Può apparire paradossale che per le manifestazioni del 25 aprile si parli, a sproposito, di tutto tranne che del senso di una giornata che segna la Liberazione dal nazifascismo. A cacciare via i nazifascisti dal nord del paese furono i partigiani che un anno prima non obbedirono agli ordini del generale britannico Alexander (che aveva chiesto di sospendere le azioni militari) e le truppe alleate che avevano risalito la penisola.
Da questo prese corpo nel 1946 una Repubblica nata dalla Resistenza. Due anni dopo venne varata una Costituzione repubblicana che ne assunse il valore fondativo. La stessa Costituzione che la banca d’affari JP Morgan voleva affossare perché “troppo socialista” affidando il lavoro sporco al Pd di Matteo Renzi. Entrambi sono stati sconfitti il 4 dicembre da un referendum voluto dal governo per portare a compimento quel progetto, ma respinto dalla volontà popolare.
In più occasioni si è cercato di depotenziare e stravolgere il senso del 25 aprile come giornata che celebra la Resistenza. Ci avevano provato i governi Berlusconi (riuscendo però a ridare significato attuale e partecipazione di massa alle manifestazioni) e ambienti del Pd che hanno cercato in tutti i modi di renderla una giornata priva di ogni senso.
Da alcuni anni sul 25 aprile si è manifestato un ulteriore tentativo di stravolgimento: quello dei gruppi sionisti legati apertamente al governo e al progetto coloniale israeliano. Con il pretesto di dare visibilità – e con l’obiettivo di dare centralità – alla Brigata Ebraica, i supporter del governo israeliano hanno cercato, anche con la violenza, di impedire la presenza di delegazioni della comunità palestinese ai cortei. Di fronte alla ampiamente documentata aggressività di settori della comunità ebraica romana (e solo a Roma occorre dire), i militanti e le organizzazioni della sinistra hanno scelto di tutelare il diritto dei palestinesi ad essere presenti nei cortei che celebrano la Resistenza e la Liberazione dal nazifascismo.
Il rovesciamento dei fatti portato avanti ovviamente dai circoli sionisti e da commentatori come Paolo Mieli, li costringe a far girare il disco incantato dei rapporti tra il Gran Muftì di Gerusalemme e i gerarchi nazisti per negare il diritto dei palestinesi a stare nei cortei, mentre si legittima e si dà centralità alla partecipazione delle bandiere dello stato israeliano che rappresentano oggi – e non settanta anni fa – l’oppressione di uno stato coloniale contro un popolo, quello palestinese appunto.
Palestinesi, curdi, vietnamiti, ebrei, africani e latinoamericani di vari paesi, sono stati da sempre compagni di strada dei militanti di sinistra nei cortei del 25 aprile negli anni passati. Ma questo meccanismo di mutuo riconoscimento nell’antifascismo è stato spezzato unilateralmente dal violento spostamento a destra di alcune comunità ebraiche. Nei siti e nelle pagine web ispirate al sionismo, da tempo il problema non sono più i fascisti, ma "la sinistra".
L’anticomunismo e l’islamofobia sono diventati prevalenti sull’antifascismo, si cerca di far diventare le persecuzioni antiebraiche del nazifascismo non più memoria comune di chi il fascismo lo ha combattuto, ma memoria esclusiva a disposizione di chi oggi intende negare ogni diritto di esistenza e resistenza al popolo palestinese attraverso l’oppressione militare sul campo e il politicidio negli altri paesi.
Su questo presupposti è inevitabile che il 25 aprile resti la festa di tutti gli antifascisti. Di ieri e di oggi. Nè può sorprendere che il Pd renziano soffra enormemente un 25 aprile che rivendica il carattere popolare, democratico e resistenziale di una Costituzione che proprio il Pd voleva affossare, in nome della primazia della governabilità e della competitività economica. Per questo il Pd oggi usa come una clava il “vittimismo aggressivo” di una parte della comunità ebraica sui cortei che celebrano il giorno della Liberazione. Una isteria che arriva a mettere sotto accusa l’Anpi, l’associazione dei partigiani celebrata e sostenuta, ma solo fino a quando – nel referendum sulla Costituzione – si è messa di traverso schierandosi per il NO e contro il governo Renzi.
Si arriva all’idiozia di denunciare che nell’Anpi "non ci sono più i partigiani di una volta”, come se il tempo purtroppo non fosse implacabile anche con gli uomini e le donne che scelsero di combattere il nazifascismo. E che lo fecero – disobbedendo anche a quel generale che li invitava a fermarsi – proprio per far sì che la Repubblica che doveva nascere fosse la realtà di un popolo che si riscattava e non solo un fantoccio nelle mani delle "potenze alleate".
I settanta anni di conflitto di classe che ci sono stati nel nostro paese, dal dopoguerra a oggi, sono indicativi anche di quella aspirazione originaria.
Foto di Patrizia Cortellessa
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