“E’ necessario considerare la vittoria del fascismo in Germania non solo quale sintomo di debolezza della classe operaia e risultato del tradimento della classe operaia da parte della socialdemocrazia … è necessario considerarla anche … come sintomo del fatto che la borghesia non è più in grado di dominare coi vecchi metodi del parlamentarismo e della democrazia borghese” (Stalin, Rapporto al XVII Congresso del VKP(b), gennaio 1934)
“il paravento della demagogia sociale ha dato [al fascismo] la possibilità di attirare a sé in una serie di paesi, masse di piccola borghesia scombussolate dalla crisi e anche parti degli strati più arretrati del proletariato … L’arrivo del fascismo al potere, non è un’usuale sostituzione di un governo borghese con un altro, ma è il cambiamento di una forma statale del dominio di classe della borghesia – la democrazia borghese – con un’altra sua forma, con la dittatura terroristica aperta. Ignorare questa distinzione sarebbe un serio errore … Ma un errore non meno serio e pericoloso è la sottovalutazione del significato che hanno per l’instaurazione della dittatura fascista le misure reazionarie della borghesia che si vanno oggi rafforzando nei paesi di democrazia borghese e che sopprimono le libertà democratiche dei lavoratori, intensificano e decurtano i diritti del parlamento, intensificano le repressioni contro il movimento rivoluzionario.” (Georgij Dimitrov, Rapporto al VII Congresso dell’IC, agosto 1935)
La discussione a proposito del fatto se oggi in Italia si sia in presenza di una più o meno aperta svolta verso la “fascistizzazione” ha una risposta negativa sufficientemente chiara, pur in presenza di misure di crescente carattere reazionario. Non altrettanto nitida la risposta alla domanda su quanto consenso “di massa” l’esecutivo grillo-leghista sia riuscito a creare e sia in grado di conservare attorno al clima di autoritarismo, di repressione diffusa contro ogni opposizione sociale e ogni resistenza dei lavoratori al cappio del capitale. E, in fin dei conti, quello del consenso è tutt’altro che un passo insignificante, anche “solo” in vista delle misure sociali sempre più draconiane che si preparano contro operai, lavoratori, studenti e pensionati.
Da quali settori sociali venga tale “beneplacito”, è una questione ancor più seria e di non semplice determinazione, su cui i comunisti non possono in alcun modo soprassedere, soprattutto perché è indubbio il discreto assenso a un esecutivo dominato da alcuni personaggi che si crogiolano nei propri atteggiamenti da capimanipolo di provincia del ventennio. Un assenso che, su ben precise questioni, sembra venire anche da settori della classe di riferimento dei comunisti, in gran parte destrutturata da disoccupazione e politiche di deindustrializzazione e delocalizzazione.
“La principale base materiale per lo sviluppo dell’autocoscienza di classe proletaria, è la grande industria, allorché l’operaio … sente quella forza che è davvero in grado di distruggere le classi. Quando gli operai sentono mancare sotto i piedi questa base materiale produttiva, allora uno stato di squilibrio, indeterminatezza, disperazione, sfiducia, attanaglia precisi strati di operai”. (Lenin, X Conferenza panrussa del PCR(b) – maggio 1921).
In tale situazione si inseriscono le nuove misure “sulla sicurezza” adottate dal “governo del cambiamento”. Un “cambiamento” che ha ben poco da invidiare a certi climi europei di ottant’anni fa, come furono nitidamente e plasticamente delineati dai contemporanei.
La dottoressa Käte Neumeier «s’avvide che la lavandaia, presa dallo spavento, era impallidita. Lo Stato nel quale vivevano era riuscito a fare della polizia e indagini relative, cose d’ogni giorno, cose famigliari».
Oggi: quotidiani sgomberi a mano armata di famiglie; anni di galera a chi occupa una fabbrica, manifesta o organizza blocchi stradali per difendere il posto di lavoro; estensione dell’uso della pistola elettrica e dei daspo urbani. Schedature di massa di iscritti a partiti di sinistra che dissentano dalla rosa liberal-confindustriale (dal PD ai grillo-leghisti). D’altronde, già dal tempo di Marco Minniti, come se non ci fosse abbastanza polizia, anche i Sindaci sono diventati tutori dell’ordine, assicurando “la cooperazione della Polizia locale con le Forze di polizia statali”; da tempo, si raccolgono firme “per la sicurezza”; si rinverdisce il sistema della spiata – ora anche digitale – contro chiunque, italiano o straniero che sia, appaia all’occhio borghese, in dissonanza col “comune sentire”. Sul piano sociale: sempre nuove stangate sui servizi essenziali contro lavoratori, disoccupati e pensionati.
«Dopo tutto, era stato per questo che la gente aveva giocato alla rivoluzione. Ma ciò che accadeva dietro alle quinte portava un nome ben diverso: si chiamava servirsi d’un partito per conquistare i centri motori del sistema nervoso economico e politico», pensava nel 1937, con l’invidia del piccolo-borghese, il macellaio e boia a tempo perso Albert Teetjen, pur forse ignaro di quanto avesse scritto una trentina d’anni prima Karl Kautsky a proposito del fatto che il piccolo-borghese “è divenuto il prototipo della meschinità intellettuale, della servilità, della vigliaccheria … Oggi, la piccola borghesia si è trasformata nella truppa scelta della reazione, vigila su castelli, altari e troni, dai quali spera la salvezza contro la miseria, in cui è stata spinta dallo sviluppo economico”.
