I media occidentali hanno presentato gli avvenimenti in Siria, come parte del più ampio movimento arabo di protesta per la democrazia, diffusosi spontaneamente dalla Tunisia, all’Egitto, e dalla Libia alla Siria.
La copertura mediatica si è concentrata sulla polizia e le forze armate siriane, accusate di sparare e uccidere indiscriminatamente manifestanti disarmati “pro-democrazia”. Mentre queste sparatorie della polizia si sono effettivamente verificate, ciò che i media non hanno detto è che tra i manifestanti c’erano uomini armati e cecchini che sparavano sia contro le forze di sicurezza che sui manifestanti.
Le cifre dei morti presentate nelle notizie sono spesso prive di fondamento. Molti resoconti sono realizzati “stando ai testimoni”. Le immagini ed i filmati passati su Al Jazeera e CNN non sempre corrispondono agli eventi trattati.
Vi sono certamente motivi di tensioni sociali e di protesta di massa in Siria: la disoccupazione è aumentata negli ultimi anni, le condizioni sociali sono peggiorate, soprattutto dopo l’approvazione nel 2006 di ampie riforme economiche sotto la guida del FMI. La “medicina economica” del FMI comprende misure di austerità, congelamento dei salari, deregolamentazione del sistema finanziario, riforme e privatizzazioni. (vedi IMF Syrian Arab Republic — IMF Article IV Consultation Mission’s Concluding Statement, http://www.imf.org/external/np/ms/2006/051406.htm, 2006)
Con un governo dominato dalla minoranza alawita (un ramo della componente sciita), la Siria non è una “società modello” per quanto riguarda i diritti civili e la libertà di espressione. Essa costituisce comunque (ancora) l’unico Stato indipendente laico nel mondo arabo. La sua base populista, antimperialista e laica è ereditata dal partito Baath dominante, e unisce musulmani, cristiani e drusi.
Inoltre, a differenza di Egitto e Tunisia, in Siria vi è un notevole sostegno popolare per il presidente Bashar Al Assad. La grande manifestazione di Damasco del 29 marzo, “con decine di migliaia di sostenitori “ (Reuters) del presidente Al Assad è stata solo a stento accennata. Eppure, in una curiosa torsione, immagini e video dei diversi eventi filo-governativi sono stati utilizzati in maniera totalmente distorta dai media occidentali, per convincere l’opinione pubblica internazionale che il Presidente si trovava di fronte a manifestazioni antigovernative di massa.
“L’epicentro” del movimento di protesta: Daraa, una piccola città di confine della Siria meridionale
Qual è la natura del movimento di protesta? Di quali settori della società siriana è emanazione? Cosa ha provocato la violenza?
Qual è la causa delle morti?
L’esistenza di una insurrezione organizzata composta da bande armate coinvolte in atti di omicidio e incendio doloso è stata respinta dai media occidentali, nonostante le prove del contrario.
Le manifestazioni non sono iniziate a Damasco, capitale della nazione. Al principio, le proteste non hanno visto la partecipazione di un movimento di massa dei cittadini nella capitale siriana.
Le manifestazioni sono iniziate a Daraa, una piccola città di confine di 75.000 abitanti, al confine siriano-giordano, piuttosto che a Damasco o Aleppo, dove si trova la base dell’opposizione politica organizzata e dei movimenti sociali.
I racconti di Associated Press (citando anonimi “testimoni” e “attivisti”) descrivono le prime proteste a Daraa nel modo seguente:
“La violenza a Daraa, una città di circa 300.000 abitanti vicino al confine con la Giordania, sta rapidamente divenendo una grande minaccia per il presidente Bashar Assad, …. la polizia siriana ha lanciato un duro attacco mercoledì in un quartiere rifugio dei manifestanti anti-governativi [Daraa], colpendone mortalmente almeno 15, in un’operazione iniziata prima dell’alba, hanno riferito i testimoni.
“Almeno sei sono stati uccisi durante l’attacco del mattino contro la moschea al-Omari nella città meridionale di Daraa, dove i manifestanti sono scesi in piazza invocando riforme e libertà politica, hanno detto testimoni. Un attivista in contatto con la gente di Daraa ha detto che la polizia ha sparato contro altre tre persone che stanno protestando nel centro cittadino di epoca romana dopo il tramonto. Sei corpi sono stati trovati più tardi nella giornata, ha riferito l’attivista.
