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Perché aggiornamento e non riforma economica a Cuba?

Intervista a Hugo Pons.

“Stiamo coltivando un bonsai in questa piccola isola”, mi risponde Hugo Pons, dottore in Scienze Economiche, quando cerco di farmi spiegare il movimento che inizia a registrarsi nell’economia cubana; e la sorprendente risposta, come un simbolo, ci porta in un labirinto colloquiale.

Chi è che parla e riflette? Il professore della Facoltà di Economia dell’Università de L’Avana? Il ricercatore? O l’esperto della Consultoria CANEC? Forse il vicepresidente dell’Associazione Nazionale degli Economisti di Cuba? Tutti insieme, in una sola persona tranquilla, amante delle concettualizzazioni …

Hugo spiega la sua frase: “Un bonsai è apparentemente povero ed insignificante date le sue dimensioni, ma esprime una singolarità attraente, una individualità molto forte. Siamo in un processo sui generis che corrisponde alle nostre origini ed al nostro destino; alla cultura, alla storia ed alla identità di questa nazione”.

Seguendo lo stile allegorico dell’intervistato possiamo presupporre che prima di progettare “l’aggiornamento del modello economico cubano” in cui viviamo, abbiamo a lungo fatto innesti di betulle ed abeti siberiani nel “tronco” dell’economia cubana.

Ma Hugo torna a sorprenderci con la sua visione dialettica del cammino percorso in più di 50 anni. Lo vede come un processo permanente di rottura e continuità. Il bonsai lo stiamo sostenendo come una specie unica ed irripetibile dal 1959, una vera sperimentazione innovativa che, passo dopo passo, avanzamenti e retrocessioni incluse, ci porta sempre ad un alberello inedito nel bosco dell’economia globale.

Guarda indietro, ma non con anatemi o acidi risentimenti per gli alti e bassi e le cadute dell’economia cubana, che definisce come stadi o momenti di una lunga corrente di rottura e continuità che ci attraversa: “Il bonsai si ottiene tagliando e potando meticolosamente i rami e le radici che ti limitano. Molti rami e radici sono stati estirpati in vari processi di cambiamento, assediati dalle circostanze”.

Quando si guarda indietro, non crede che abbiamo aspettato troppo per questi cambiamenti?
E’ possibile dire che una cosa si sarebbe potuta fare prima, solo quando si arriva al dopo. Quando guardo indietro cerco di vedere quello che abbiamo raggiunto e, allo stesso tempo, quando guardo in avanti vedo quello che si deve fare.

“Quando guardi indietro, ti rendi conto che in tre occasioni questo paese si è trovato sotto un fuoco incrociato, con la necessità di ristrutturare la base di sostentamento della sua economia e della sua produzione: all’inizio degli anni ’60, dopo la rottura con gli Stati Uniti, ha dovuto riorientarsi verso le risorse del campo socialista europeo e verso il suo particolare ambito scientifico e tecnologico. Nel 1972, quando siamo entrati nel CAME, abbiamo istituzionalizzato le nostre relazioni economiche con quel sistema. Con la caduta del socialismo reale, il periodo di maggiore solitudine del bonsai, abbiamo dovuto vedercela solo con noi stessi, con le nostre virtù ed i nostri difetti”.

C’è chi preferisce dimenticare quegli anni difficili del Periodo Especial …
Credo che dovremmo ricordare sempre il Periodo Especial, non soltanto perché è stato superato, ma anche perché è stato un punto di flessione che ci ha portato fin qui.

Oltre a ricordarlo occorre studiarlo scientificamente, affinché non torni a ripetersi. Uno degli effetti più gravi è stato il deterioramento delle istituzioni, la disarticolazione dei vincoli tra gli organi direttivi, compreso quello tra il Ministero dell’Economia e Pianificazione e le imprese. Si è dovuto preservare con una certa attenzione il sistema imprenditoriale, aumentando la centralizzazione. E questo non è stato sempre un errore, piuttosto una necessità. Il problema è quando si superano i limiti della necessità storica.

“Secondo me, il Periodo Especial è stato la dimostrazione dell’immensa capacità di prevenzione che ci ha permesso di sopravvivere a tante sfide congiunte, soprattutto del prezzo che si è dovuto pagare a tutti i livelli. Anche questo fa parte del lungo processo di rottura e continuità”.

Certamente, lei menziona il processo di rettificazione degli errori e delle tendenze negative alla fine degli anni ’80, come un momento speciale nell’evoluzione del bonsai. Dove crede che saremmo arrivati se non ci fosse stato il crollo del socialismo europeo?
Il processo di rettificazione degli errori e delle tendenze negative ha segnato un modello, perché ha identificato gli aspetti della politica economica ed i suoi strumenti che non corrispondevano alle nostre caratteristiche ed alla nostra identità, offrendo così la possibilità di sviluppare il nostro bonsai. Si sono chiariti molti errori e si sono studiati molti aspetti motivazionali nei processi produttivi per quanto riguarda l’uso della forza lavoro e la sua partecipazione attiva, si è stimolato un vincolo tra salario e risultati, si sono criticate debolezze del processo di investimento ed in generale si è condannato il copiare da altre realtà.