Oggi, al governo non c’è più la “casta” berlusconiana, non più i lacchè liberal-democratici di Bruxelles. Il “governo del cambiamento” però non cambia nulla e anzi reprime con la galera chi si oppone alle sue misure di disuguaglianze sociali. Dopo che i governi berlusconiani-montiani-renziani hanno cancellato ogni diritto – lavoro, studio, salute, sicurezza sociale – il “governo del cambiamento” toglie anche il diritto a opporsi a questa macelleria sociale. Riusciranno i grillo-leghisti a conservare il consenso anche della piccola-borghesia, quando questa sperimenterà sulla propria pelle le delizie del “mutamento”?
«Bella organizzazione, quella che, da una parte, spaventava la gente con la possibilità di una guerra contro l’Austria, e dall’altra non riusciva in alcun modo a rimediare alla diminuzione del potere d’acquisto e della voglia di comprare!», s’arrabbiava ottant’anni fa il piccolo-borghese Teetjen, con gli affari della macelleria ridotti a zero per la concorrenza dei grandi magazzini nazionalsocialisti e per il boicottaggio nei suoi confronti messo in atto da chi aveva scoperto la sua seconda occupazione: quella di “vice” boia che, con la propria scure, secondo la “moda” voluta da Hermann Göring, aveva tagliato la testa ai quattro comunisti condannati a morte.
Oggi, governo e “opposizione” non dicono che l’esecutivo attuale è in perfetta continuità con il passato: contro lavoratori e classi popolari. Se il “nuovo” governo cerca consenso con assistenzialismo, autoritarismo e xenofobia, i liberal-democratici del PD invocano l’Europa di banche e monopoli. Lega e M5S a parole sono contro Bruxelles, ma i loro passi sono gli stessi del liberismo “europeista”, con qualche virata verso gli interessi delle piccole imprese, che riscuote – per ora – il consenso di quegli strati sociali sempre oscillanti tra povertà assoluta, sopravvivenza, miraggi di quieto vivere e che si aggrappano ora a questa ora a quella sigla “politica”.
«Non s’era comportato anche lui come un asino calzato e vestito, anzi il vitello di cui parlava una frase propagandistica che i tipi della falce e martello mettevano in circolazione un tempo, durante le campagne elettorali: “Io sono un vitello e voto per il macellaio?”. Proprio così aveva fatto lui, votando per l’NSDAP, e come se non bastasse era entrato nelle SS, le guardie armate del Führer, e come avevano gioito, tutti loro, quando Thyssen aveva gettato sul lastrico, in un colpo solo, un milione e mezzo d’operai, assicurando così al partito di Hitler parecchi milioni di voti, perché ognuno di quelli aveva a casa moglie e genitori!», rimuginava ancora l’ex caporale della Reichswehr e nuovo SS, il beccaio Albert Teetjen, che si sentiva superiore agli operai, ma dipendeva dai loro salari per gli affari della propria bottega.
Oggi si va incontro a una fascistizzazione del potere, accompagnata da un cinico richiamo agli istinti piccolo-borghesi più meschini e dozzinali nella società; ma alle spalle ci sono decenni di privatizzazioni, deregolamentazioni e austerità. Per anni, i portaborse di Bruxelles hanno tolto a chi non ha per regalarlo a chi ha e hanno facilitato licenziamenti in massa, dando un bel contributo alla vittoria di Lega-M5S.
E come a suo tempo la caccia agli ebrei servì a sviare la collera per fame e disoccupazione, oggi le urla contro gli immigrati coprono il silenzio sul vero scontro: tra chi lavora (o non trova lavoro) e chi si arricchisce. Così, per le stangate contro i lavoratori, si incolpano gli immigrati in fuga dalle guerre USA e dalle missioni “di pace” della NATO, in cui anche l’Italia è coinvolta.
Ieri, il “Göbbels” amburghese in sedicesimo, Klaas Vierkant, proclamava che gli ebrei «costituiscono semplicemente la nostra riserva di fondi per pagare in contanti la collera popolare. Dato che i nostri piccolo-borghesi li dobbiamo ingannare per forza di cose, esattamente come facevano i nostri predecessori, gli imperatori romani, dobbiamo anche noi offrir loro almeno panem et circenses, vale a dire gli israeliti. E siamo costretti a ingannarli, se vogliamo ottenere una sempre maggiore concentrazione del potere, del capitale e della libertà, in un numero sempre più limitato di mani».
Oggi, cinque milioni di italiani sono in povertà assoluta: contro di essi, ecco le leggi speciali di Salvini, in diretta continuità con quelle di Minniti su “decoro urbano” e “sicurezza”! Nessuna sicurezza si dà però a chi perde il lavoro e a chi non riesce a trovarlo o alle centinaia di migliaia di italiani che sonno costretti ogni anno a emigrare. I comunisti hanno imparato che la democrazia ha sempre un carattere di classe; hanno imparato da Lenin a chiedersi: “democrazia per quale classe?”. E’ così anche per la “sicurezza.” Come i governi che l’hanno preceduto, anche quello giallo-verde, l’unica sicurezza la garantisce a banche e monopoli.
PS: un mese fa ho letto casualmente una nota di Eros Barone, che non conosco personalmente, ma che devo ringraziare, per avermi fatto conoscere un’opera (“La scure di Wandsbek”) e il suo autore (Arnold Zweig) di cui colpevolmente ignoravo l’esistenza. Le citazioni sottolineate provengono da quel romanzo – la cui prima versione, come ricorda lo stesso Zweig, vide la luce nel 1943, in lingua ebraica, mentre la prima edizione tedesca uscì solo nel 1948 – che offre un quadro quanto mai vivo, intenso e impressionante dell’atmosfera nella città di Amburgo negli anni 1937 e 1938 e dei rapporti della piccola-borghesia con gli addentellati cittadini del potere nazionalsocialista.
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