“Mentre le vittime aumentavano, la gente dai villaggi vicini di Inkhil, Jasim, Khirbet Ghazaleh e al-Harrah ha tentato di marciare su Daraa mercoledì notte, ma le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco mentre si avvicinavano, ha detto l’attivista. Non è stato subito chiaro se ci fossero più morti o feriti”. (AP, 23 marzo 2011, enfasi aggiunta)
L’ Associated Press gonfia i numeri: Daraa è presentata come una città di 300.000 abitanti, mentre la sua popolazione in realtà è di 75.000, “assembramenti di migliaia di manifestanti”, “crescono le vittime”. Tace invece sulle morti dei poliziotti, che in Occidente hanno sempre la prima pagina dei giornali.
Le morti dei poliziotti sono importanti per valutare ciò che è realmente accaduto. Quando ci sono vittime della polizia, significa che c’è uno scontro a fuoco tra le opposte parti, tra poliziotti e “manifestanti”.
Chi sono questi “manifestanti”, tra cui i cecchini sui tetti che prendevano di mira la polizia.
Notizie israeliane e libanesi (che ammettono le morti fra i poliziotti) forniscono un quadro più chiaro di quello che è successo a Daraa nei giorni 17-18 marzo. La Israel National News Report (che non può essere accusata di parzialità a favore di Damasco), riporta questi stessi eventi come segue:
“Sette agenti di polizia e almeno quattro manifestanti in Siria sono stati uccisi in violenti scontri scoppiati nella città meridionale di Daraa lo scorso giovedì.
“…. Venerdì la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti armati uccidendone quattro e ferendone ben altri 100. Secondo un testimone, che ha parlato alla stampa mantenendo l’anonimato, “Hanno immediatamente usato munizioni vere – niente gas lacrimogeni o altro”.
Israel National News, Arutz Sheva, 21 marzo 2011 – http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/143026, enfasi aggiunta)
Anche le notizie di parte libanese, citando varie fonti, riconoscono l’uccisione di sette poliziotti a Daraa: Sono stati uccisi “durante gli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti … Sono stati uccisi cercando di disperdere i manifestanti durante la manifestazione a Dara’a”
La libanese Ya Libnan riportando Al Jazeera ha anch’essa riconosciuto che i manifestanti avevano “bruciato il quartier generale del partito Baath e il palazzo di giustizia a Dara’a” (enfasi aggiunta)
Queste notizie degli eventi di Daraa confermano quanto segue:
1. Questa non era una “protesta pacifica”, come sostenuto dai media occidentali. Molti dei “manifestanti” avevano armi da fuoco e le stavano usando contro la polizia: “La polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti armati uccidendone quattro”.
2. Nel numero iniziale di vittime (Israel News), fra gli uccisi c’erano più poliziotti che manifestanti: sette poliziotti uccisi contro quattro manifestanti. Questo è importante perché suggerisce che le forze di polizia inizialmente potrebbero essere state in inferiorità numerica rispetto una banda armata ben organizzata. Secondo fonti dei media siriani, vi erano anche cecchini sui tetti che tiravano sia alla polizia che ai manifestanti.
Ciò che risulta chiaro da questi primi rapporti è che molti dei manifestanti non erano manifestanti, ma terroristi coinvolti in atti premeditati di omicidio e incendio doloso. Il titolo della notizia israeliana sintetizza bene quanto è accaduto: Siria: sette poliziotti uccisi, edifici bruciati nelle proteste.
Il “movimento di protesta” di Daraa del 18 marzo aveva tutte le sembianze di un’azione organizzata che vede implicate, con ogni probabilità, il Mossad e/o intelligence occidentali nel sostegno segreto ai terroristi islamici. Fonti governative indicano il ruolo dei gruppi radicali salafiti (sostenuti da Israele).
Altri rapporti hanno sottolineato il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento del movimento di protesta.
Cosa si è aperto a Daraa nelle settimane successive agli scontri violenti iniziali del 17-18 marzo è: da un lato, il confronto tra la polizia e le forze armate; dall’altro, l’infiltrazione del movimento di protesta da parte di unità armate di terroristi e cecchini.
Questi terroristi sono indicati come appartenenti all’area islamista, ma ci sono prove concrete che le organizzazioni islamiche siano dietro i terroristi e il governo non ha rilasciato informazioni che confermino l’identità di questi gruppi.
. Hizb ut-Tahir è anche considerato di importanza strategica dai servizi segreti britannici MI6, nel perseguimento degli interessi anglo-americani in Medio oriente e Asia centrale (Is Hizb-ut-Tahrir another project of British MI6? | State of Pakistan – http://www.stateofpakistan.org/is-hizb-ut-tahrir-another-project-of-british-mi6) ..