“Dove saremmo arrivati? Ci saremmo avvicinati molto di più a realtà che oggi stiamo valutando. Se non altro credo che ci saremmo avvicinati a formule più idonee di redistribuzione della ricchezza”.

Secondo lei c’è un qualche nesso tra il processo di rettifica degli errori e l’aggiornamento del modello economico a cui è vincolata Cuba?
Sia uno, sia l’altro hanno messo in campo trasformazioni preservando il socialismo, ma in contesti storici molto diversi.

Perché il socialismo europeo non ha saputo risolvere le proprie contraddizioni?
Penso sempre a cosa ha causato questo processo. L’essenza del problema è che non si sono saputi interpretare in tempo gli interessi della società che si stava costruendo. Se ne sono allontanati senza arrivare alla radice, all’essenza delle sue singolarità culturali e storiche. Hanno applicato norme uguali per tutti.

“L’attaccamento al potere in URSS ha causato un grave danno come il non avere una visione realista delle proprie capacità come potenza per competere con il capitalismo; negare le realtà del capitalismo e nascondere i progressi della scienza, della tecnica e della cultura in altre realtà, ha fatto molto danno”.

Secondo lei, perché si identifica il processo che si sta svolgendo a Cuba con una attualizzazione del modello economico e non con una riforma?
Per prima cosa suggerisco di meditare sull’attualità di questa riflessione martiana: “Solo ciò che è genuino è fruttifero. Solo ciò che è diretto è potente. Quello che ci danno gli altri è come una minestra riscaldata. Tocca ad ogni uomo ricostruire la propria vita: per poco che guardino in se stessi, la ricostruiranno”.

“E aggiungo: l’esaurimento del modello fotocopia si è espresso tra noi alla fine degli anni ’80, con il processo di rettifica degli errori. Ora ci troviamo in un processo di cambiamento, che non può assolutamente identificarsi con altre riforme perché avverrà senza minare le basi del socialismo e della sua ideologia, senza modificare i rapporti di produzione prevalente”.

Il processo di aggiornamento del modello economico non presuppone che ciò che oggi crediamo necessario, domani potrebbe non essere importante? Non significherà una revisione permanente?
Non c’è niente di più simile al lavoro del medico, dei processi di direzione e gestione economica. L’economista ha il suo paziente nell’economia. Quando l’economista analizza una situazione, elabora una diagnosi. A partire dalla diagnosi si devono prendere un insieme di misure, cioè la prescrizione, la ricetta. Si deve poi monitorare ciò che sta accadendo nel comportamento di questo paziente, l’economia.

“In termini pratici, i compartimenti stagni non esistono in economia. La soluzione dei problemi di oggi non sarà la stessa di quelli di domani. Si deve sempre gestire, rettificare, agire”.

Come si può applicare tutto ciò al nostro socialismo?
Il nostro sistema socialista è l’unico che si costruisce secondo volontà e coscienza. Richiede l’attuazione della pianificazione. La strategia è ciò che si vuol raggiungere a lungo termine, la politica è l’insieme di azioni che si devono compiere per risolvere i problemi durante la realizzazione della strategia. Il modello di gestione è il meccanismo per garantire l’insieme di criteri per realizzare la strategia. Questa interazione deve essere organica e coerente, ma progressiva. Essendo marxisti sappiamo che non ci sono soluzioni definitive.

Alcuni credono di vedere un prima e un dopo nelle Linee guida del Congresso del Partito e nell’ultimo discorso di Raúl all’Assemblea Nazionale del Poder Popular …
Credo che stiamo vivendo un momento di rafforzamento della fiducia nella Rivoluzione, per la precisione con cui si stanno individuando ed affrontando i problemi; e perché questa individuazione parte dal sentimento popolare, dalle necessità e dagli obiettivi della maggioranza; per la dialettica e la flessibilità che caratterizzano questo processo, senza dover abbandonare i principi fondamentali.

“Secondo me IL COSA delle Linee guida sono le trasformazioni strategiche di cui abbiamo bisogno. IL COME sono gli strumenti per aggiornare il nostro modello economico. IL QUANDO è l’orizzonte temporale nel quale si dovranno definire i risultati. E IL CHI è il più importante: il popolo, la nostra gente che ne sarà sempre la garanzia.

“Questa capacità di identificare, analizzare e sviluppare sarà garantita nella misura in cui la costruzione del socialismo a Cuba risponderà alla maggioranza della popolazione. Il socialismo si costruisce con la volontà e questa volontà deve essere educata, sviluppata e preservata. Sarà questo l’unico modo per mantenere vivo e sano il bonsai”.

* dottore in Scienze Economiche

26 Dic. 2010 intervista tratta da

http://www.juventudrebelde.cu/cuba/2010-12-26/por-que-actualizacion-y-no-reforma-economica-en-cuba/

(Traduzione a cura della Redazione di Nuestra America )

www.nuestra-america.org

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