In occasione del Forum organizzato dalla Rete dei Comunisti il prossimo 21 aprile a Roma, riproponiamo il punto di vista della RdC sull’organizzazione e sul ruolo dei comunisti in un paese che, come l’Italia, ha un ruolo centrale nella costruzione del polo imperialista europeo. Un punto di vista che deve necessariamente tenere conto delle trasformazioni sociali che hanno completamente mutato non solo la composizione di classe ma anche la capacità di organizzazione e di percezione dei propri interessi delle classi subalterne.
Quale deve essere l’approccio dei comunisti nei confronti dei momenti elettorale, quali gli obiettivi da perseguire? Quale deve essere la relazione tra la battaglia strategica per la rottura sistemica, le vertenze dei settori sociali e dei lavoratori e la rappresentanza politica dei settori di massa? Ha senso oggi riproporre un modello puramente identitario della soggettività comunista, o quello del “partito di massa”, senza confrontarsi con le condizioni e i gradi di coscienza imposti da decenni di scomposizione di classe?
Sulla base di questo documento invitiamo i comunisti a confrontarsi su questi temi dopo che siamo stati impegnati in una campagna elettorale che ha visto la Piattaforma Eurostop, movimento politico animato dalla Rete dei Comunisti insieme ad altre organizzazioni politiche, sociali e sindacali, parte integrante della lista Potere al Popolo.
La nostra impostazione
Dagli anni ’90 la Rete dei Comunisti ha fatto della teoria dei tre fronti la propria strategia in una fase non rivoluzionaria. L’analisi della nuova composizione di classe, con la trasformazioni che ha subito in termini quantitativi e qualitativi la classe operaia, pilastro sociale su cui si fondava la forza del movimento comunista e di classe nel nostro paese dal dopoguerra, l’emergere di nuovi soggetti sociali soprattutto nelle aree metropolitane ,unita al bilancio della sconfitta storica subita dal movimento operaio internazionale con la caduta dell’Unione Sovietica, e la conseguente egemonia globale del capitalismo, ci ha costretti a elaborare una strategia che sapesse dare ai comunisti una funzione nel nuovo scenario. Abbiamo più volte sostenuto che le “ragioni sociali” dei comunisti non erano finite nemmeno nel momento di massima potenza geometrica dell’imperialismo, ovvero quegli anni novanta e primi duemila caratterizzati dall’egemonia globale dell’imperialismo statunitense e dal processo costituente dell’UE che si andava a dotare degli strumenti istituzionali adeguati alla nuova fase internazionale. Per più di un decennio il lavoro teorico della Rete dei Comunisti, così come la militanza dei propri quadri politici, è stato messo a disposizione della costruzione di un fronte sociale e sindacale capace di intercettare e organizzare lavoratori, disoccupati e proletariato metropolitano, costruendo e dinamizzando quello che oggi è il più importante soggetto del sindacalismo di base nel nostro paese, e dando vita a una dialettica tra progetto strategico della RdC e funzione sociale, ovvero la capacità di agire nelle lotte e nei movimenti sociali senza per questo rinunciare alla battaglia delle idee.
Abbiamo definito questa modalità di azione politica come appunto i “3 Fronti”.
Nell’opuscolo del Marzo 2013 “i Tre fronti della lotta di classe – Un progetto in movimento” essi si definivano come:
- Il “fronte strategico”, la cui funzione è la ricostruzione di un’analisi e di un punto di vista comunista della realtò, un processo iniziato a metà anni novanta per sviluppare la ricerca e l’attualizzazione su temi come l’imperialismo, la composizione e l’inchiesta di classe, le caratteristiche del conflitto tra capitale e lavoro, il passato e il presente delle esperienze di transizione al socialismo;
- Il “fronte politico” che ha sempre avuto ben presente l’esigenza della rappresentanza politica (anche elettorale) come espressione però di interessi di classe definiti e organizzati e non dunque di mera rappresentazione di residue storie politiche e personali della sinistra per quanto dignitose esse possano essere;
- Il “fronte sociale” dell’organizzazione diretta dei settori del blocco sociale antagonista tramite il conflitto di classe nei posti di lavoro e nelle aree metropolitane, un processo questo che affonda le proprie radici e che ha accumulato esperienza, elaborazione e convinzioni a partire dagli anni settata del secolo scorso.
