In questi giorni si vota per le elezioni comunali in cinque grandi aree metropolitane e numerose città.
E’ evidente che, per dimensioni e tempistica, saranno un test politico a tutto tondo, completamente ininfluente sulle sorti di un governo blindato da Bruxelles e Confindustria, ma indicativo delle contraddizioni e delle aspettative dentro un segmento rilevante della società.
In questi anni abbiamo argomentato sul come, nelle aree metropolitane, qualità e quantità delle contraddizioni “di classe” facciano cortocircuito. Nell’organizzazione urbanistica, economica e sociale delle città il capitalismo gioca ormai una consistente quota della valorizzazione del capitale.
Le privatizzazioni dei servizi pubblici, la rendita fondiaria e immobiliare, l’incremento e l’intercettazione dei flussi del turismo di massa, stanno lì a dimostrare – all’insegna delle “metropoli competitive” – come questa valorizzazione sia apertamente nemica degli interessi popolari, in ogni settore e su ogni aspetto della vita sociale.
Ad essa si oppone, lì dove tenta di darsi gli strumenti di resistenza, rappresentanza e conflitto, una visione antagonista dei rapporti sociali nelle città.
Gli esiti di questa sfida frontale ne disegnano e disegneranno l’ordine delle priorità e degli interessi che possono prevalere nelle scelte strategiche. Dunque è una lotta mortale tra la visione competitiva delle metropoli e la Città Pubblica che ne è antagonista.
Intorno alla visione della Città Pubblica, Potere al Popolo si è misurato a tutto campo con questa sfida: a Milano come a Roma, a Napoli come a Bologna, a Torino come Caserta, Grosseto, Ravenna e in altre città. In alcune lo ha fatto in piena autonomia, in altre in coalizione con altre forze.
Negli anni abbiamo imparato sul campo come i conflitti e i movimenti sociali e sindacali – che restano fattore decisivo – abbiano bisogno di misurarsi anche sul terreno della rappresentanza politica degli interessi e dei settori sociali che organizzano e con cui interloquiscono.
Visione generale e vertenze sociali di lotta hanno necessità di una sintesi sul piano politico per acquisire visibilità, credibilità, forza superiore.
Potere al Popolo ha scelto di misurarsi su questo terreno. E’ bene essere consapevoli che un risultato elettorale “rilevante” non è – o non è ancora – a portata di mano, ma il risultato politico e il passo avanti è evidente.
Non abbiamo mai ritenuto che quello elettorale o che “l’elezione di un consigliere” (o un parlamentare) fosse il “certificato di esistenza in vita”. Un limite di visione politica che ottunde ormai da anni la vivacità, la lucidità e la stessa credibilità sociale della sinistra residuale.
Le elezioni sono un passaggio, uno snodo che bisogna sforzarsi volgere a proprio favore, essendo ben consapevoli che è un terreno ostile e ampiamente dominato dagli apparati nemici.
E’ un’incursione in campo ostile che consente però di allargare gli spazi e seminare casematte nella sedimentazione sociale e organizzativa di una ipotesi alternativa e di classe.
Lo è nei quartieri, lo è tra settori di lavoratrici e lavoratori, lo è tra i giovani e gli studenti, ma lo è anche sul terreno della rimessa in campo di una proposta politica di rottura e cambiamento, alternativa alla logica del meno peggio a cui vorrebbero piegarci il sistema politico e la residualità “di sinistra”.
Ma come per un contadino nei campi, si raccoglie elettoralmente solo quel che si è seminato. E se non c’è continuità di attività sociale e politica, è utopia sperare in risultati elettorali che “per magia” risolvano problemi pluridecennali.
Nelle varie città le attiviste e gli attivisti di Potere al Popolo, in questa campagna elettorale, si sono misurati spesso con problemi e interlocutori sociali inesplorati, hanno dovuto trasferire sul piano della concretezza idee e intuizioni, hanno dovuto dare gambe alle proposte per metterle a verifica nella società. Insomma una sperimentazione e una inchiesta sul campo necessaria da utilizzare al meglio dopo le elezioni.
Per questo diciamo già oggi che “il risultato” è già buono, promettente, un viatico per far meglio e arrivare a costruire una rappresentanza politica indipendente, credibile, socialmente radicata, politicamente visibile e protagonista.
Dobbiamo aver chiaro che il quadro politico è in forte scomposizione. La Lega di Salvini, fin qui usata come spauracchio per imporre il “voto utile” al Pd &co., sta per buttare a mare il suo “capitano”. L’uomo che – negli incubi di chi non analizza mai la realtà, ma si accontenta del “meno peggio” – ci saremmo “dovuti tenere per venti anni”.
Come Berlusconi, come Renzi, o no?!
Il governo Draghi – diciamo fin dalla sua nascita – ha due obbiettivi complementari: a) “riformare” ciò che resta del modello sociale italiano secondo le direttive europee, usando il grimaldello del Pnrr, b) ridisegnare la classe politica, rimescolando le carte di “partiti” ridicoli, senza differenze valoriali reali (se non strumentalmente), intercambiabili.
Alla fine dovranno restare soltanto due schieramenti “diversamente europeisti”, scartando i rimasugli della stagione “populista-qualunquista”. Tanto la “versione di Letta” e la “versione di Giorgetti” sono lo stesso racconto.
C’è un piccolo ma significativo esempio di questa ambiguità che in questi giorni ha fatto capolino sui mass media. Nel comune di Orbetello, nel grossetano, a fronte di due sole liste elettorali, una “di destra” e una di “estrema sinistra” – il Pd non esprime alcuna indicazione di voto, lasciando intendere di non temerla affatto. Un esempio che demolisce, da solo, anni di chiacchiere sul voto utile per “arrestare l’avanzata delle destre”.
Ciò che continua a mancare è quello che è scomparso in quel tritacarne del voto utile, ossia una rappresentanza politica in grado di sintetizzare bisogni e aspirazioni popolari, indicando una “alternativa di sistema” economico e sociale. Proprio quello che la pandemia ha dimostrato essere l’unica possibile via d’uscita ad una crisi che somma ormai problemi economici, disastro ambientale, collasso delle strutture sanitarie.
Non saranno queste elezioni comunali a risolvere il problema della rappresentanza politica. L’unica regione in cui si vota è la Calabria, dove l’unico “criminale” per l’establishment sembra essere chi –come Mimmo Lucano – ha cercato di far “restare umane” le istituzioni. Ma sicuramente possiamo dire che sul piano della sperimentazione e della rappresentanza politica sono stati fatti grandi passi avanti.
Giustamente in queste ultime settimane di campagna elettorale Potere al Popolo ha già indicato lo sciopero generale dell’11 ottobre come scadenza e prospettiva di resistenza, organizzazione e conflitto nel paese. Le urne sono un passaggio, quello che può lasciare il segno è la forza del movimento reale.
Non era facile. Non lo sarà da lunedì. Ma su questo non siamo più al punto di partenza.
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