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La stanchezza del serpente: Berlusconi a reti unificate

Un gesto destinato a suscitare attenzione, quindi. Solo che Berlusconi, inteso come interfaccia fisico di una complessa rete di potere, al momento sta provando una sensazione particolare. Dopo aver parcheggiato il bulldozer giusto fuori dal supermercato, entra, fa il giro dei reparti, cerca con una certa ansia la merce desiderata e soprattutto trova la normale, ordinaria attenzione rivolta a qualsiasi cliente. Persino il bulldozer là fuori finisce per essere ignorato anche dai ragazzini, anche da quelli che di solito si incuriosiscono per le collocazioni inusuali di qualsiasi oggetto specie se ingombrante.

Cosa è successo? Si tratta di capirlo bene e in un modo che aiuta a comprendere quale è il rapporto reale tra televisione generalista, elettorato e formazione dei comportamenti identitari della popolazione. L’appello a reti unificate, qualsiasi sia stata la reale catena di comando che l’ha prodotto, ha un chiaro scopo di mobilitazione per l’elettorato rimasto in sonno, specie a Milano, tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative. In questo modo ci svela molto di più sia delle difficoltà strutturali del centrodestra come del rapporto tra televisione, elettorato e comportamenti identitari. Berlusconi, semplifichiamo sempre parlando di un interfaccia fisico di un dispositivo complesso, dopo il primo turno di Milano ha capito benissimo che il suo intervento diretto mobilita, per reazione, soprattutto ampie fasce di elettorato proprio contro di lui. L’appello diretto a reti unificate è stato quindi pensato, tenuto conto del rischio mobilitazione della parte avversaria, con la speranza di risvegliare una fascia di elettorato favorevole al centrodestra più ampia rispetto alla fascia di elettorato di centrosinistra risvegliata per reazione da un simile appello. Ma quali sono le fasce di elettorato in sonno nel centrodestra a Milano? Concentriamoci su quelle riservandoci un’analisi più generale dopo il secondo turno. Il berlusconismo a Milano conta su un ampio bacino di elettori in sonno, quantitavamente dai 250.000 ai trecentomila, i quali forse stanno sognando con un onirico differente da quanto immaginato tra Arcore e Cologno Monzese.  Possiamo infatti dividere questo elettorato in sonno, secondo la letteratura corrente,  in tre categorie.  La prima è oggettivamente risvegliabile da un appello del commodoro di Arcore.  Si tratta di coloro che, per disaffezione identitaria o disattenzione impolitica, sono mobilitabili sono per i grandi eventi. E’ a loro che è diretto l’appello, per quanto diversi esperti di marketing politico l’abbiano trovato disastroso proprio per questo scopo. Ma, e qui il problema vero di Berlusconi, ci sono altre categorie di elettori in sonno che probabilmente sono cresciute erodendo spazio alla prima. Una, la più classica, è quella dei precedenti elettori del centrodestra che sono entrati nell’area dei delusi cronici della politica. Questo tipo di elettorato potenziale è mobilitabile solo da un nuovo centrodestra e non più direttamente da Berlusconi.  Dieci anni di stagnazione economica, di  succedersi tra ristrutturazione e declino della metropoli lombarda, e tre di recessione (ricordiamo che nell’ultimo trimestre l’economia italiana è cresciuta 8 volte meno della già esangue Grecia, per dare un’idea della dimensione reale del problema) hanno allargato la fascia di questo elettorato. Che culturalmente è di centrodestra, corrisponde ai ruoli di comando o di sottomissione di un idealtipo autoritario, ma non trova più alcuna risposta nel partito di governo. Si tratta di un elettorato potenziale che consuma i prodotti berlusconiani, o la pay tv, ma non fa simmetria tra questo genere di consumo e l’offerta di consenso politico. In questo senso la festa di piazza per lo scudetto del Milan e la crisi del voto a Letizia Moratti vanno saputi far entrare entro questa tipologia di cornice. Ma maggiormente pericolosa, per Berlusconi, è l’apparente crescita di una terza fascia di elettori in sonno. Quella che, sempre secondo molta letteratura corrente, si astiene per poi passare ad un altro schieramento dopo pochi od addirittura un solo passaggio elettorale. Di quale tipo di elettori stiamo parlando? Possiamo definirli proprio come i migliori, e più giovani, prodotti del berlusconismo. Infatti mentre le altre due fasce di elettori hanno un’età maggiore, sono legati a codici di comunicazione della televisione generalista, magari usano la rete per riaffermare la propria adesione a modelli autoritari qui stiamo parlando proprio di un’altra generazione. Che non è tutta rappresentata in questa fascia di elettorato in sonno ma che sembra occuparla in modo significativo. Stiamo parlando dei giovani allevati, negli anni novanta e fino alla prima metà degli anni zero, dalla pubblicità delle tv generaliste (che hanno connesso attorno ai giovani un mondo a parte) dalle trasmissioni della rete giovanilista Italia 1 e dai prodotti correlati. Diciottenni, ventenni e meno che trentenni che probabilmente hanno votato Berlusconi non solo con naturalezza ma anche come opzione pensata come se si trattasse di scegliere un interesse concreto. Insomma l’uomo e la donna nuovi del berlusconismo: declinazione italiana del thatcherismo del tutti imprenditori e piccoli proprietari con l’estetica della movida milanese. Questa fascia di elettorato, immersa in tutte le dimensioni mediali a prescindere dai livelli di specializzazione e di acculturazione,  ha subito il trauma della crisi e quello del risveglio da sogno dell’imprenditorialità e del professionismo di massa. Vede, in ogni dettaglio della metropoli, che lo slogan “arricchitevi!” non è valido per tutti e che non ci si riesce a far spazio nemmeno con la prostituzione e le cattive maniere. Se questa fascia di elettorato si allarga non solo per il berlusconismo attuale ma anche per gli eventuali remake successivi è suonata la campana. Le campagne elettorali sui giudici e le Br anni ’70, i plebisciti su quanto è rockstar un ultrasettantenne di plastica e cerone, le urla su zingaropoli hanno l’effetto di allontantare proprio la generazione perfetta del berlusconismo. Quella che è venuta alla ribalta pensando di crescere in una metropoli a metà tra New York e Barcellona e si ritrova invece in uno scenario ricolmo di fondali che rivelano persino la ruggine dei tubi di sostegno.Quindi se si allarga questa terza fascia, quella dei giovani che hanno creduto al berlusconismo come ad una seconda natura, gli appelli in tv sono semplicemente controproducenti.