L’articolazione sui tre fronti è stata elaborata sulla base del fatto che la loro sintesi nel nostro paese è andata liquidandosi nel tempo, sia sotto i colpi dell’avversario e delle modificazioni nella realtà sociale, sia per le crescenti contraddizioni dei partiti comunisti esistenti.
Siamo convinti che l’organizzazione non sia uno strumento immutabile nel tempo e che essa debba essere in grado di modificarsi a seconda del contesto e della realtà sociale e politica in cui opera. Concependo l’organizzazione come un mezzo e non come un fine non possiamo pensare che essa sia adeguata ad affrontare, a prescindere, le sfide imposte da scenari diversi. Crediamo al contrario che l’organizzazione si debba modificare e adattare alle esigenze di fase senza mai perdere di vista l’obiettivo e il fine ultimo dei comunisti, ovvero la rivoluzione sociale anche in un paese a capitalismo avanzato come il nostro. La domanda allora è: come può oggi operare una organizzazione comunista nella realtà dell’occidente a capitalismo avanzato, caratterizzato dalla pauperizzazione di ampi settori di società, da una crisi di egemonia dell’avversario di classe che si ripercuote anche sul livello istituzionale, da una preventiva repressione interna mirata a non lasciare nessuno spazio di sviluppo al dissenso sociale e da una tendenza alla guerra economica e militare sul versante internazionale? Di fronte a queste contraddizioni, tendenzialmente favorevoli all’affermazione di un progetto di rottura com’è quello dei comunisti, dobbiamo registrare la più totale passività dei nostri settori sociali, generalmente riluttanti al conflitto e privati – a causa degli errori storici della sinistra – degli strumenti adeguati a resistere alla guerra dichiarata e combattuta dalle classi dominanti. Anche dove si registrano momenti elevati di conflitto sociale il movimento di classe in quanto tale risulta impotente, incapace di contrapporre all’attacco dell’avversario una risposta politica e sociale a 360° e richiudendosi nel vertenzialismo e nelle rivendicazioni specifiche.
Siamo convinti che la nostra teorizzazione sui tre fronti non sia stata superata dai fatti e anzi ancora oggi trova riscontri positivi nella realtà. Gli ultimi anni sono stati però segnati da una profonda velocizzazione dei processi che ha politicizzato lo scontro e che, pur mantenendo distinti organizzativamente i nostri assi di intervento, ci ha permesso alcuni importanti momenti di avvicinamento politico e di ricomposizione dei tre fronti. Solo per restare nell’ultimo anno politico possiamo registrare la grande mobilitazione contro il referendum per la modifica della costituzione che ha avuto nelle giornate del 21 e 22 ottobre il punto più alto di mobilitazione con la partecipazione alla manifestazione nazionale di alcune decine di migliaia di persone, palesando una possibile alleanza tra soggetti sociali e politici capaci di rappresentare un blocco sociale insofferente dopo anni di crisi. Lo stesso potenziale soggetto lo abbiamo visto scendere in campo anche in altre occasioni come nella manifestazione contro il vertice UE in occasione dell’anniversario per i trattati europei nel marzo 2017 e in occasione dello sciopero e della manifestazione contro il governo di novembre. Questa alleanza, riunita sotto l’ombrello della Piattaforma Sociale Eurostop, è stata sicuramente frutto del lavoro soggettivo delle realtà sociali e politiche che ne fanno parte ma anche di una diversa percezione che i soggetti sociali hanno in questa fase rispetto alle possibilità di conflitto. Se lo spazio di mediazione sociale e sindacale si va restringendo sempre più la politicizzazione dell’intervento e delle lotte rimane l’unica strada percorribile. Stiamo parlando ovviamente di tendenze, che però costringono ad elaborare con maggior attenzione il ruolo e la funzione di ognuno dei tre fronti.