La Siria è un paese arabo laico, una società di tolleranza religiosa in cui musulmani e cristiani hanno vissuto in pace per diversi secoli. Hizb ut-Tahrir (Partito della Liberazione) è un movimento politico radicale impegnato nella creazione di un califfato islamico. In Siria, il suo obiettivo dichiarato è quello di destabilizzare lo Stato laico.
Dalla guerra afgano-sovietica, i servizi segreti occidentali e il Mossad israeliano hanno costantemente utilizzato le varie organizzazioni terroristiche islamiche come “risorsa di intelligence”. Sia Washington che il suo indefesso alleato britannico hanno fornito sostegno nascosto ai “terroristi islamici” in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Libia, ecc. come mezzo per innescare conflitti etnici, violenze settarie e instabilità politica.
Il movimento di protesta organizzato in Siria è modellato su quello il Libia. L’insurrezione in Libia orientale vede la presenza del Gruppo combattente islamico di Libia (LIFG) che è supportato da MI6 e CIA. L’obiettivo finale del movimento di protesta in Siria, attraverso le menzogne dei media e le manipolazioni, è di creare divisioni all’interno della società siriana e giustificare un eventuale “intervento umanitario”.
Insurrezione armata in Siria
Un’insurrezione armata organizzata dagli islamisti e sostenuta segretamente dall’intelligence occidentale è centrale per la comprensione di quanto sta avvenendo sul terreno.
L’esistenza di una insurrezione armata non è menzionata dai media occidentali. Se dovesse essere riconosciuta e analizzata, la nostra comprensione dello svolgimento degli eventi sarebbe completamente diversa.
Cosa è invece citato abbondantemente è che le forze armate e la polizia sono coinvolte nella uccisione indiscriminata di manifestanti.
Il dispiegamento delle forze armate, compresi i carri armati a Daraa, è diretto contro un’insurrezione armata organizzata che opera nella città di confine a partire dal marzo 17-18.
Le vittime segnalate comprendono anche la morte di poliziotti e soldati.
Per amara ironia, i media occidentali riconoscono le morti di poliziotti e soldati pur negando l’esistenza di una insurrezione armata.
La questione chiave è: come fanno i media a spiegare queste morti di soldati e poliziotti?
Senza prove, autorevoli resoconti indicano che la polizia spara contro i soldati e viceversa, i soldati sparano sulla polizia. In un rapporto di Al Jazeera del 29 aprile, Daraa viene descritta come “una città sotto assedio”:
“Carri armati e truppe controllano tutte le strade in entrata e uscita. Dentro la città, i negozi sono chiusi e nessuno osa camminare per le strade del mercato, una volta vivace e oggi trasformato dai cecchini sui tetti in una zona di morte.
“Incapace di schiacciare il popolo che ha osato sollevarsi contro di lui – né con la polizia segreta, i teppisti pagati o le forze speciali della divisione militare di suo fratello – il presidente Bashar al-Assad ha inviato migliaia di soldati siriani e con armi pesanti a Daraa, per un’operazione che il regime vuole che nessuno al mondo veda.
“Sebbene quasi tutti i canali di comunicazione con Deraa siano stati tagliati, compreso il servizio di telefonia mobile giordano che raggiunge la città da appena oltre il confine, Al Jazeera ha raccolto testimonianze di prima mano sulla vita all’interno della città dai residenti che l’hanno appena abbandonata o da testimoni oculari che, dall’interno, sono stati in grado di uscire dall’area di blackout.
“Il quadro che emerge è una arena cupa e mortale, segnata dalle azioni della polizia segreta e dei loro cecchini sui tetti, in cui i soldati e manifestanti vengono uccisi o feriti allo stesso modo, in cui emergono crepe nello campo militare stesso, e in cui si produce un grande caos che il regime utilizza per giustificare la sua escalation di repressione”. (Daraa, a City under Siege, IPS / Al Jazeera, 29 aprile 2011)
I rapporti di Al Jazeera sfiorano l’assurdo. Leggete attentamente.
“Carri armati e truppe controllano tutte le strade in entrata e uscita”, “migliaia di soldati siriani con armi pesanti a Daraa”.
Questa impostazione ha prevalso per diverse settimane. Ciò significa che i manifestanti in buona fede, che non sono già dentro Daraa, non possono entrarci.
Le persone che vivono in città sono nelle loro case: “nessuno osa passeggiare… per le strade”. Se nessuno osa passeggiare per le strade, dove sono i manifestanti?