L’altro elemento profondamente difettivo, quando si fanno gli appelli in tv, è l’assenza di una organizzazione vera del PDL sul territorio. Se CL, come sembra, non si è mobilitata (o non è riuscita a farlo, poco cambia) al PDL per mobilitare resta solo la speranza della fascinazione televisiva diretta sullo schermo di casa. Fascinazione che, come abbiamo visto, è a serio rischio proprio nell’elettorato in sonno. Infatti chi, e sono tanti, hanno pensato che Berlusconi fosse uscito dal romanzo di Orwell non ha capito che 1984 poteva, e può, essere l’esito possibile di questo paese (anche in presenza di internet) ma non è né il punto di partenza né quello attuale. Infatti, ci vuole realismo nelle analisi in politica non evocazione di fantasmi. Dobbiamo quindi registrare che gli slogan sugli angeli del seggio elettorale, ripetuti da Berlusconi alla vigilia di ogni elezione, sono rimasti tali. I signori dei pacchetti di voti, che convergono rissosamente sulla sigla PDL, a Milano hanno minore forza attrattiva. A causa della crisi che genera minori risorse clientelari, delle lunghe battaglie interne che distraggono e della vita della metropoli in continua evoluzione. Che rende difficile l’adattamento a organizzazioni non in grado di uscire da schemi consolidati. Tanto che persino la Lega, spregiudicata in parole d’ordine e flessibile nei comportamenti ha incontrato grosse difficoltà a piazzare il prodotto Moratti

Insomma, Orwell non è la televisione tout court. Basta leggere 1984. E’ potere politico, televisivo e giuridico assieme. E per quanto il potere berlusconiano tenda ad essere orwelliano non riesce a connettere assieme questi tre poteri. E l’elettorato in sonno probabilmente non riesce a mobilitarlo anche a causa di una campagna elettorale giocata solo sulle paura (immigrati, zingari, terroristi etc). Gli strateghi elettorali americani conoscono perfettamente questo tipo di campagna, qualcuno l’avrà venduta a Mediaset,  e sanno che funziona solo se chi ha paura la ha in virtù del timore della conservazione o meno di un bene. Ma il centrodestra sta parlando a troppa gente che sta perdendo tutto, specie i più giovani, per intimorirsi di qualche nuovo spettro. Più che altro quest’elettorato avrebbe bisogno di un nuovo onirico, una nuova frontiera che i creativi del berlusconismo non riescono a produrre dalla campagna elettorale del 2001.

Il Pdl milanese e la Lega di Salvini in questi giorni ricordano  quindi un altro tipo di formazione elettorale. Quello della sinistra entrata in crisi con le elezioni politiche, ed europee, del ’79. Allora si fece spazio la teoria occhettiana dello “zoccolo duro”, ovvero di un nucleo elettorale di sinistra capace di resistere ai mutamenti della contingenza elettorale. Il risultato fu che la sinistra, fino alla grave sconfitta delle amministrative ’85 e del referendum sul punto unico di contingenza dello stesso anno, non cambiò né argomenti né retorica né tantomeno strategie comunicative. Insomma restò immobile su temi e linguaggi consueti in attesa che allo zoccolo duro si aggiungesse la parte di società necessaria per vincere le elezioni, quella che era rimasta in sonno. Il risultato fu che lo zoccolo duro si disintegrò dopo meno di un quinquennio da quella scadenza elettorale. Semplicemente non era stato capito che una società stava cambiando profondamente e che c’era necessità di ristrutturare radicalmente argomenti, retorica, strategie comunicative.

Quando si vedono gli appelli a reti unificate, o Salvini che agita lo spettro degli zingari, in questi giorni, si ha l’impressione che le parti si siano rovesciate. E che nel centrodestra si sia fatta spazio una teoria informale dello zoccolo duro che può condurla fuori strada nella società italiana. E qui non diventa importante solo leggere il risultato di Milano, che ci svela un’intera morfologia sociale,  ma anche comprendere quali siano le figure sociali di cui Berlusconi dispone ancora il consenso e quali invece si stiano allontanando.

Il punto fondamentale è quindi capire che il berlusconismo è un serpente stanco. Può rigenerarsi o degenerare e perire. E’ importante capire che, al momento in cui Berlusconi non troverà gli articoli desiderati al supermercato, si può e si deve impedire che possa montare di nuovo sul bulldozer nel parcheggio per sfasciare l’ambiente circostante.

Per Senza Soste, nique la police

22 maggio 2011

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