L’organizzazione dei comunisti
Per anni abbiamo fatto del fronte strategico, il terreno proprio dell’azione dei comunisti, un ambito di ricerca e analisi teorica e della realtà capace di elaborare ed organizzare l’azione politica sociale e sindacale. In tal senso questa nostra azione non è stata di “prima linea”, ma ha agito pubblicamente soprattutto sul terreno dell’elaborazione e della proposta teorica. Negli ultimi anni questa sorta di “sommergibile” è però emerso. La crisi dei partiti comunisti tradizionali e la progressiva settorializzazione di ampi settori militanti ci hanno portato a cominciare una progressiva emersione del fronte strategico e della nostra concezione dell’organizzazione diretta dei comunisti.
La penetrazione ideologica dell’avversario, lo sviluppo dei movimenti reazionari a livelli di massa così come il bisogno di identità e organizzazione di tanti compagni provenienti dalle organizzazioni della sinistra storica e dai movimenti rendono necessaria la presenza e l’attività del fronte strategico dei comunisti.
La recente ulteriore velocizzazione sul fronte elettorale, che ha visto la repentina costituzione della lista “Potere al Popolo”, esperienza che abbiamo deciso di sostenere, ha prodotto diverse reazioni in ciò che resta delle organizzazioni comuniste. La RdC non è un partito ed è cosciente di non esserlo: non abbiamo la sufficiente massa critica per autoproclamare noi stessi “il partito dei comunisti” e sosteniamo comunque che il partito non si proclama ma è il frutto di un processo storico. Quello che possiamo però avviare è un serio dibattito su quali devono essere le forme attraverso le quali i comunisti operano nella realtà attuale e conquistano la propria funzione. Registriamo infatti ancora oggi due tendenze tra le organizzazioni comuniste, entrambe frutto della crisi di prospettiva politica che investe i comunisti non solo in Italia ma in tutta Europa.
La prima è sicuramente quella di chi continua a concepire l’organizzazione comunista come il classico partito di massa, inteso come relazione con la realtà indipendentemente dal fatto che il dato numerico sussista o meno. Questa concezione è stata fondamentale in un’epoca – il dopoguerra – in cui, non potendo “fare come in Russia” e dialettizzando lotta sociale e lotta per la democrazia, il partito di massa e del “consenso” ha avuto un ruolo fondamentale per la crescita e lo sviluppo del movimento comunista e dell’influenza dei comunisti e per l’emancipazione di tutta la società. Questo è concretamente avvenuto fino a tutti gli anni ’70 Ma oggi tale concezione non è a nostro avviso praticabile dato lo scollamento tra classe reale e la rappresentanza politica della sinistra/comunista, nelle diverse ipotesi politiche ed elettorali, dovuto sia agli errori delle varie soggettività sia alle profonde trasformazioni che la classe stessa ha subìto.
La seconda è una tendenza che potremmo definire identitaria (a volte anche settaria) che fa dell’autoreferenzialità e della rappresentazione ideologica lo strumento della propria esistenza e sopravvivenza. Si tratta probabilmente della concezione più dannosa in questa fase. Se infatti la prima è costretta a confrontarsi quantomeno con la realtà concreta misurando la crisi della propria rappresentatività la deriva identitaria rinchiude i comunisti in un cenacolo chiuso, al massimo approdo dei resti ideologici del movimento comunista del ‘900. L’identitarismo non lascia molto spazio alla funzione di massa che i comunisti devono svolgere, né ad un rapporto vivo con la classe che vada oltre la propaganda e la presenza dei simboli nelle campagne elettorali. Pensare di ricostruire una ipotesi di rottura prescindendo dalla relazione organica e progettuale con i settori di classe che vogliamo organizzare e rappresentare, attraverso strumenti di intervento adeguati al contesto, rappresenta a nostro avviso un errore di fondo che riduce il partito ad un mero strumento di agitazione incapace però di incidere nella realtà.