Chi è per le strade? Secondo Al Jazeera, i manifestanti sono in strada insieme ai soldati ed entrambi sono stati colpiti dalla “polizia segreta in borghese”, da “teppisti pagati” e cecchini sponsorizzati dal governo.
L’impressione che lascia il rapporto è che queste vittime sono riconducibili alla lotta intestina tra la polizia e l’esercito.
Ma il rapporto dice anche che i soldati (in “migliaia”) controllano tutte le strade dentro e fuori la città, ma gli viene sparato contro dalla polizia segreta in borghese.
Lo scopo di questa rete di inganni mediatici, cioè invenzioni di sana pianta – in cui i soldati sono stati uccisi dalla polizia e da “cecchini governativi” – è quello di negare l’esistenza di gruppi terroristici armati. I successivi rapporti includono i cecchini e “terroristi in abiti civili” che sparano contro polizia, forze armate siriane e residenti locali.
Questi non sono atti di terrore spontanei ma attacchi accuratamente pianificati e coordinati. Recentemente, secondo un rapporto Xinhua (30 aprile 2011), “gruppi terroristici” armati “hanno attaccato l’area degli alloggiamenti dei militari” nella provincia di Daraa, “uccidendo un sergente e ferendone due”.
Mentre il governo ha la pesante responsabilità della cattiva gestione delle operazioni militari e di polizia, compresa la morte dei civili, i rapporti confermano che i gruppi terroristici armati avevano aperto il fuoco anche sui manifestanti e i residenti, incolpando poi delle vittime le forze armate e la polizia, mentre da “la comunità internazionale” il governo di Bashar Al Assad viene rappresentato come il mandante di innumerevoli atrocità.
La questione è che ai giornalisti stranieri non è concesso di operare all’interno della Siria, al punto che molte delle informazioni, tra cui il numero delle vittime, sono ottenute dai racconti non verificati di “testimoni”.
E’ nell’interesse dell’alleanza USA-NATO ritrarre gli avvenimenti in Siria come una situazione in cui un movimento di protesta pacifico viene represso brutalmente da un “regime dittatoriale”.
Il governo siriano può essere autocratico. Non è certo un modello di democrazia ma neanche l’amministrazione americana lo è, caratterizzata da una corruzione dilagante, dalla restrizione delle libertà civili con il Patriot Act, la legalizzazione della tortura, per non parlare delle sue “guerre umanitarie” “senza spargimento di sangue”:
“Gli Stati Uniti ed i loro alleati della NATO hanno, oltre alla Sesta Flotta USA e le forze militari inserite nell’operazione NATO “Active Endeavor” dispiegate in modo permanente nel Mediterraneo, aerei da guerra, navi da guerra e sottomarini impegnati nell’aggressione contro la Libia che possono essere utilizzati contro la Siria in ogni momento.
Global Research, 30 aprile 2011 – http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24562)
Lo scopo ultimo è quello di innescare la violenza settaria e il caos politico all’interno della Siria sostenendo nell’ombra le organizzazioni terroristiche islamiche.
Che cosa ci attende?
La prospettiva di lungo termine della politica estera statunitense è di un “cambiamento di regime” e destabilizzazione della Siria come Stato-nazione indipendente, attraverso un processo nascosto di “democratizzazione” o con mezzi militari.
La Siria è sulla lista degli “stati canaglia”, che sono obiettivi di un intervento militare degli Stati Uniti. Come confermato dall’ex comandante generale della NATO Wesley Clark, “I piani per la campagna di cinque anni [includono] … un totale di sette paesi, partendo dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan” (Funzionario del Pentagono citato dal generale Wesley Clark).
L’obiettivo è di indebolire le strutture dello Stato laico e nel mentre giustificare un eventuale “intervento umanitario” sostenuto dall’ONU. Questo potrebbe dapprima assumere la forma di un embargo accentuato sul paese (incluse le sanzioni), nonché il congelamento dei conti bancari siriani nelle istituzioni finanziarie estere.
Mentre un intervento militare USA-NATO nell’immediato futuro sembra altamente improbabile, la Siria è comunque sul ruolino di marcia militare del Pentagono, vale a dire che un’eventuale guerra contro la Siria è stata prevista, sia da Washington che da Tel Aviv.
Se nel futuro dovesse accadere, essa porterebbe a una escalation. Israele sarebbe inevitabilmente coinvolto. L’intera regione mediorientale e centro-asiatica, dal Mediterraneo orientale al confine cinese-afgano, divamperebbe.
da Counter Punch – www.counterpunch.org/serumaga04122011.html
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
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