Parafrasando il titolo dell’ottimo lavoro d’informazione svolto all’epoca della guerra nell’ex Jugoslavia da Paolo Rumiz che divenne un libro, si può catalogare il tardivo e pilotato arresto del macellaio di Srebrenica Mladic come l’ennesimo scambio che la politica della nuova Serbia gioca con la colpevolissima vecchia Unione Europea. Intenta oggi al politicamente corretto com’era ieri vile verso i massacri di civili, non solo quelli in stile Fosse Ardeatine perpetrati nell’enclave diventata lager, ma nel lunghissimo stillicidio di quattro anni di stragi urbane da Vukovar a Sarajevo. Tutto questo permetteva lo smembramento della Jugoslavia, odiato simulacro ancora vivente del parasocialismo della Confederazione, e soprattutto scavava la fossa al suo melting pot interetnico costruito con fatica in una zona secolarmente di frontiera fra civiltà autoctone e insediate. Certo la Jugoslavia cui la Ue diede la spallata era alla fine degli Ottanta un fragile vaso di coccio, divorato da crisi economica e inflazione. La stessa creatura titina era fondata su molte rimozioni e amnesie di un dopoguerra costretto a rilanciare la vita. Ma quale nazione dei due blocchi creati con Yalta non ebbe forzature?
Usare come fece l’Unione Europea – sospinta da Stati Uniti e dal Vaticano del Papa polacco – i Balcani e la caduta del Muro per il proprio lucro sistemico, mercantile e finanziario è stato il grande piano che l’Europa delle banche guidata politicamente da Helmut Kohl ha attuato favorendo l’atomizzazione fratricida della Jugoslavia. Si partì dal privilegiare gli egoismi efficientisti sloveni, per poi lasciare spazio al nazionalismo fascistoide di Tudjman e all’antistorico revanscismo della “Grande Serbia” che, in un satrapo come Milosevic, univa interessi di famiglia e smania di potere con la diffusa retorica patriottarda. I potenti d’Europa, per spartirsi i mercati legali di forza lavoro dell’est ex comunista e fare affari con quelli illegali della criminalità organizzata che hanno imperversato per anni e tutt’ora appestano l’area coi traffici di armi, droga, prostituzione, trasmigrazioni di migranti e rifugiati, seguirono la via segnata da Kohl di riportare i Balcani indietro nella storia. Così il modello capitalista a una dimensione diventava l’unica realtà che il vecchio continente ammetteva per l’ex blocco dell’est. Mentre s’incentivava la disgregazione senza altra soluzione che quella di staterelli manipolabili e succubi si chiudevano gli occhi di fronte alle criminali mattanze di Karadzic e Mladic, alle pulizie etniche dei generali di Tudjman quali Gotovina e di Izetbegovic come Oric.
La scena dei Caschi Blu impotenti e asserviti di fronte alla macabra preparazione dell’eccidio predisposto da Mladic è la più terribile ma non l’unica. A Karlovac gli agnelli sacrificali furono i serbi, la Cia istruì per mesi i militari croati, i loro alleati del Military Professional Resources seminavano morte in Krajina, la stessa che le Tigri di Arkan diffondevano nelle campagne bosniache calando le braghe agli uomini per scoprirne la circoncisione. Mentre 93.000 ex jugoslavi si scannavano Clinton preparava Dayton e col medesimo cinismo l’Occidente campione di democrazia portò anni dopo la morte ai belgradesi coi caccia della Nato. Certo la Serbia è il Paese dove ancora oggi c’è chi risponde all’arresto di Mladic con un cartello che lo proclama eroe. E’ la nazione i cui leader Kostunica o l’odierno Tadic hanno protetto quel paranoico sanguinario ben oltre le coperture militari riservategli da Milosevic. Questa cattura, come quella del compare di delitti Karadzic, punta a un posto sul carrozzone Ue ed è mossa da una bieca real-politik che usa i tavoli di trattative alla stregua dei tavoli verdi delle bische della mafia locale. Quale onesto cittadino serbo può credere in reali ravvedimenti? Eppure se di trapasso politico si deve parlare per una futura Serbia e una nuova Europa non solo Karadzic e Mladic dovrebbero comparire al cospetto dei Tribunali dell’Aja.
Accanto a loro meriterebbero un posto molti ex leader d’Europa che guardavano distrattamente lo Sheraton o il mercato di Sarajevo trivellati di granate e cosparsi di sangue nei quarantatre mesi, sì quarantatre, d’assedio. E da criminali della politica nulla fecero. La chiamata di correo è ampia. Kohl, Mitterand, Chirac, Major, D’Alema, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini per citare solo i maggiori occultatori di massacri.
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