All’interno della concezione del partito di massa negli ultimi anni è emersa poi una ulteriore impostazione, in particolare tra le fila di alcune componenti del PRC, che ha inteso il partito comunista come “partito sociale”, ovvero un’organizzazione capace di riassumere al proprio interno anche la dimensione del conflitto sociale di classe. Questa ipotesi prende atto della distanza politica che si è andata creando nel nostro paese verso una realtà della classe in netta discontinuità con la storia precedente. Questo è certamente un passo in avanti rispetto all’idea che il terreno elettorale sia quello principale di azione. Ci sentiamo però di sollevare una obiezione su questa prospettiva; infatti tenendo conto della sproporzione dei rapporti di forza tra le classi oggi assistiamo ad una crescente divaricazione tra “l’entropia” conflittuale che si vive nei settori sociali, con l’esclusione di quelle parti attaccate direttamente ad esempio con i licenziamenti, ed il processo di politicizzazione che si impone nello scontro con le politiche delle classi dominanti. La necessaria funzione progettuale dei comunisti non può avere la stessa “lunghezza d’onda” della condizione arretrata del conflitto, costringere queste due dimensione nello stesso ambito organizzato rischia di penalizzare ambedue. D’altra parte già negli anni novanta i COBAS affermavano che la differenza tra il conflitto sociale e quello politico era ormai superato, come gli eventi successivi hanno poi dimostrato l’ipotesi COBAS, nelle sue diverse varianti, si è poi ripiegata su una dimensione non solo tutta sindacale ma spesso vertenziale ed aziendalista.
Quella che rivendichiamo invece è la concezione dell’organizzazione come intellettuale collettivo, capace di produrre azione politica di massa, elaborazione teorica e un modello di militanza che siano in campo indipendentemente dalla tagliola delle elezioni e dagli appuntamenti imposti dall’avversario di classe. Una organizzazione, di quadri e militanti, in grado di realizzare un serio bilancio del Novecento (ovviamente senza buttare il bambino con l’acqua sporca) ed in grado di produrre una prospettiva di rottura adatta alla fase attuale. Per fare ciò è centrale il lavoro del fronte strategico dei comunisti che oggi deve saper interpretare le dinamiche di fondo del capitalismo attuale, orientare l’azione politica, affrontare i nodi legati alla transizione e ricostruire gli strumenti organizzativi sui cui operare sia a livello teorico e analitico sia di massa.
