdibile: la dimostrazione che i processi rivoluzionari possono vincere, resistere, crescere, estendersi.
La storia ha già assolto il compagno Fidel Castro, le sue ceneri verranno accolte con amore dalla terra abitata da una umanità che gli deve molto.
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