Sulla Rappresentanza Politica, le esperienze di Eurostop ed il passaggio di Potere al Popolo
La novità degli ultimi anni è stato il tentativo di costruire gli strumenti giusti per dare gambe al fronte politico e della rappresentanza. È stato un percorso che ci ha visto partecipare a diversi passaggi fino a giungere alla costituzione della Piattaforma Sociale Eurostop. Noi come tutti i soggetti della sinistra più o meno radicale abbiamo dovuto fare i conti con una scissione oggettiva tra la sinistra e la realtà del corpo sociale di riferimento. Ma il nostro operare sui tre fronti ci ha permesso di costruire un rapporto di massa solido contribuendo all’attività sindacale indipendente ed essendo interni ai movimenti sociali e metropolitani. Storicamente , nella costruzione degli strumenti sindacali e sociali abbiamo sempre evitato la sovrapposizione con la prospettiva politico-strategica, motivo per cui abbiamo scelto di contribuire alla costruzione del sindacato di massa e conflittuale e non di un sindacato comunista e identitario, ma i contributi provenienti dal fronte strategico ci hanno permesso di trovare riscontri anche nella dimensione sindacale nel momento in cui abbiamo proceduto alla costruzione del fronte politico sulla rappresentanza. Il primo passaggio lo abbiamo avuto con il Comitato “No Debito”. Non è stato un caso che il ”colpo di stato bianco” operato dalla BCE contro l’allora governo Berlusconi, ci abbia fornito l’occasione per cominciare a gettare le basi materiali per la costruzione di questa prospettiva. La scelta è stata quella di partire dalle contraddizioni in atto e non dai soli soggetti sociali per poi declinare una progettualità politica di rottura che basandosi sulla denuncia delle politiche di austerità, tentasse di ridare forma a quel corpo sociale strangolato dalle politiche UE e dalla competizione internazionale. Lo sviluppo del progetto europeista ci ha permesso di costruire un progetto incardinato sul rifiuto delle politiche comunitarie che ci ha portato prima con Rossa e poi in maniera più chiara e strutturata con Eurostop a contribuire alla costruzione di un fronte largo, sociale e politico, che ha affrontato e diretto con successo importanti momenti politici.
Una costruzione che è partita anche dalla coscienza della necessità di tenere un “filo rosso” tra il movimento operaio del passato e l’attuale conflitto di classe e che ha creato le condizioni per una collaborazione politica positiva tra soggetti ed organizzazioni diversi da noi per storia e collocazione.
Le mobilitazioni contro la guerra, contro il referendum voluto dal governo Renzi, contro il vertice dei capi di stato Ue a Roma e l’ultima di novembre contro il governo Gentiloni hanno portato in piazza un pezzo di quella ricomposizione sociale e politica necessaria per ridare protagonismo politico al movimento di classe. Contemporaneamente allo sviluppo del nostro fronte politico le contraddizioni dell’avversario hanno continuato ad accumularsi soprattutto sul piano istituzionale. Nonostante la stagnazione ed un sostanziale equilibrio delle forze a livello mondiale, nel quale nessuna potenza può imporre del tutto il proprio dominio alle altre e che a tutt’oggi non ha ancora prodotto grandi sommovimenti, è sempre più evidente la crisi di egemonia delle classi dominanti che oggi traspare dalla crisi istituzionale sia negli Stati Uniti con la presidenza Trump che nell’Unione Europea.
Dal voto dell’Oxi in Grecia al referendum sulla Brexit al referendum costituzionale in Italia, fino alle elezioni tedesche, ogni volta che i governi responsabili delle politiche Ue sono sottoposti ad una consultazione popolare sono stati sonoramente battuti e hanno dovuto costruire governi di unità nazionale. Questo segna una netta perdita di egemonia dell’avversario di classe che non si ripercuote però sull’intensità del conflitto di classe dal basso ma che produce molto spesso fenomeni di voto per protesta e antisistema, generalmente non orientati a sinistra.
Superato il momento elettorale , che ha anche in Italia la necessità di un governo di larghe intese, dove ci siamo posti il problema di costruire lo strumento adeguato per giocare una partita anche sulla contraddizione istituzionale che investe l’avversario. La costruzione di Eurostop ci ha permesso di rispondere alla chiamata di Potere al Popolo con la forza di un percorso strutturato in un fronte che ha potuto inserire una parte importante delle proprie ragioni nella lista che tendenzialmente può rappresentare uno strumento di rappresentanza elettorale ed istituzionale largo, potenzialmente capace di ricomporre l’atomizzazione che la classe ha subito negli ultimi decenni. Il risultato elettorale in questa fase non è stato il dato centrale, ma che si sia aperto questo processo è un fatto importante che rappresenta una discontinuità con le liste che la sinistra radicale ha proposto in passato. Ogni fronte ha al suo interno delle contraddizioni ma oggi il compito dei comunisti è quello di mantenere saldi i punti strategici, come la rottura con il sistema costituito dai trattati della Ue e l’uscita dalla Nato, mantenendo però l’unità di quelle forze sociali e politiche che possono essere la base con cui ridare voce agli interessi popolari. Dare voce agli interessi popolari non può rappresentare una mera enunciazione e anche il modo in cui viene costruita e realizzata una campagna politica/elettorale è fondamentale per dare coerenza al nostro ragionamento ed esplicitare a pieno la funzione dei comunisti. Le aree degradate delle metropoli, i posti di lavoro, le scuole e le università sono i luoghi centrali del nostro intervento di massa e lo sono stati della nostra campagna elettorale. La politica va costruita nelle strade nel rapporto diretto con chi vogliamo rappresentare ed organizzare, abbandonando e avversando i “salotti” e i ristretti circoli che hanno allontanato la sinistra dalla classe. Nessuna scorciatoia identitaria è possibile. Lo scollamento tra la sinistra e i comunisti e il blocco sociale è tale per cui pensare che simboli o affermazioni di identità siano in grado di rappresentare segmenti sociali veri è idealistico e fuori dal contesto.
Per la rappresentanza sociale organizzata
La possibilità di intervento sul piano politico non possono però far venire meno l’importanza di continuare il processo organizzativo e di sedimentazione delle forze sul versante sindacale e sociale. Il rapporto tra militanti e settori sociali è dirimente. Un rapporto che non può fondarsi solo sulla propaganda ma che deve basarsi, come abbiamo fatto in questi anni, sulla costruzione del conflitto sociale organizzato che deve mantenere la sua autonomia politica e organizzativa ma che deve anche considerare le dinamiche di politicizzazione prima citate. Non è un caso infatti che sia Eurostop, che vede la partecipazione diretta di USB, che Potere al Popolo abbiano ricevuto molti consensi tra i delegati sindacali più attivi e combattivi. La necessità di aumentare i livelli di organizzazione sociale si dialettizza con il bisogno di politica e di prospettive generali di chi ogni giorno si scontra con la chiusura degli spazi di mediazione sindacale concessi dal nemico di classe. Ancora una volta la strutturazione dell’azione politica sui tre fronti permette di gestire questo processo senza comprimere le diverse espressioni della lotta di classe ma procedendo in parallelo tra costruzione della rappresentanza politica e organizzazione del conflitto sociale. Molti dei candidati nelle liste di Potere al Popolo sono stati diretta espressione delle lotte e delle vertenze territoriali del sindacalismo di base e dei movimenti sociali e territoriali. Ciò dimostra che praticando uno sviluppo nei diversi ambiti di intervento si rafforza il progetto complessivo.
Siamo convinti che la sintesi tra i tre fronti che hanno caratterizzato la nostra azione politica in questi anni non è ancora data dalla realtà. Le dinamiche di politicizzazione e velocizzazione a cui assistiamo non hanno ancora superato la situazione che ci ha convinto ad optare per questo modello e per questa strategia. Su questo approccio vogliamo andare a confronto con i militanti e gli attivisti di diversa provenienza. In una fase come questa le forme dell’organizzazione comunista e del rapporto di massa sono fondamentali per reggere uno scontro che si fa sempre più duro. Le ipotesi movimentiste attive negli anni passati non trovano più terreno su cui crescere e svilupparsi, così come le organizzazioni storiche, settarie o basate sul modello del “partito leggero” non svolgono più una funzione progressiva ma continuano a riprodurre gli schemi che ci hanno portato alla situazione di attuale debolezza. Di quale organizzazione abbiamo bisogno e come darle ruolo è oggi una domanda imprescindibile per i comunisti. Aprire il confronto su una esperienza che in qualche modo ha tenuto testa allo sviluppo della situazione generale crediamo sia il miglior contributo che possiamo dare per cercare risposte a queste domande.
Rete dei Comunisti
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